A Eulogy for the Damned - Orange Goblin (2012)
Il settimo disco degli inglesi Orange Goblin è, direi finalmente, il primo disco uscito nel 2012 che riesce ad interessarmi un minimo, e nello specifico che è riuscito a distogliermi da un best dei Depeche Mode. Son cose che capitano. Gli OG, capitanati dalla massiccia figura di Ben Ward, partono nel 1995 come stoner band, inglobando via via altri elementi ed influenze, sempre rimanendo nell'ambito metal, fino ad arrivare ad un ibrido che, intendiamoci, non ha nulla di particolarmente innovativo o rivoluzionario, ma che funziona alla grande. Reminiscenze stoner-doom fanno da sfondo ad un songwriting che occhieggia a strutture quasi progressive come quelle dei primi Mastodon (Red Tide Rising, Death of Aquarius), fino allo street-metal più sbarazzino (The Filthy & The Few, Save Me From Myself addirittura con corettini che sostengono il chorus): The Fog, ad esempio, è un ottimo esempio di crossover tra questi due estremi, ma anche altri pezzi potrebbero ben rappresentare questo ibrido. Sostenuto dalla chitarra di Joe Hoare, compressa e pompata al punto giusto, che inanella riff risentiti ma sempre ben eseguiti, il cantato di Ward, grezzo e potente, si disimpegna più che discretamente, mentre per quanto riguarda la sezione ritmica la batteria di Christopher Turner fa il suo dovere, mentre il basso di Martyn Millard qua e là si concede qualche gustosa divagazione tecnica (la parte di basso del pezzo di apertura Red Tide Rising, la parte centrale di Save Me From Myself, ). E' pressoché inutile sottolineare che tutto ciò non avrebbe potuto esistere senza i Black Sabbath, ma ormai dovreste averlo capito anche voi poppettari.
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