Roma - di Adolfo Aristarain (2004; inedito in Italia)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Spagna. Scrittore di discreto successo di origini argentina, Joaquín Góñez, da tempo ritiratosi a vita molto privata, personaggio scontroso e di poche parole, seppur potenzialmente pieno di aneddoti, cose da raccontare, e di grande cultura ed intelligenza, deve consegnare entro breve tempo la sua autobiografia al suo editore, che lo sta pressando. E' su spinta dell'editore stesso, che gli viene assegnato il giovane aspirante giornalista e scrittore Manuel Cueto, educato ma fermo, e non privo di prontezza di spirito e, pure lui, intelligenza. Nonostante le premesse, per niente incoraggianti, Manuel conquista l'anziano scrittore, e soprattutto, tra il suo rispetto e la sua curiosità, e i ricordi che l'autobiografia rivangano, Joaquín racconta e rivive la sua giovinezza a Buenos Aires, tra aria di dittatura, primi amori, musica, desideri, speranze, e soprattutto, la figura importantissima della madre, Roma Di Toro, donna delicata ma fortissima, vera artefice del destino di successo del figlio.
L'anziano regista argentino dice che questo, per il momento suo ultimo film, è parte di una trilogia sulle paure (interiori e psicologiche, suppongo, perché di certo non sono film horror), ma a me pare soprattutto di intravedere [mancandomene uno dei tre, il condizionale è d'obbligo; Martin (Hache) l'ho visto, e mi piacque, Lugares comunes no, ma a questo punto conto di recuperarlo], quale trait d'union, i rapporti familiari "interrotti". Come che sia, se si tralascia l'eccessiva durata (oltre due ore e mezzo), Roma è un film magari non di eccezionale interesse, ma dal forte impatto emotivo, evidentemente ispirato dal grande amore che questo regista ha per la sua nazione di origine, un po' prevedibile e formale, ma tutto sommato godibile, e sostenuto molto bene dai due protagonisti, José Sacristán (attore spagnolo dalla filmografia sterminata, già con Aristarain in Un posto nel mondo, e perfino con Gillo Pontecorvo in Ogro), nei panni di Joaquín Góñez da anziano, e da Juan Diego Botto, un attore anche lui di origini argentine ma emigrato in Spagna da piccolo dopo la scomparsa, come desaparecido, del padre, già con Aristarain in Martin (Hache), e attore che a me piace particolarmente, che qui se la cava (al solito) egregiamente in una doppia parte, quella di Manuel Cueto, e quella dello stesso Góñez da giovane. Molto brava anche l'argentina Susú Pecoraro nella parte di Roma.
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