Giudizio sintetico: si può vedere (3,5/5)
Nel 1766, Carolina Matilde di Hannover, figlia del Principe del Galles, nata a Londra quindici anni prima, si sposò per procura con Cristiano VII, re di Danimarca e Norvegia, suo cugino. Conobbe il consorte circa un mese più tardi, ed ebbe modo di constatare quanto si vociferava: il re soffriva di problemi di salute mentale (pare schizofrenia e depressione), e, nonostante non fosse affatto stupido, non era certo la persona ideale per passarci una vita a fianco. Carolina aveva ben presenti i suoi doveri regali, e ben presto, seppure a malincuore, rimase incinta del primo figlio, Federico, che nacque dopo poco più di un annno di matrimonio. Cristiano, dopo pochi mesi dall'evento, partì senza di lei per un viaggio europeo che durò circa otto mesi; nel corso di questo viaggio, tramite il conte Schack Carl Rantzau ed Enevold Brandt, ex cortigiani di Danimarca bramosi di tornare ad esserlo, Johann Friedrich Struensee diventò il suo medico personale, ed il re se lo "riportò indietro", introducendolo a corte. Convinto illuminista, ottimo medico, Struensee influenzò moltissimo gli anni a seguire, divenendo dapprima consigliere del re, che lui solo riusciva a calmare e a far ragionare, in seguito reggente-ombra nonché amante della regina, alla quale, in un primo momento, non piaceva. Non finì bene per nessuno, ma in punto di morte Carolina volle spiegare come andarono le cose ai due figli (visto che, dopo Federico, ebbe anche Luisa Augusta, anche se il padre rimane a dir poco incerto).
Tratto principalmente da due libri, Il medico di corte di Per Olov Enquist e Prinsesse af blodet di Bodil Steensen-Leth, sceneggiato da Rasmus Heisterberg insieme allo stesso regista Nikolaj Arcel (i due insieme hanno adattato anche Uomini che odiano le donne per la versione cinematografica svedese), il film danese e recitato appunto in danese (anche se contiene alcuni dialoghi in inglese, tedesco e francese), è nella cinquina per gli Oscar, naturalmente categoria miglior film in lingua non inglese, ed è un affresco molto ben fatto sulla corte danese dell'epoca, rispettando tutte le buone regole dei film in costume, ma avendo sicuramente una marcia in più, in quanto il particolare triangolo che racconta e mette in scena, risulta ben strutturato e decisamente "progressista", soprattutto se visto nell'ottica attuale, ed inquadrato nel contesto storico europeo. Il film è reso coinvolgente anche dalle interpretazioni dei tre protagonisti; se non potevano esserci dubbi su quella di Struensee, impersonato da un Mads Mikkelsen misurato (vi svelo una mia personale sensazione durante la visione; conoscendo la mia teoria su Mikkelsen tumefatto, dopo circa due ore di pellicola mi stavo dicendo "bel film, però Mads è sempre intatto, vai a vedere che manca questo per farlo diventare un gran film". Detto fatto, nella scena seguente - spoiler alert - viene incarcerato e torturato, e dopo altre due scene appare tumefatto. Ancora tra parentesi, evidentemente vista la durata complessiva - circa due ore e un quarto - il regista ci ha risparmiato la vera fine di Struensee - super spoiler alert! - che dopo essere stato decapitato - ma pare che prima ancora gli sia stata tagliata la mano destra - fu squartato ed esposto ulteriormente al pubblico ludibrio), gli altri due attori sono stati per me una vera sorpresa in positivo. Il ventottenne danese Mikkel Boe Folsgaard è un ottimo Cristiano VII (Orso d'argento alla Berlinale), e la ventiquattrenne svedese Alicia Vikander è una combattuta Carolina (la rivedremo presto in Anna Karenina di Joe Wright). Bravi anche gli attori di contorno, tra i quali spicca la già conosciuta Trine Dyrholm (appena vista in Love Is All You Need della Bier) nei panni di Giuliana Maria.
Ricostruzioni accurate, produzione sontuosa, A Royal Affair (il titolo internazionale) non è, a mio parere, il migliore della cinquina candidata all'Oscar per il miglior film in lingua non inglese, ma potrebbe dare del filo da torcere agli altri quattro.
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