No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20130529

la fine

The Big C - Hereafter - di Darlene Hunt - Stagione 4 (4 episodi; Showtime) - 2013

Qualche mese dopo il finale della terza stagione, scopriamo che il peschereccio guidato da Angel, il portoricano che aveva "catturato" Cathy nelle sue reti mentre lei faceva immersioni e Sean si preoccupava di broccolare la subacquea figa, anziché tenere d'occhio sua sorella malata di cancro, era tutto un sogno causato dalle metastasi che, raggiunto il cervello, premevano sulla massa cerebrale. Dopo un salvataggio e un'operazione al cranio, Cathy si rende conto, insieme a tutta la famiglia, che le restano davvero pochi mesi da vivere, grazie a nuovi cicli di chemioterapia, che però la rendono fisicamente uno straccio. Seppellito Thomas, il cane che Marlene le ha lasciato alla sua morte, cominciamo a renderci conto delle dinamiche che si sono instaurate per vivere gli ultimi mesi di Cathy insieme. Paul, messa da parte la richiesta di divorzio, è ancora sotto lo stesso tetto, ma prosegue la sua attività di motivational speaker e scrivendo libri sullo stesso tono, assistito dalla giovane Amber, presenza fastidiosissima anche in casa Jamison. Adam sembra aver ritrovato un equilibrio, ma sta andando male a scuola, in particolare in chimica, e questo fa si che sua madre le affianchi Lydia, una secchiona di origini asiatiche, come tutor. Andrea è alle sue prime esperienze al college, e non sono tutte rose e fiori. Sean vive come sempre, emozionalmente sulle montagne russe, il sentiero di morte della sorella. Cathy sta vedendo, in parallelo alle cure, un'analista (della quale non conosceremo mai il nome). Saranno mesi lunghi ed intensi, che porteranno a decisioni drastiche, e ad una montagna russa di emozioni.

Forse a causa dello share in calo, un po' naturalmente perché una serie su una malata terminale di cancro non poteva durare all'infinito, come che sia Showtime ha deciso di chiudere The Big C un po' come farà HBO con Treme, ossia con una sorta di miniserie, che nonostante riprenda quasi esattamente da dove era terminata, come detto, la stagione precedente, ha perfino un sottotitolo tutto suo, e cioè Hereafter, e cioè in futuro, in avvenire, da qui in poi, ma pure aldilà. Quattro soli episodi, ma dalla durata praticamente doppia rispetto agli episodi delle stagioni precedenti, quasi un'ora l'uno, cronologicamente distanziati di alcuni mesi tra l'uno e l'altro.
Ora, come già detto spesso, e non ci posso fare niente perché è così ed è una cosa che giocoforza rimarrà impressa nella mia mente e nella mia persona, avendo vissuto un'esperienza simile con mia madre, sono sicuramente "di parte" giudicando una serie con questa tematica; ma nonostante la presenza istrionica di una, ancora una volta, straordinaria Laura Linney nel ruolo incontrastato della protagonista Cathy, meravigliosa anche quando vomita, fa la chemio e si caga (letteralmente) addosso, quando si vergogna di comprare una stampella perché ha ormai perso l'uso di una gamba, quando chiede l'eutanasia o quando manda affanculo un poliziotto che la ferma per guida (la sua ultima, evidentemente) pericolosa, The Big C, ed in particolare la sua stagione finale, è una serie (a dispetto del calo degli spettatori) bella, umana, dignitosa, che non nasconde allo spettatore niente del cancro, delle conseguenze della chemio, una serie che non ho paura a definire adulta a dispetto dei siparietti teenageriali (di Adam o di Andrea), delle follie sempre nuove di Sean, della immaturità tenera e bonaria di un (ancora una volta superlativo) Oliver Platt in grande spolvero nei panni di Paul, una serie che sta esattamente a metà tra Breaking Bad e Six Feet Under, che fa ridere e che fa piangere regalandoci pure momenti scontati ma molto molto intensi, come i fuochi d'artificio del compleanno di Adam, guarda caso proprio nella stessa location dove avevamo, nel finale della prima stagione, pianto a dirotto quando Adam aveva scoperto il garage dove la madre gli aveva preparato (appunto) un box pieno di regali "postumi", idea vista nell'altrettanto spezzacuore La mia vita senza me di Isabel Coixet, al quale la Hunt deve essersi per forza ispirata, e va bene così.*
Una serie che, a differenza, ma neppure troppo, di Six Feet Under, affronta la morte ma si ferma immediatamente prima, un passo prima, provando a raccontare come ci si può sentire accompagnando qualcuno verso l'incontro con la grande mietitrice, oppure andandovi incontro di persona. Una serie che è finita, ed è giusto così, ma che ci ha lasciato qualcosa. Senza ombra di dubbio.

*Questa frase di 15/20 (a seconda del vostro schermo) righe senza punto è dedicata a Filo, nella speranza che gli risulti leggibile. Nel caso vi fosse indigesta, non leggete mai Domani nella battaglia pensa a me.

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