No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20120305

inno coreano


Arirang - di Kim Ki-duk (2011)

Giudizio sintetico: strettamente per appassionati (3,5/5)
Giudizio vernacolare: boia, io penzavo che era svarvolato ma mi'a a questo livello

Come vi avevo riferito, dopo averlo saputo mentre facevo delle piccole ricerche proprio per quella recensione, nel commento del film Bimong, il regista coreano ormai famoso in tutto il mondo, quantomeno per gli appassionati di cinema, dopo aver girato quel film, durante le cui riprese una delle attrici protagoniste ha rischiato di morire per la scena in cui si impicca, è caduto in una sorta di depressione che lo ha portato a fermarsi per un periodo di circa tre anni. Durante questo tempo si è ritirato in un luogo di montagna, in Corea del Sud, il suo Paese, dove viveva (usiamo il passato, ma non ci è dato sapere se sia tornato alla "normalità", o se continui a vivere così) isolato, solitario, in una piccola casa di legno con una tenda a igloo montata all'interno, che gli faceva da camera da letto, costruendo macchine per fare il caffè, scongelando la neve per ricavarne l'acqua per cucinare, e cose del genere. Kim Ki-duk, personaggio straordinario, eccessivo, estremo, particolarissimo, si è ripreso durante una parte di questo periodo da eremita, e ne ha tratto una sorta di diario/documentario. In questo Arirang, titolo di una canzone popolare considerata l'inno nazionale non ufficiale coreano, una parola di coreano antico che non ha traduzione nella lingua moderna, che il regista/protagonista canta ripetutamente durante il documento filmato che dura 100 minuti, film che è stato presentato a Cannes nel 2011 e che sono sicuro ha spiazzato ma affascinato la platea, Kim Ki-duk si mette a nudo come persona e come regista/artista, con il suo consueto stile che non permette mai di comprendere fino in fondo se c'è o ci fa, e prova a sviscerare il senso di fare cinema, durante lunghissimi monologhi nei quali urla, piange, ripete frasi e parole, prende in giro lo spettatore e si prende in giro da solo, riflette, inveisce, ripensa al passato, alle persone che lo hanno apprezzato, ai suoi ammiratori, al suo successo, ai suoi collaboratori, a quelli che lo hanno sempre seguito, a quelli che lo hanno abbandonato, ponendosi delle domande curiose, intelligenti, appassionanti, che quasi mai hanno risposta, ma che permettono di comprendere i tormenti interiori che lo stesso regista è riuscito, in questi anni, a trasportare sullo schermo con i suoi film, numerosi, invadenti, violenti, vibranti, ma che hanno sempre quantomeno cercato di comunicare sentimenti profondi, e per questo, sempre apprezzabili anche quando meno riusciti.
Un documento, al momento non distribuito in Italia, che certo non è scorrevole, non è certo una commedia o un film d'azione, ma che almeno chi ha amato ed apprezzato i film di questo regista senza dubbio fuori dal comune, apprezzerà, perché riesce a descrivere l'inquietudine di una persona, un artista, che di sicuro nel suo lavoro mette l'anima.

2 commenti:

Filo ha detto...

mah, secondo me ci è, non ci fa. Per fare una cosa del genere ci devi essere. N'est pas?

jumbolo ha detto...

eh?
:))