No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20120402

fortuna


Luck - di David Milch - Stagione 1 (9 episodi; HBO) - 2011/2012

La notizia, che gli interessati avranno saputo (è stato deciso tra la messa in onda dell'episodio 7 e quella dell'episodio 8), è che la HBO ha deciso di cancellare Luck, nonostante avesse già rinnovato l'impegno per una seconda stagione di 10 episodi. Ufficialmente il motivo è la morte del terzo cavallo durante le riprese, quindi per evitare proteste di associazioni animaliste; come fanno notare gli esperti del ramo, in gioco però c'erano altissimi costi di produzione, e share non esaltanti. Per quando riguarda gli share, non stento a crederci: l'appeal di una serie atipica come Luck, per lo spettatore medio, stava tutta nei nomi del cast. Facciamo un passo indietro: di cosa parla la serie? Tutto ruota attorno all'ippodromo Santa Anita Park di Arcadia, California (che, pensate, durante la Seconda Guerra Mondiale fu uno dei campi di concentramento per giapponesi istituiti dal Presidente Roosevelt), e alla figura di Chester Ace Bernstein (Dustin Hoffman), apparentemente un ricco imprenditore, che in realtà ha fatto i soldi gestendo un'organizzazione malavitosa, che proprio mentre la serie comincia, esce di prigione, atteso dall'amico, autista, scagnozzo, guardia del corpo, tirapiedi, e chi ne ha più ne metta, Gus Demitriou (Dennis Farina). Ace vive in una lussuosa suite nell'hotel più prestigioso del luogo, e a suo dire si è fatto questi tre anni dentro per difendere il nipote, incastrato per una storia di droga dal suo acerrimo rivale (ma inizialmente suo partner in affari), Michael Mike Smythe (Michael Gambon), ed è determinato a vendicarsi, non in maniera violenta, bensì in un modo sottile e complesso, mettendo in piedi un affare molto costoso, ma pure molto redditizio, che coinvolge l'ippodromo stesso e l'allargamento del gioco d'azzardo dentro la struttura. Per finire, Ace è il proprietario occulto di un forte cavallo che "risiede" nelle scuderie del Santa Anita, l'irlandese Pint of Plain. Il prestanome è l'amico Gus. Il cavallo è allenato da Turo Escalante (John Ortiz), un rude ma efficace allenatore di cavalli, di origine peruviana, che allena anche Mon Gateau, un cavallo meno forte acquistato di recente (la dinamica è una delle molte cose difficili da comprendere, presenti nella serie) da quattro scommettitori incalliti, che di recente si sono, diciamo, messi in società, e sono riusciti a vincere una somma che non avrebbero mai immaginato di avere nella loro vita: Marcus (Kevin Dunn), esperto scommettitore in sedia a rotelle, Lonnie (Ian Hart) e Renzo (Ritche Coster), due perdigiorno molto meno esperti, e il giovane e belloccio Jerry (Jason Gedrick), la mente "matematica" delle scommesse vincenti, con il vizio del gioco, qualsiasi esso sia. Tra le scuderie dell'ippodromo si aggira costantemente il vecchio Walter Smith (Nick Nolte), allenatore e proprietario di un altro cavallo formidabile, Gettn'up Morning, regalatogli dal suo vecchio datore di lavoro, la cui proprietà gli è insidiata dal nipote di quest'ultimo, la veterinaria Jo Carter (Jill Hennessy), che ha uno strano rapporto con Escalante, Joey Rathburn (Richard Kind), un balbuziente manager di fantini, e i fantini Ronnie Jenkins (il vero fantino Gary Lynn Stevens, già attore in Seabiscuit, guarda caso proprio il cavallo la cui statua si intravede spesso negli episodi di Luck, al centro della pista dove i cavalli sfilano nel pre-gara), bravo ma col vizio dell'alcool e delle droghe, Leon Micheaux (Tom Payne), di origini francesi e sempre in una lotta distruttiva col suo peso, e Rosie Shanahan (Kerry Condon), irlandese, alla ricerca di un posto al sole.
Le storie di questi personaggi si intrecciano, in questi nove episodi da quasi un'ora (il primo e l'ultimo sono addirittura più lunghi di un'ora), tessendo una tela complessa, spesso usando termini tecnici, mostrando un sottobosco di varia umanità quantomeno interessante. Il respiro è molto cinematografico, la mano dei registi che si avvicendano alle direzioni molto morbida, la fotografia curatissima. Uso (e abuso) del ralenti durante le gare, primi piani dei cavalli protagonisti, dei loro corpi elastici, vigorosi e bellissimi. La serie è, come dice lo stesso creatore, un atto d'amore verso le corse dei cavalli, anche se la morte di tre di loro durante le riprese può sembrare un po' un paradosso, e un po' una beffa. E' un prodotto elegante, stiloso, la sceneggiatura è come detto complessa, e, questo è un po' il "difetto" che secondo me la serie ha nei confronti dello spettatore statunitense medio (che, alla fine, è quello che determina la sopravvivenza di una serie statunitense), lo sviluppo della trama si prende tutto il tempo necessario, e anche qualcosa di più. L'incedere è dunque molto lento, e devo dire che a volte riesce a sfinire pure il grande appassionato di prodotti di qualità.
Il cast, come detto e scritto, è grandioso, e c'è da citare pure Joan Allen (Claire Lachay), un irriconoscibile e impomatato Patrick J. Adams (Nathan Israel), una bella scoperta, almeno in fatto di estetica, la polacca Weronika Rosati (Naomi) e Ted Levine (Isadore Cohen); le prove di Hoffman e Nolte sono davvero molto intense, da grandi applausi, ma anche gli altri si difendono alla grande. Grande attenzione alla colonna sonora.

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