Bal - di Semih Kaplanoglu (2010)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: ma siamo siuri che l'hanno girato 'n Turchia? Par d'essé all'abetone...
Turchia, lontano dalla capitale, in una regione montuosa, lontana dalla civiltà che conosciamo, in un tempo che probabilmente è situato qualche decina di anni fa. Yusuf, circa sei anni, vive con la madre Zehra, umile ed efficiente donna di casa contadina, ed il padre Yakup, apicultore vecchia maniera (il che vuol dire che pone le arnie sugli alberi nei boschi della zona), più che un padre, un amico per il piccolo. Yusuf va volentieri a scuola, ma ha problemi ad imparare a leggere, e la cosa lo frustra. I tempi sono duri, le api sono sempre meno, e Yakup comincia ad andare sempre più lontano per mettere le arnie.
Chiusura della Trilogia di Yusuf con, probabilmente, il più bello dei tre film, che non per niente vinse l'Orso d'Oro a Berlino nel 2010. Il regista, con una fotografia finalmente come si deve, e con delle location incredibilmente belle (segnatevi questo luogo: Camlihemsin, Turchia), ci racconta l'infanzia e i primi traumi di Yusuf, così come, magari, i luoghi e le esperienze che fanno nascere in lui l'ispirazione per diventare un poeta. Torna l'incedere lento, lentissimo, uno sguardo (ancora una volta) poetico, una storia di dolore ma soprattutto d'amore, di grande semplicità ma di valori veri, inossidabili. A volte, per fare un bel film, per affascinare lo spettatore, per suscitare emozioni, basta poco, una storia piccola, una buona mano, attenzione ai particolari, delle facce difficili da dimenticare. Torna Tulin Ozen, stavolta in una parte fondamentale, quella di Zehra, la madre di Yusuf, ma buona parte del film (che, fateci caso, si chiude quasi in una maniera contraria a Sut) è retta dal piccolo (e straordinario) Bora Altas, magnifico Yusuf in erba. Niente da aggiungere, solo da vedere.
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