No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20110729

Libano


Lebanon - di Samuel Maoz (2009)

Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: craustrofobi'o

Frontiera israelo-libanese, 1982. L'equipaggio di un carro armato israeliano, composto da quattro persone, due delle quali completamente alle prime armi, e le altre due piuttosto impreparate a situazioni di crisi reale, viene impiegato per un'incursione in territorio nemico per spalleggiare un plotone di paracadutisti assaltatori, in una missione che, per come la descrive il comandante del plotone, dovrebbe essere espletata in assoluta tranquillità. Ma le difficoltà cominciano non appena i primi civili si presentano davanti al carro armato, e palesano la completa inaffidabilità dei quattro del tank. La situazione, man mano che il plotone si addentra in territorio libanese, si fa sempre più esasperata...

Debutto interessante questo dell'israeliano Maoz, vincitore del Leone d'Oro a Venezia nel 2009, che, a suo dire, girò questo claustrofobico film di guerra per esorcizzare la sua partecipazione a quella, di guerre, e dove lui stesso uccise. In molti lo hanno accostato a Valzer con Bashir, ma più che altro perché parla della stessa guerra del 1982; Lebanon ha, invece, la particolarità (come detto) "claustrofobica", di raccontare quel pezzo di quella guerra dal punto di vista dell'obiettivo del carro armato, se si escludono le due inquadrature di apertura e di chiusura; in alternativa, ci sono le riprese ancor più angoscianti all'interno del tank, dove i quattro (più il prigioniero di guerra siriano, e un paio di "visite") sono protagonisti di una escalation di nervosismo che mette i brividi anche allo spettatore.
Come a volte accade, ci sono almeno due maniere per guardare a film come questi: vedendoli come propaganda (in questo caso, filo-israeliana, l'umanizzazione dei soldati israeliani perché, alla fine, facciano quasi tenerezza allo spettatore), oppure cercando di leggere sempre e comunque un messaggio pacifista, quando si mette in scena l'orrore di qualunque guerra. Ecco, vi chiedo scusa se, appartenendo a quest'ultima categoria, peccherò probabilmente sempre e comunque di buonismo, cercando di leggere sempre un messaggio positivo in qualsiasi film guerresco.
Pure in questo caso, scorgo nell'immagine della donna, madre, libanese nuda, sopravvissuta all'attacco (portato abbastanza a caso e sconsideratamente, di un esercito evidentemente non così preparato come vuole la leggenda), nel suo grido di dolore e di lutto, nell'eleganza della sua disperazione davanti a giovani addestrati per colpire un nemico che però, di certo non è lì, una richiesta di perdono, almeno da parte del regista.
E questo a me basta, per trarne un ricordo positivo.

1 commento:

drunkside ha detto...

d'accordo su tutto, soprattutto sul claustrofobico.