No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20120411

con quella faccia un po' così



La bocca del lupo - di Pietro Marcello (2010)

Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: manfruiti d'artri tempi

La bocca del lupo, in realtà, è un romanzo di Remigio Zena, pseudonimo di Gaspare Invrea (mi par di capire, per quanto ne so, che da quanto amava Genova si chiamò come lei, visto che Zena o Xena è il nome della città in dialetto genovese), pubblicato nel 1892. Parlava di povera gente, e di come riusciva a sopravvivere, nella Genova di fine ottocento. Questo il titolo scelto dal documentarista Pietro Marcello, che su commissione (sorprendente, a dire il vero) della Fondazione gesuita San Marcellino, ha realizzato un docu-film che, parlando di una coppia quantomeno fuori dal comune, rende giustizia ad una Genova che probabilmente sta scomparendo, ma che forse aveva un fascino maggiore di quella moderna, e ci ricorda che c'è, anche in Italia, qualcosa che si può chiamare underclass: come dice lo stesso regista, "senza tetto, emarginati, raminghi e indigenti della città". La coppia in questione è quella formata da Vincenzo Enzo Motta, di origine siciliana ma cresciuto a Genova in via Prè, padre contrabbandiere, e pure lui finito nelle maglie della malavita, condannato a 27 anni di carcere per aver sparato a due poliziotti, e da Mary Monaco, transessuale di origini romane trapiantata anche lei a Genova per "liberare" la propria sessualità lontano dalla famiglia alto-borghese, ed ex tossicodipendente. Si conoscono in carcere, e si innamorano, follemente, sognano una vita insieme al di là delle sbarre, e quando lei esce, torna a Genova e aspetta che anche lui esca, tenendo viva la relazione con una fitta corrispondenza fatta di lettere e di cassette registrate; insieme vorrebbero riuscire a realizzare appunto il loro sogno di una casetta sui monti sopra Genova, dove invecchiare insieme, circondati da cani. Immagini d'epoca, scene di vita di tutti i giorni della coppia insieme dopo l'uscita dal carcere di Enzo, racconti della loro corrispondenza e un'intervista "doppia", stralci dell'opera di Remigio Zena, dello stesso regista e di Franco Fortini, compongono questo prodotto fuori dal comune, della durata inferiore all'ora e mezzo, che se da una parte ha il difetto di essere frammentario e molto lento nell'incedere, dall'altra stupisce per onestà e poesia, realismo e nostalgia di un tempo che fu. Due facce, anzi qualcuna in più (gli "amici" di Enzo e Mary), di un sottobosco che potrebbe benissimo popolare le canzoni di Tom Waits e Nick Cave, ma che ha ugualmente il diritto ad una vita dignitosa e ai sogni. Vincitore di diversi premi nel 2010, a Berlino, al Festival di Torino, ai David di Donatello, lascia un piacevole ricordo e ci consegna una voce fuori dal coro, nella persona di Pietro Marcello, documentarista borderline. Paolo Mereghetti e Goffredo Fofi scomodano Fassbinder e Pasolini: non a caso.

2 commenti:

dria ha detto...

Non poi così sorprendente che c'entrino i gesuiti di San Marcellino: pochi lo sanno, ma a Genova sono forse l'associazione più attiva riguardo i "senza fissa dimora". Ci sono parecchi volontari che ruotano attorno all'associazione, gestiti direttamente dai gesuiti (nel senso che i gesuiti stessi a loro volta fanno anche servizio attivo).

jumbolo ha detto...

beh, magari non si coglieva il nesso, ma ho pensato (non solo io, a dire il vero, leggendo in giro) che dato che i gesuiti sono un istituto religioso che osserva il voto di totale obbedienza al papa, anche se per vocazione missionari ed educatori, che abbiano commissionato e poi sostenuto un'opera che racconta genova e il suo sottobosco prendendo proprio a campione una coppia formata da una trans ex tossica ed il suo fidanzato ex galeotto, se non è sorprendente è quantomeno non allineato col pensiero della chiesa sui "manfruiti"...