Non voglio più annoiarvi col fatto che guardo solo Al Jazeera International; però, il fatto è che oltre alle news 24 ore su 24, la rete ha in programmazione rubriche interessanti, e documentari a volte autoprodotti, su argomenti sconosciuti a gran parte dell'opinione pubblica.
Solitamente li guardo di sfuggita, ma a volte mi concentro. E' stato il caso di questo The Fight for Rapanui, dell'inviato Nick Lazaredes. La cosa che mi ha stupito di più non è stata tanto la repressione cilena e la formazione del movimento indipendentista, che già covava sotto la cenere, parlando con i locali, quando nel 1994 passai una settimana sull'isola, facendo molte amicizie e lasciandoci una parte di cuore. Quello che mi ha scioccato, ma probabilmente non è il termine giusto, è stato rivedere una persona con la quale avevo condiviso una sbornia colossale: Kihi il rosso (Kihi Tuki Hitorangi), che appare nel documentario per la prima volta al minuto 17, e che 19 anni fa era già "famoso" (è il ragazzo che corre nella scena iniziale del film Rapa Nui, prodotto da Kevin Costner, diretto da Kevin Reynolds ed interpretato da Esai Morales e Sandrine Holt, oltre a molte comparse locali - Kihi su imdb.com è accreditato nel cast del film come Emilio Tuki Hito). Ricordo lui che suonava la chitarra e che ci cantava pezzi tradizionali in lingua Rapanui (proveniente dal ceppo polinesiano: è lì che ho scoperto che Moana significa "mare blu"), ricordo altre cose che mi sono rimaste nel cuore come il saluto all'aeroporto (la tradizione polinesiana vuole che ti vengano messe collane di fiori all'arrivo e collane di conchiglie alla partenza; di solito le collane di fiori vengono messe ai turisti che comprano i pacchetti "folkloristici", perché spontaneamente la gente del posto lo fa solo per i parenti. Ma a me e all'amico che viaggiava con me, le nostre conoscenze locali, misero spontaneamente le collane di conchiglie, che ancora conservo, nell'occasione della nostra partenza, e vi assicuro che fu un momento indimenticabile) da parte di quella che era stata la nostra guida e dell'autista, che non aveva aperto bocca per sei giorni e che in quell'occasione mi disse che eravamo buoni amici. E' probabile che non abbia riconosciuto qualche altro locale che appare nel documentario. Ma siccome il mio cuore è rimasto là, gli auguro ugualmente di riuscire a vincere questa battaglia, e di continuare a vivere felici e liberi sulla terra che i loro avi hanno lasciato loro. Iorana, mis amigos.
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