Giudizio sintetico: si può vedere ma anche no (2,5/5)
Giudizio vernacolare: per capillo ci vole 'r libretto com'a teatro
Turchia rurale, oggi. Basri è un uomo anziano, impiegato delle ferrovie come controllore dei binari: chilometri e chilometri lungo i binari a controllare che sia tutto a posto, tutto in ordine. Vedovo da qualche anno, da 18 anni suo figlio, universitario ad Istanbul, è scomparso, durante le repressioni del regime turco negli anni '90. Basri, uomo di poche, pochissime parole, invaso da una tristezza senza fine, condannato a vivere per inerzia, da anni, ogni poco scrive due lettere, una alla Questura e una al Ministero, per avere notizie di suo figlio. Ascolta le notizie su una vecchia radiolina, mangia solo spesso in luoghi assurdi, lungo i binari, parla solo se interpellato. Le autorità sono scocciate. Il commissario locale gli fa spesso visita; quello nuovo, non perde occasione per convocarlo al commissariato, ed interrogarlo stancamente sulla ragione che spinge l'uomo a scrivere incessantemente, a non abbandonare la speranza. Nel contempo, qualche collega di Basri, in particolar modo Cemil, prende spunto dall'ossessione di Basri stesso per farne oggetto di scherno.
Il primo impulso che ho avuto, dopo aver visto Muffa, è stato quello di leggere altre recensioni. Tutte estremamente positive. Il secondo è stato chiedermi perché. Ecco, Muffa è uno di quei casi in cui si dubita fortemente della critica ufficiale, e che fa venire il sospetto che in pochi abbiano davvero visto il film; oppure, che sia uno di quei film dei quali si debba per forza parlare bene, magari perché lo distribuisce la Sacher di Nanni Moretti o perché è un film "politico". Vincitore del premio per la miglior opera prima, il film di debutto del turco Ali Aydin è debitore, a livello stilistico, di impostazione e di costruzione, senza dubbio verso Nuri Bilge Ceylan e pure verso il cinema iraniano, ma, a mio giudizio, manca della poesia ermetica che permea ad esempio tutte le opere di Ceylan, pur riprendendone alcuni attori (Ercan Kesal nella parte di Basri e Muhammet Uzuner nella parte del commissario) e qualche slancio paesaggistico (perfino alcune atmosfere molto somiglianti a C'era una volta in Anatolia). Ha inoltre il grave difetto di essere davvero troppo ermetico, e se non fosse per quei due pannelli introduttivi prima dell'inizio del film, non ci si capirebbe davvero niente. Poi c'è l'infinito problema del doppiaggio, che affligge qualsiasi opera audiovisiva, figuriamoci un film a basso costo e a distribuzione limitata come questo.
Molti recensori citano Dostoevskij, probabilmente a ragione, per il dolore ed il senso di colpa; certo è che il plot twist che genera il senso di colpa in Basri a me è parso un po' campato in aria. Era quindi chiaro anche al regista, anche sceneggiatore, che solo il dolore e la ricerca ossessiva del protagonista non poteva reggere l'intero film.
Bravi i due attori già citati, ma probabilmente ancor più bravo Tansu Bicer, intravisto in Sut di Kaplanoglu. Un film che mi ha lasciato alquanto dubbioso.
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