For My Crimes - Marissa Nadler (2018)
La cosa che potrebbe sorprendervi di Marissa Nadler (37 anni, di Boston, Massachusetts), qui alle prese con il suo ottavo album, è sapere che ha coverizzato Black Sabbath e Danzig, o che è andata in tour con i Ghost. Oppure no, visto che lei stessa sostiene di avere più cose in comune con la scena black metal che con quella folk. Per chiarirvi meglio le idee, siamo potenzialmente davanti ad una musicista come Chelsea Wolfe, ma i dischi della Nadler non suonano per niente metal: per la maggior parte delle canzoni, c'è lei con la sua voce da mezzo-soprano, spesso riverberata, e la sua chitarra acustica. Altri strumenti appaiono, ma non così spesso. Scrive canzoni molto belle, romantiche e gotico-decadenti, su questo disco sembra che elabori, con i testi, l'avvicinarsi della fine di un rapporto di coppia, spesso avvalendosi di metafore interessanti (Said Goodbye to That Car, I Can't Listen to Gene Clarke Anymore), la sua voce ti riscalda davvero il cuore. Un altro bellissimo disco che va ad aggiungersi ad una carriera in crescita: ha dichiarato che per un po' non farà più dischi tristi. Chissà cosa ne uscirà fuori.
The thing you can be surprise about Marissa Nadler (37, from Boston, Massachusetts), here grappling with her eighth album, could be to be aware that she covered Black Sabbath and Danzig, or that she went on tour with Ghost. Or not, since she claims to have more in common with the black metal scene than with the folk one. To clarify your ideas better, we are potentially in front of a musician like Chelsea Wolfe, but Nadler's records do not play at all metal: for most of the songs, you can hear only her with her half-soprano voice, often reverberated, and her acoustic guitar. Other instruments appear, but not so often. She writes very beautiful songs, romantic and gothic-decadent, on this record seems to elaborate, with the lyrics, the approach of the end of a relationship, often using interesting metaphors (Said Goodbye to That Car, I Can't Listen to Gene Clarke Anymore), her voice really warms your heart. Another beautiful record that is added to a growing career: she said that for a while she will no longer make sad records. Who knows what will come out of it?
No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20181231
20181230
Voliera
Aviary - Julia Holter (2018)
Abbiamo già parlato di Julia Holter in occasione dei suoi due dischi precedenti, Have You in My Wilderness del 2015, e In the Same Room, live del 2017. Il titolo è ispirato a un passaggio dello scrittore libano-americano Etel Adnan, e la voliera è il simbolo di come la mente percepisce i ricordi. Come avevo già provato ad esprimere in occasione del commento al disco del 2015, l'ascolto dell'artista loasangelina richiede concentrazione, predisposizione alla sperimentazione, buona volontà e pazienza. Troverete recensioni esaltanti e totalmente opposte, proprio per questo. Al contrario del quasi rarefatto Have You, qua ci sono molti momenti densi e carichi di strumenti, oserei dire gioiosi seppur cacofonici e decisamente asimmetrici. Come sempre, riferimenti intellettuali altissimi, per un disco decisamente non facile: come ha scritto Q, "non è sempre facile, ma è spesso brillante".
We have already talked about Julia Holter on her two previous albums, Have You in My Wilderness 2015, and In the Same Room, live of 2017. The title is inspired by a line of the Lebanese-American writer Etel Adnan, and the aviary it is the symbol of how the mind perceives memories. As I had already tried to express on the occasion of the commentary on the record of 2015, listening to the Los Angeles' artist requires concentration, predisposition to experimentation, good will and patience. You will find exciting and totally opposite reviews, just for this. Unlike the almost rarefied Have You, here there are many dense and loaded moments of instruments, I would dare say joyful even if cacophonous and decidedly asymmetrical. As always, very high intellectual references, for a decidedly not easy album: as Q wrote, "it's not always easy, but it is frequently brilliant".
Abbiamo già parlato di Julia Holter in occasione dei suoi due dischi precedenti, Have You in My Wilderness del 2015, e In the Same Room, live del 2017. Il titolo è ispirato a un passaggio dello scrittore libano-americano Etel Adnan, e la voliera è il simbolo di come la mente percepisce i ricordi. Come avevo già provato ad esprimere in occasione del commento al disco del 2015, l'ascolto dell'artista loasangelina richiede concentrazione, predisposizione alla sperimentazione, buona volontà e pazienza. Troverete recensioni esaltanti e totalmente opposte, proprio per questo. Al contrario del quasi rarefatto Have You, qua ci sono molti momenti densi e carichi di strumenti, oserei dire gioiosi seppur cacofonici e decisamente asimmetrici. Come sempre, riferimenti intellettuali altissimi, per un disco decisamente non facile: come ha scritto Q, "non è sempre facile, ma è spesso brillante".
We have already talked about Julia Holter on her two previous albums, Have You in My Wilderness 2015, and In the Same Room, live of 2017. The title is inspired by a line of the Lebanese-American writer Etel Adnan, and the aviary it is the symbol of how the mind perceives memories. As I had already tried to express on the occasion of the commentary on the record of 2015, listening to the Los Angeles' artist requires concentration, predisposition to experimentation, good will and patience. You will find exciting and totally opposite reviews, just for this. Unlike the almost rarefied Have You, here there are many dense and loaded moments of instruments, I would dare say joyful even if cacophonous and decidedly asymmetrical. As always, very high intellectual references, for a decidedly not easy album: as Q wrote, "it's not always easy, but it is frequently brilliant".
20181229
20181228
Troppo poco e troppo tardi
Graveyard + Bombus, Zona Roveri, Bologna, 28 settembre 2018
Fa ancora caldo, quindi egoisticamente, ci compiaciamo che non ci sia il pienone, per questa venuta in Italia degli svedesi Graveyard, sciolti un paio di anni fa (mentre avevo comprato il biglietto per il loro concerto di Ravenna) e poi riformatisi. Siamo con l'amico Mazza presso la Zona Roveri, e ascoltiamo distrattamente i supporters Bombus, compaesani dei Graveyard ma abbastanza trascurabili. Ecco quindi il quartetto di Goteborg salire sul palco, ed attaccare con Walk On, dal nuovo Peace, album che naturalmente la farà da padrone stasera. I suoni sono convincenti, la presenza scenica così così (non sono gli Hellacopters, per intenderci, e nessuno dei quattro ha il magnetismo di Nicke Royale), ci colpisce molto il chitarrista solista Jonatan Larocca-Ramm, che unisce tecnica e gusto, un paio di cosette che non sempre vanno a braccetto. Sorprendentemente, la scaletta lascia fuori qualsiasi estratto da Innocence & Decadence, e questo mi offende un po', visto che quel disco metteva in luce le radici blues, e possedeva due tracce malinconiche quali Stay for a Song e Too Much Is Not Enough. Con un po' di amaro in bocca, quindi, ce ne torniamo da dove siamo venuti.
Here then the quartet of Gothenburg, that go on stage, and attack with Walk On, from the new Peace album that will naturally be the driver, tonight. The sounds are convincing, the stage presence so-so (they are not the Hellacopters, so to speak, and none of the four has the magnetism of Nicke Royale), we are very struck by the solo guitarist Jonatan Larocca-Ramm, who combines technique and taste, a couple of little things that do not always go hand in hand. Surprisingly, the setlist leaves out any extract from Innocence & Decadence, and this offends me a bit, since that record highlighted the blues roots, and had two melancholic tracks like Stay for a Song and Too Much Is Not Enough. So, with a little bitter taste in the mouth, we're going back to where we came from.
Fa ancora caldo, quindi egoisticamente, ci compiaciamo che non ci sia il pienone, per questa venuta in Italia degli svedesi Graveyard, sciolti un paio di anni fa (mentre avevo comprato il biglietto per il loro concerto di Ravenna) e poi riformatisi. Siamo con l'amico Mazza presso la Zona Roveri, e ascoltiamo distrattamente i supporters Bombus, compaesani dei Graveyard ma abbastanza trascurabili. Ecco quindi il quartetto di Goteborg salire sul palco, ed attaccare con Walk On, dal nuovo Peace, album che naturalmente la farà da padrone stasera. I suoni sono convincenti, la presenza scenica così così (non sono gli Hellacopters, per intenderci, e nessuno dei quattro ha il magnetismo di Nicke Royale), ci colpisce molto il chitarrista solista Jonatan Larocca-Ramm, che unisce tecnica e gusto, un paio di cosette che non sempre vanno a braccetto. Sorprendentemente, la scaletta lascia fuori qualsiasi estratto da Innocence & Decadence, e questo mi offende un po', visto che quel disco metteva in luce le radici blues, e possedeva due tracce malinconiche quali Stay for a Song e Too Much Is Not Enough. Con un po' di amaro in bocca, quindi, ce ne torniamo da dove siamo venuti.
Here then the quartet of Gothenburg, that go on stage, and attack with Walk On, from the new Peace album that will naturally be the driver, tonight. The sounds are convincing, the stage presence so-so (they are not the Hellacopters, so to speak, and none of the four has the magnetism of Nicke Royale), we are very struck by the solo guitarist Jonatan Larocca-Ramm, who combines technique and taste, a couple of little things that do not always go hand in hand. Surprisingly, the setlist leaves out any extract from Innocence & Decadence, and this offends me a bit, since that record highlighted the blues roots, and had two melancholic tracks like Stay for a Song and Too Much Is Not Enough. So, with a little bitter taste in the mouth, we're going back to where we came from.
20181227
Revolution
Humans - sviluppato da Sam Vincent e Jonathan Brackley - Stagione 3 (8 episodi; Channel 4 / AMC) - 2018
E' passato un anno dal Day Zero, giorno in cui è avvenuta una sorta di riazzeramento della società. In quel giorno, il codice di coscienza è stato distribuito ai synth, e in seguito a ciò, vari incidenti hanno portato migliaia di morti in giro per il mondo, sia tra umani sia tra synth. Come conseguenza, i synth coscienti sono stati segregati in una comunità, guidata da Max, Mia e Flash, mentre Laura, che si è nel frattempo separata da Joe, è divenuta ufficialmente la loro avvocata. Si sono diffusi nuovi synth, con gli occhi di colore arancione, non coscienti, mentre Niska e Karen vivono tra gli umani sotto mentite spoglie. Karen vive con Sam, e gli insegna a comportarsi come un bambino umano. Movimenti terroristici si diffondono: una bomba esplode in un bar synth-frienldy, e Astrid rimane ferita gravemente; una banda di umani uccide Flash per vendetta. Mattie visita la comunità dove sono segregati i synth, e si incolpa per tutte le morti. Niska si mette a caccia di terroristi anti-synth. Leo è ancora attaccato alle macchine, e Max stacca il supporto vitale, per salvare un altro synth, sperando che Leo sopravviva. La polizia armata irrompe nella centrale elettrica che ospita la comunità, costringendo Niska a nascondersi e Matilda a rianimare Leo. La comunità di synth è costretta ad inginocchiarsi sotto la minaccia delle armi, ma Agnes e Ferdinand, che simpatizzano con i terroristi anti-umani, rimangono in piedi, e invitano il comandante della polizia a sparare loro.
Come detto anche nelle recensioni delle stagioni precedenti, la versione inglese dello svedese Akta Manniskor ha velocemente trovato la propria strada, diventando una serie che seguo davvero con piacere, certamente anche per la presenza di Gemma Chan nei panni di Mia. Come al solito, i risvolti etico-sociali sono sempre molto interessanti, e nonostante qualche passaggio non troppo indovinato, Humans rimane una serie interessante e alternativa alla predominanza USA, e questa terza stagione mi è parsa particolarmente valida, e perfino coraggiosa, soprattutto in un finale funambolico, che probabilmente, ci regalerà una possibile quarta stagione senza alcuni protagonisti, e con un futuro davvero interessante. Non c'è ancora stato, però, il rinnovo certo, per la nuova stagione.
As mentioned in the reviews of previous seasons, the English version of the Swedish Akta Manniskor has quickly found its way, becoming a series that I follow with pleasure, certainly also for the presence of Gemma Chan in the role of Mia. As usual, the ethical-social implications are always very interesting, and despite some passages not too well guessed, Humans remains an interesting and alternative series to the US predominance, and this third season seemed to me particularly valid, and even brave, especially in a pyrotechnical finale, which probably will give us a possible fourth season without some protagonists, and with a very interesting future. However, there has not yet been a certain renewal for the new season.
E' passato un anno dal Day Zero, giorno in cui è avvenuta una sorta di riazzeramento della società. In quel giorno, il codice di coscienza è stato distribuito ai synth, e in seguito a ciò, vari incidenti hanno portato migliaia di morti in giro per il mondo, sia tra umani sia tra synth. Come conseguenza, i synth coscienti sono stati segregati in una comunità, guidata da Max, Mia e Flash, mentre Laura, che si è nel frattempo separata da Joe, è divenuta ufficialmente la loro avvocata. Si sono diffusi nuovi synth, con gli occhi di colore arancione, non coscienti, mentre Niska e Karen vivono tra gli umani sotto mentite spoglie. Karen vive con Sam, e gli insegna a comportarsi come un bambino umano. Movimenti terroristici si diffondono: una bomba esplode in un bar synth-frienldy, e Astrid rimane ferita gravemente; una banda di umani uccide Flash per vendetta. Mattie visita la comunità dove sono segregati i synth, e si incolpa per tutte le morti. Niska si mette a caccia di terroristi anti-synth. Leo è ancora attaccato alle macchine, e Max stacca il supporto vitale, per salvare un altro synth, sperando che Leo sopravviva. La polizia armata irrompe nella centrale elettrica che ospita la comunità, costringendo Niska a nascondersi e Matilda a rianimare Leo. La comunità di synth è costretta ad inginocchiarsi sotto la minaccia delle armi, ma Agnes e Ferdinand, che simpatizzano con i terroristi anti-umani, rimangono in piedi, e invitano il comandante della polizia a sparare loro.
Come detto anche nelle recensioni delle stagioni precedenti, la versione inglese dello svedese Akta Manniskor ha velocemente trovato la propria strada, diventando una serie che seguo davvero con piacere, certamente anche per la presenza di Gemma Chan nei panni di Mia. Come al solito, i risvolti etico-sociali sono sempre molto interessanti, e nonostante qualche passaggio non troppo indovinato, Humans rimane una serie interessante e alternativa alla predominanza USA, e questa terza stagione mi è parsa particolarmente valida, e perfino coraggiosa, soprattutto in un finale funambolico, che probabilmente, ci regalerà una possibile quarta stagione senza alcuni protagonisti, e con un futuro davvero interessante. Non c'è ancora stato, però, il rinnovo certo, per la nuova stagione.
As mentioned in the reviews of previous seasons, the English version of the Swedish Akta Manniskor has quickly found its way, becoming a series that I follow with pleasure, certainly also for the presence of Gemma Chan in the role of Mia. As usual, the ethical-social implications are always very interesting, and despite some passages not too well guessed, Humans remains an interesting and alternative series to the US predominance, and this third season seemed to me particularly valid, and even brave, especially in a pyrotechnical finale, which probably will give us a possible fourth season without some protagonists, and with a very interesting future. However, there has not yet been a certain renewal for the new season.
20181226
Sirene di Gerico
Jericho Sirens - Hot Snakes (2018)
Così, a volte vanno le cose. L'amico Damiano mi segnala una band con una canzone che non riesce a togliersi dalla testa. Prendo il nome ed inizio a cercare. Scopro una band che avrei dovuto segnalargli io, non il contrario. Gli Hot Snakes, da San Diego, California, capitanati da Rick Froberg, chitarra e voce, e John Reis, chitarra e cori, sono formati da musicisti statunitensi di lungo corso, provenienti da esperienze post-hardcore quali quelle dei Pitchfork, Drive Like Jehu e Rocket from the Crypt. Gli stessi Hot Snakes si formano nell'ormai lontanissimo 1999, si sciolgono nel 2005, e si rimettono insieme nel 2011, arrivando fino ad oggi, con questo quarto album in studio, intitolato Jericho Sirens, che li ha visti tornare in studio dopo 14 anni. Il risultato è un eccitante raccolta di 10 canzoni brevissime e pressoché perfette. L'esperienza si sente non solo nella padronanza tecnica, ma nella struttura delle tracce e nell'alternanza strofa/ritornello, senza dimenticare che i testi non sono assolutamente trascurabili. Con un etica ancora oggi totalmente DIY, questo è un disco che ha molto da insegnare. Per farvi capire bene, ogni tanto sembra di ascoltare i Mudhoney, ma qui ci sono canzoni che sono superiori ad una buona parte della produzione della band di Seattle.
So, sometimes things go in a strange way. The friend Damiano points me a band with a song that can not get out of his head. I take the name and start looking. I discover a band that I should have point him myself, not the other way around. The Hot Snakes, from San Diego, California, led by Rick Froberg, guitar and vocals, and John Reis, guitar and backing vocals, are made up of long-time American musicians from post-hardcore experiences like Pitchfork, Drive Like Jehu and Rocket from the Crypt. The same Hot Snakes are formed in the now very distant 1999, they disbanded in 2005, and get together again in 2011, arriving until today, with this fourth studio album, entitled Jericho Sirens, who saw them return to the studio after 14 years. The result is an exciting collection of 10 very short and almost perfect songs. The experience can be heard not only in technical mastery, but in the structure of the tracks and the alternation verse/chorus/verse, without forgetting that the texts are not negligible. With an ethics still today totally DIY, this is a record that has a lot to teach. To make you understand well, sometimes it seems to listen to the Mudhoney, but here are songs that are superior to a good part of the production of the band from Seattle.
Così, a volte vanno le cose. L'amico Damiano mi segnala una band con una canzone che non riesce a togliersi dalla testa. Prendo il nome ed inizio a cercare. Scopro una band che avrei dovuto segnalargli io, non il contrario. Gli Hot Snakes, da San Diego, California, capitanati da Rick Froberg, chitarra e voce, e John Reis, chitarra e cori, sono formati da musicisti statunitensi di lungo corso, provenienti da esperienze post-hardcore quali quelle dei Pitchfork, Drive Like Jehu e Rocket from the Crypt. Gli stessi Hot Snakes si formano nell'ormai lontanissimo 1999, si sciolgono nel 2005, e si rimettono insieme nel 2011, arrivando fino ad oggi, con questo quarto album in studio, intitolato Jericho Sirens, che li ha visti tornare in studio dopo 14 anni. Il risultato è un eccitante raccolta di 10 canzoni brevissime e pressoché perfette. L'esperienza si sente non solo nella padronanza tecnica, ma nella struttura delle tracce e nell'alternanza strofa/ritornello, senza dimenticare che i testi non sono assolutamente trascurabili. Con un etica ancora oggi totalmente DIY, questo è un disco che ha molto da insegnare. Per farvi capire bene, ogni tanto sembra di ascoltare i Mudhoney, ma qui ci sono canzoni che sono superiori ad una buona parte della produzione della band di Seattle.
So, sometimes things go in a strange way. The friend Damiano points me a band with a song that can not get out of his head. I take the name and start looking. I discover a band that I should have point him myself, not the other way around. The Hot Snakes, from San Diego, California, led by Rick Froberg, guitar and vocals, and John Reis, guitar and backing vocals, are made up of long-time American musicians from post-hardcore experiences like Pitchfork, Drive Like Jehu and Rocket from the Crypt. The same Hot Snakes are formed in the now very distant 1999, they disbanded in 2005, and get together again in 2011, arriving until today, with this fourth studio album, entitled Jericho Sirens, who saw them return to the studio after 14 years. The result is an exciting collection of 10 very short and almost perfect songs. The experience can be heard not only in technical mastery, but in the structure of the tracks and the alternation verse/chorus/verse, without forgetting that the texts are not negligible. With an ethics still today totally DIY, this is a record that has a lot to teach. To make you understand well, sometimes it seems to listen to the Mudhoney, but here are songs that are superior to a good part of the production of the band from Seattle.
20181225
Zucchero bruciato
Burnt Sugar - Gouge Away (2018)
Stereogum li definisce amabilmente "mouth-foaming fuck-you-up hardcore", che potremmo tradurre, con il pressappochismo che ci contraddistingue, "hardcore rabbioso e fanculeggiante". C'è senz'altro di più, ve ne accorgerete immediatamente ascoltando questo loro secondo, massiccio disco che si intitola Burnt Sugar. La band di Fort Lauderdale, Florida, è sponsorizzata dai Converge (escono per la Deatwish, l'etichetta co-gestita da Jacob Bannon insieme a Tre McCarthy), il disco è prodotto da Jack Shirley (Deafheaven) e Jeremy Bolm (il cantante dei Touché Amoré). La cantante e leader Christina Michelle canta (urla) come se non ci fosse un domani, generalmente del male di vivere, e il disco suona prepotente, hardcore ma anche molto noise rock: Fugazi, Jesus Lizard, ma pure Sonic Youth e Pixies. Se avete seguito un certo tipo di "scena", probabilmente questo disco vi farà sentire anche un po' di nostalgia; sicuramente, ci ricorda che non importa la doppia cassa, per fare musica violenta.
Stereogum defines them, in a lovely way, "mouth-foaming fuck-you-up hardcore". There is certainly more, you will notice immediately listening to their second, massive album called Burnt Sugar. The band of Fort Lauderdale, Florida, is sponsored by Converge (come out for Deatwish, the label co-directed by Jacob Bannon along with Tre McCarthy), the record is produced by Jack Shirley (Deafheaven) and Jeremy Bolm (the singer of the Touché Amoré). The singer and leader Christina Michelle sings (screams) as if there was not a tomorrow, usually of the evil of living, and the album sounds overbearing, hardcore but also a lot of noise rock: Fugazi, Jesus Lizard, but also Sonic Youth and Pixies. If you have followed a certain type of "scene", probably this record will make you feel a bit of nostalgia; surely, it reminds us that it does not matter the blast beat, to make violent music.
Stereogum li definisce amabilmente "mouth-foaming fuck-you-up hardcore", che potremmo tradurre, con il pressappochismo che ci contraddistingue, "hardcore rabbioso e fanculeggiante". C'è senz'altro di più, ve ne accorgerete immediatamente ascoltando questo loro secondo, massiccio disco che si intitola Burnt Sugar. La band di Fort Lauderdale, Florida, è sponsorizzata dai Converge (escono per la Deatwish, l'etichetta co-gestita da Jacob Bannon insieme a Tre McCarthy), il disco è prodotto da Jack Shirley (Deafheaven) e Jeremy Bolm (il cantante dei Touché Amoré). La cantante e leader Christina Michelle canta (urla) come se non ci fosse un domani, generalmente del male di vivere, e il disco suona prepotente, hardcore ma anche molto noise rock: Fugazi, Jesus Lizard, ma pure Sonic Youth e Pixies. Se avete seguito un certo tipo di "scena", probabilmente questo disco vi farà sentire anche un po' di nostalgia; sicuramente, ci ricorda che non importa la doppia cassa, per fare musica violenta.
Stereogum defines them, in a lovely way, "mouth-foaming fuck-you-up hardcore". There is certainly more, you will notice immediately listening to their second, massive album called Burnt Sugar. The band of Fort Lauderdale, Florida, is sponsored by Converge (come out for Deatwish, the label co-directed by Jacob Bannon along with Tre McCarthy), the record is produced by Jack Shirley (Deafheaven) and Jeremy Bolm (the singer of the Touché Amoré). The singer and leader Christina Michelle sings (screams) as if there was not a tomorrow, usually of the evil of living, and the album sounds overbearing, hardcore but also a lot of noise rock: Fugazi, Jesus Lizard, but also Sonic Youth and Pixies. If you have followed a certain type of "scene", probably this record will make you feel a bit of nostalgia; surely, it reminds us that it does not matter the blast beat, to make violent music.
20181224
Teoria della simulazione
Simulation Theory - Muse (2018)
Curioso passare dal parlarvi di uno dei dischi più belli dell'anno, ad uno dei più brutti. Ebbene si, me ne prendo tutta la responsabilità, e vi dico che la band di Teignmouth, Devon UK, giunta al suo ottavo disco in studio, è riuscita a deludere anche uno come me, che li ha sempre rispettati, e mai derisi, come invece molti altri appassionati di musica, per il loro supponente art rock che spesso mi ha ricordato la pomposità dei Queen (fatte le debite differenze), ma che mi ha sempre impressionato per l'approccio dal vivo. Nel leggere la lista dei produttori mi salta agli occhi il nome di Timbaland, e mi ricordo lo scempio che riuscì a fare con Scream (di Chris Cornell): tenetene di conto. Tralasciando il concetto che sta dietro alle liriche del disco, che si basa appunto sulla supposizione che la realtà sia una simulazione, una finzione (una roba un po' alla Matrix e ormai risentita più volte), è chiaro il tentativo del trio di cambiare un po' direzione musicale. Questa è una cosa che io, come forse ormai avrete compreso, solitamente rispetto. Il problema è che qui, il tentativo dei Muse di spingere l'acceleratore verso un synth-pop con reminiscenze anni '80, innestato sulla loro già citata "pomposità", assume i toni del kitsch. Io vi ho avvisato: se volete ascoltarlo, lo farete a vostro rischio e pericolo. Simulation Theory dei Muse è onestamente, e senza preconcetti, uno dei dischi più brutti che mi sia capitato di ascoltare nel 2018.
It's quite peculiar, to pass from talking about one of the most beautiful records of the year, to one of the ugliest. Yes, I take all the responsibility, and I tell you that the band of Teignmouth, Devon UK, now in its eighth record in the studio, has managed to disappoint even someone like me, who has always respected them, and never laughed, as instead many other music fans, for their supposed art rock that often reminded me of the pomposity of Queen (made the due differences), but that has always impressed me for the live approach. When I read the list of producers, the name of Timbaland catches my eye, and I remember the havoc he managed to do with Scream (by Chris Cornell): take it into account. Leaving aside the concept behind the lyrics of the album, which is based precisely on the assumption that reality is a simulation, a fiction (something a bit as Matrix and now heard it several times), it is clear the trio's attempt to change a little their musical direction. This is something that I, as you may have already understood, usually respect. The problem is that here, the attempt by the Muse to push the accelerator towards a synth-pop with reminiscences of the 80s, grafted on their already mentioned "pomposity", takes on the tones of kitsch. I have warned you: if you want to listen to it, you will do it at your own risk. Simulation Theory of the Muse is honestly, and without preconceptions, one of the ugliest records I've ever heard in 2018.
Curioso passare dal parlarvi di uno dei dischi più belli dell'anno, ad uno dei più brutti. Ebbene si, me ne prendo tutta la responsabilità, e vi dico che la band di Teignmouth, Devon UK, giunta al suo ottavo disco in studio, è riuscita a deludere anche uno come me, che li ha sempre rispettati, e mai derisi, come invece molti altri appassionati di musica, per il loro supponente art rock che spesso mi ha ricordato la pomposità dei Queen (fatte le debite differenze), ma che mi ha sempre impressionato per l'approccio dal vivo. Nel leggere la lista dei produttori mi salta agli occhi il nome di Timbaland, e mi ricordo lo scempio che riuscì a fare con Scream (di Chris Cornell): tenetene di conto. Tralasciando il concetto che sta dietro alle liriche del disco, che si basa appunto sulla supposizione che la realtà sia una simulazione, una finzione (una roba un po' alla Matrix e ormai risentita più volte), è chiaro il tentativo del trio di cambiare un po' direzione musicale. Questa è una cosa che io, come forse ormai avrete compreso, solitamente rispetto. Il problema è che qui, il tentativo dei Muse di spingere l'acceleratore verso un synth-pop con reminiscenze anni '80, innestato sulla loro già citata "pomposità", assume i toni del kitsch. Io vi ho avvisato: se volete ascoltarlo, lo farete a vostro rischio e pericolo. Simulation Theory dei Muse è onestamente, e senza preconcetti, uno dei dischi più brutti che mi sia capitato di ascoltare nel 2018.
It's quite peculiar, to pass from talking about one of the most beautiful records of the year, to one of the ugliest. Yes, I take all the responsibility, and I tell you that the band of Teignmouth, Devon UK, now in its eighth record in the studio, has managed to disappoint even someone like me, who has always respected them, and never laughed, as instead many other music fans, for their supposed art rock that often reminded me of the pomposity of Queen (made the due differences), but that has always impressed me for the live approach. When I read the list of producers, the name of Timbaland catches my eye, and I remember the havoc he managed to do with Scream (by Chris Cornell): take it into account. Leaving aside the concept behind the lyrics of the album, which is based precisely on the assumption that reality is a simulation, a fiction (something a bit as Matrix and now heard it several times), it is clear the trio's attempt to change a little their musical direction. This is something that I, as you may have already understood, usually respect. The problem is that here, the attempt by the Muse to push the accelerator towards a synth-pop with reminiscences of the 80s, grafted on their already mentioned "pomposity", takes on the tones of kitsch. I have warned you: if you want to listen to it, you will do it at your own risk. Simulation Theory of the Muse is honestly, and without preconceptions, one of the ugliest records I've ever heard in 2018.
20181223
Santo inferno
Holy Hell - Architects (2018)
Come sa chi li segue anche solo un poco, dopo un momento di titubanza, seguito alla morte del chitarrista fondatore e principale compositore, Tom Searle (fratello gemello di Dan, batterista), la band inglese, punta di diamante del movimento metalcore che proviene dalla Perfida Albione insieme agli amici Bring Me the Horizon, ha deciso di continuare. Subentrato Josh Middleton dai Sylosis alla chitarra solista (integratosi immediatamente come compositore principale nonché produttore, insieme a Dan; Dan è inoltre, l'autore di tutti i testi), e preceduto da tre singoli piuttosto incisivi (Hereafter, Royal Beggars e Modern Misery), all'inizio di Novembre è uscito quindi l'ottavo disco degli Architects, il primo quindi senza Tom. E' un disco che, a mio modesto parere, riesce a trasmettere già dalla musica, la sofferenza della perdita e il tentativo dell'elaborazione del lutto, costruito su una sorta di rabbia pilotata e trasformata in musica metal moderna. Chitarre dalla potenza inaudita, sezione ritmica martellante, uso ponderato e assolutamente redditizio di archi ed elettronica, e la, sempre per me, splendida voce di Sam Carter, veramente un maestro dello scream/harsh, capace anche di un cantato pulito suggestivo, anche se le vette più alte le tocca sempre con le melodie che riesce a raggiungere quando canta "sporco" (aiutato da ottime backing vocals). Le canzoni sono tutte validissime, undici pezzi senza alcun riempitivo, undici inni pronti ad essere cantati a squarciagola nel tour che è già cominciato, undici momenti di emozione regalati a loro stessi e ai fan. Ci sarà sempre chi si rifugerà nei classici "eh mai i dischi precedenti", ma come sapete, a me piace guardare avanti. Senza dubbio uno dei dischi dell'anno 2018.
As knows who follows them even just a little, after a period of hesitation, following the death of the founding guitarist and main composer, Tom Searle (twin brother of Dan, drummer), the English band, spearhead of the metalcore movement that comes from the UK, together with friends Bring Me the Horizon, has decided to continue. Substituted Josh Middleton from Sylosis to the lead guitar (immediately integrating as main composer and producer, along with Dan, Dan is also the author of all the lyrics), and preceded by three rather incisive singles (Hereafter, Royal Beggars and Modern Misery), at the beginning of November the eighth album by Architects was released, the first therefore without Tom. It is a record that, in my humble opinion, manages to transmit already from the music, the suffering of loss and the attempt of the elaboration of mourning, built on a sort of rage piloted and transformed into modern metal music. Guitars of sensational power, hammering rhythmic section, thoughtful and absolutely profitable use of strings and electronics, and the, still for me, wonderful voice of Sam Carter, really a master of the scream/harsh, also capable of a clean suggestive singing, even if the highest peaks he always touches with the melodies he manages to reach when he sings "dirty" (aided by excellent backing vocals). The songs are all very valid, eleven tracks without any fillers, eleven hymns ready to be sung loudly on the tour that has already begun, eleven moments of emotion given to themselves and to the fans. There will always be those who take refuge in the classic "eh, but the previous records you know", but as you know, I like to look forward. Without a doubt one of the records of the year 2018.
Come sa chi li segue anche solo un poco, dopo un momento di titubanza, seguito alla morte del chitarrista fondatore e principale compositore, Tom Searle (fratello gemello di Dan, batterista), la band inglese, punta di diamante del movimento metalcore che proviene dalla Perfida Albione insieme agli amici Bring Me the Horizon, ha deciso di continuare. Subentrato Josh Middleton dai Sylosis alla chitarra solista (integratosi immediatamente come compositore principale nonché produttore, insieme a Dan; Dan è inoltre, l'autore di tutti i testi), e preceduto da tre singoli piuttosto incisivi (Hereafter, Royal Beggars e Modern Misery), all'inizio di Novembre è uscito quindi l'ottavo disco degli Architects, il primo quindi senza Tom. E' un disco che, a mio modesto parere, riesce a trasmettere già dalla musica, la sofferenza della perdita e il tentativo dell'elaborazione del lutto, costruito su una sorta di rabbia pilotata e trasformata in musica metal moderna. Chitarre dalla potenza inaudita, sezione ritmica martellante, uso ponderato e assolutamente redditizio di archi ed elettronica, e la, sempre per me, splendida voce di Sam Carter, veramente un maestro dello scream/harsh, capace anche di un cantato pulito suggestivo, anche se le vette più alte le tocca sempre con le melodie che riesce a raggiungere quando canta "sporco" (aiutato da ottime backing vocals). Le canzoni sono tutte validissime, undici pezzi senza alcun riempitivo, undici inni pronti ad essere cantati a squarciagola nel tour che è già cominciato, undici momenti di emozione regalati a loro stessi e ai fan. Ci sarà sempre chi si rifugerà nei classici "eh mai i dischi precedenti", ma come sapete, a me piace guardare avanti. Senza dubbio uno dei dischi dell'anno 2018.
As knows who follows them even just a little, after a period of hesitation, following the death of the founding guitarist and main composer, Tom Searle (twin brother of Dan, drummer), the English band, spearhead of the metalcore movement that comes from the UK, together with friends Bring Me the Horizon, has decided to continue. Substituted Josh Middleton from Sylosis to the lead guitar (immediately integrating as main composer and producer, along with Dan, Dan is also the author of all the lyrics), and preceded by three rather incisive singles (Hereafter, Royal Beggars and Modern Misery), at the beginning of November the eighth album by Architects was released, the first therefore without Tom. It is a record that, in my humble opinion, manages to transmit already from the music, the suffering of loss and the attempt of the elaboration of mourning, built on a sort of rage piloted and transformed into modern metal music. Guitars of sensational power, hammering rhythmic section, thoughtful and absolutely profitable use of strings and electronics, and the, still for me, wonderful voice of Sam Carter, really a master of the scream/harsh, also capable of a clean suggestive singing, even if the highest peaks he always touches with the melodies he manages to reach when he sings "dirty" (aided by excellent backing vocals). The songs are all very valid, eleven tracks without any fillers, eleven hymns ready to be sung loudly on the tour that has already begun, eleven moments of emotion given to themselves and to the fans. There will always be those who take refuge in the classic "eh, but the previous records you know", but as you know, I like to look forward. Without a doubt one of the records of the year 2018.
20181222
20181221
Ipercubo quadridimensionale
TesseracT + Between the Buried and Me + Plini, Campus Music Industry, Parma, 24 novembre 2018
Di ritorno da un viaggio in auto (da solo) che mi ha portato prima in Francia per lavoro, poi in Svizzera per un altro concerto, mi fermo a Parma per il concerto degli inglesi TesseracT, band fino a pochi mesi fa a me sconosciuta, e "coperta" in seguito alla segnalazione dell'amico Beach, che purtroppo stasera non ha potuto farmi compagnia. Arrivo per la prima volta al Campus, un locale che negli ultimi tempi organizza molti eventi di questo tipo, e che ha da poco registrato il tutto esaurito, e mi piazzo in una zona che ritengo strategica quando gli statunitensi Between the Buried and Me hanno ancora qualche pezzo da eseguire, e devo dire che non mi sembrano affatto male, in quel loro caleidoscopio di influenze, come se fossero degli EELST solo un poco più "seri", andando dal mathcore al free jazz. Cambio palco mentre il locale si riempie, ed ecco il quintetto di Milton Keynes che sale sul palco. Si parte con Luminary, così come apre il loro ultimo Sonder, il suono è pressoché perfetto e si, la "riproduzione" è impressionante da quanto simile al disco. Il cantante Daniel si dimostra un tipo molto umile, definendo da subito il pubblico "la nostra famiglia", e ringraziando spesso e volentieri. Il concerto prosegue con una scaletta equilibratissima tra i loro quattro album, e le persone del pubblico ondeggiano le loro teste con soddisfazione, al ritmo sincopato che unisce djent, progressive, e melodie da hard rock classico. Musicisti impeccabili senza dubbio, questi TesseracT.
Here's Milton Keynes's quintet that goes on stage. It starts with Luminary, as opens up their last Sonder, the sound is almost perfect and yes, the "reproduction" is impressive from how similar to the record. The singer Daniel proves to be a very humble guy, immediately defining the audience "our family", and thanking often and willingly. The concert continues with a very balanced setlist between their four albums, and the audience members sway their heads with satisfaction, to the syncopated rhythm that unites djent, progressive, and classical hard rock melodies. Impeccable musicians without a doubt, these TesseracT.
Di ritorno da un viaggio in auto (da solo) che mi ha portato prima in Francia per lavoro, poi in Svizzera per un altro concerto, mi fermo a Parma per il concerto degli inglesi TesseracT, band fino a pochi mesi fa a me sconosciuta, e "coperta" in seguito alla segnalazione dell'amico Beach, che purtroppo stasera non ha potuto farmi compagnia. Arrivo per la prima volta al Campus, un locale che negli ultimi tempi organizza molti eventi di questo tipo, e che ha da poco registrato il tutto esaurito, e mi piazzo in una zona che ritengo strategica quando gli statunitensi Between the Buried and Me hanno ancora qualche pezzo da eseguire, e devo dire che non mi sembrano affatto male, in quel loro caleidoscopio di influenze, come se fossero degli EELST solo un poco più "seri", andando dal mathcore al free jazz. Cambio palco mentre il locale si riempie, ed ecco il quintetto di Milton Keynes che sale sul palco. Si parte con Luminary, così come apre il loro ultimo Sonder, il suono è pressoché perfetto e si, la "riproduzione" è impressionante da quanto simile al disco. Il cantante Daniel si dimostra un tipo molto umile, definendo da subito il pubblico "la nostra famiglia", e ringraziando spesso e volentieri. Il concerto prosegue con una scaletta equilibratissima tra i loro quattro album, e le persone del pubblico ondeggiano le loro teste con soddisfazione, al ritmo sincopato che unisce djent, progressive, e melodie da hard rock classico. Musicisti impeccabili senza dubbio, questi TesseracT.
Here's Milton Keynes's quintet that goes on stage. It starts with Luminary, as opens up their last Sonder, the sound is almost perfect and yes, the "reproduction" is impressive from how similar to the record. The singer Daniel proves to be a very humble guy, immediately defining the audience "our family", and thanking often and willingly. The concert continues with a very balanced setlist between their four albums, and the audience members sway their heads with satisfaction, to the syncopated rhythm that unites djent, progressive, and classical hard rock melodies. Impeccable musicians without a doubt, these TesseracT.
20181220
It's All Good Man!
Better Call Saul - di Vince Gilligan e Peter Gould - Stagione 4 (10 episodi; AMC) - 2018
Salto in avanti: "Gene" collassa al Cinnabon di Omaha, Nebraska, e viene portato all'ospedale. Il medico rileva che non è stato un infarto, e dimette Gene, che però diventa nervoso quando l'infermiera alla reception ha problemi con la sua patente e il suo numero di previdenza sociale. Sul taxi per tornare a casa, Gene ha l'impressione che l'autista sia sospetto, e decide di scendere prima di arrivare a destinazione. Torniamo alla storia principale, ed ecco Jimmy e Kim che ricevono una chiamata da Howard: Chuck è morto nell'incendio della sua stessa abitazione.
Molti critici sostengono già che Better Call Saul, lo spin off di Breaking Bad, abbia superato la serie principale. Onestamente, è difficile da dire. Certo è che il personaggio interpretato in maniera superlativa da Bob Odenkirk, meritava sicuramente una serie tutta sua: la stratificazione e soprattutto, la trasformazione, è ai livelli di quella di Walter White. Ora, non so per quante altre stagioni Gilligan e Gould riusciranno a tirarla per le lunghe, prima di arrivare al Saul Goodman conclamato e avvocato dei malviventi, ma quello che so è che questa serie è un piacere per gli occhi e per la mente. Rinnovata per la quinta stagione.
Many critics already claim that Better Call Saul, the spin-off of Breaking Bad, has surpassed the main series. Honestly, it's hard to say. What is certain is that the character played superbly by Bob Odenkirk, certainly deserved a series of its own: the stratification and above all, the transformation is at the level of that of Walter White. Now, I do not know how many other seasons Gilligan and Gould will be able to pull it for long, before arriving at the well-rounded Saul Goodman, lawyer for the criminals, but what I know is that this series is a pleasure for the eyes and the mind. Renewed for the fifth season.
Salto in avanti: "Gene" collassa al Cinnabon di Omaha, Nebraska, e viene portato all'ospedale. Il medico rileva che non è stato un infarto, e dimette Gene, che però diventa nervoso quando l'infermiera alla reception ha problemi con la sua patente e il suo numero di previdenza sociale. Sul taxi per tornare a casa, Gene ha l'impressione che l'autista sia sospetto, e decide di scendere prima di arrivare a destinazione. Torniamo alla storia principale, ed ecco Jimmy e Kim che ricevono una chiamata da Howard: Chuck è morto nell'incendio della sua stessa abitazione.
Molti critici sostengono già che Better Call Saul, lo spin off di Breaking Bad, abbia superato la serie principale. Onestamente, è difficile da dire. Certo è che il personaggio interpretato in maniera superlativa da Bob Odenkirk, meritava sicuramente una serie tutta sua: la stratificazione e soprattutto, la trasformazione, è ai livelli di quella di Walter White. Ora, non so per quante altre stagioni Gilligan e Gould riusciranno a tirarla per le lunghe, prima di arrivare al Saul Goodman conclamato e avvocato dei malviventi, ma quello che so è che questa serie è un piacere per gli occhi e per la mente. Rinnovata per la quinta stagione.
Many critics already claim that Better Call Saul, the spin-off of Breaking Bad, has surpassed the main series. Honestly, it's hard to say. What is certain is that the character played superbly by Bob Odenkirk, certainly deserved a series of its own: the stratification and above all, the transformation is at the level of that of Walter White. Now, I do not know how many other seasons Gilligan and Gould will be able to pull it for long, before arriving at the well-rounded Saul Goodman, lawyer for the criminals, but what I know is that this series is a pleasure for the eyes and the mind. Renewed for the fifth season.
20181219
First Date
Danko Jones + Prima Donna, Rock Planet, Pinarella di Cervia RN, 1 dicembre 2018
Raggiunto ormai l'obiettivo che mi ero prefisso per il 2020, quello dei 400 concerti "certificati" (testimoniati dal biglietto o da uno scontrino della serata, visto che qualcuno l'ho perso, altri visti ai Centri Sociali, tanti anni fa, non avevano il biglietto), adesso mi concedo il lusso di andare anche a concerti che teoricamente, non sono così interessanti, o perlomeno, non muoio dalla voglia di vedere. Essendo un sabato, essendo circa 13 anni che non metto piede al Rock Planet di Pinarella di Cervia, mi ispira andarmene a vedere Danko Jones. Essendo sabato, l'orario di inizio è fissato tardissimo, quindi mi faccio invitare a cena dall'amico Supergossard a Ravenna, e alle 23,30 entro nel locale, 10 minuti prima che la band canadese cominci: mi perdo la band di supporto, i losangelini Prima Donna. In perfetto orario, Rich Knox batteria e cori, John Calabrese (JC) basso e cori, e Danko Jones, voce e chitarra, entrano (non sarebbe corretto dire "salgono", il palco è molto basso) in scena, ed attaccano I Gotta Rock: all'improvviso, mi rendo conto perché sono qui. Perché il rock, o blues elettrico, è esattamente, o anche, questo: semplicità, ritmo, melodia, energia. AC/DC e Kiss, canzoni da 3 minuti, tre musicisti che magari non saranno citati dalle riviste specializzate a livello di tecnica, ma ineccepibili, divertimento. JC si diverte ad incitare il pubblico al battimani e ai cori, Danko introduce le canzoni, ringrazia il pubblico per essere qui di sabato sera, si lancia in botta e risposta con qualcuno del pubblico, è decisamente un bel personaggio. First Date (da Sleep Is the Enemy, terzo disco del 2006), a metà scaletta, è probabilmente la canzone più "partecipata", gli spettatori si divertono. La musica è anche questo.
In perfect time, Rich Knox drums and backing vocals, John Calabrese (JC) bass and backing vocals, and Danko Jones, voice and guitar, enter (it would not be correct to say "go up", the stage is very low) on stage, and they start with I Gotta Rock: all of a sudden, I realize why I'm here. Because rock, or electric blues, is exactly, or even, this: simplicity, rhythm, melody, energy. AC/DC and Kiss, 3-minute songs, three musicians who maybe will not be quoted by the specialized technical magazines, but impeccable, fun. JC has fun to incite the audience to the clapping and the choirs, Danko introduces the songs, thanks the audience for being here on Saturday night, launch himself into questions and answers with someone from the public, is definitely a nice character. First Date (from Sleep Is the Enemy, third album of 2006), in the middle of the lineup, is probably the most "participated" song, the spectators have fun. Music is also this.
Raggiunto ormai l'obiettivo che mi ero prefisso per il 2020, quello dei 400 concerti "certificati" (testimoniati dal biglietto o da uno scontrino della serata, visto che qualcuno l'ho perso, altri visti ai Centri Sociali, tanti anni fa, non avevano il biglietto), adesso mi concedo il lusso di andare anche a concerti che teoricamente, non sono così interessanti, o perlomeno, non muoio dalla voglia di vedere. Essendo un sabato, essendo circa 13 anni che non metto piede al Rock Planet di Pinarella di Cervia, mi ispira andarmene a vedere Danko Jones. Essendo sabato, l'orario di inizio è fissato tardissimo, quindi mi faccio invitare a cena dall'amico Supergossard a Ravenna, e alle 23,30 entro nel locale, 10 minuti prima che la band canadese cominci: mi perdo la band di supporto, i losangelini Prima Donna. In perfetto orario, Rich Knox batteria e cori, John Calabrese (JC) basso e cori, e Danko Jones, voce e chitarra, entrano (non sarebbe corretto dire "salgono", il palco è molto basso) in scena, ed attaccano I Gotta Rock: all'improvviso, mi rendo conto perché sono qui. Perché il rock, o blues elettrico, è esattamente, o anche, questo: semplicità, ritmo, melodia, energia. AC/DC e Kiss, canzoni da 3 minuti, tre musicisti che magari non saranno citati dalle riviste specializzate a livello di tecnica, ma ineccepibili, divertimento. JC si diverte ad incitare il pubblico al battimani e ai cori, Danko introduce le canzoni, ringrazia il pubblico per essere qui di sabato sera, si lancia in botta e risposta con qualcuno del pubblico, è decisamente un bel personaggio. First Date (da Sleep Is the Enemy, terzo disco del 2006), a metà scaletta, è probabilmente la canzone più "partecipata", gli spettatori si divertono. La musica è anche questo.
In perfect time, Rich Knox drums and backing vocals, John Calabrese (JC) bass and backing vocals, and Danko Jones, voice and guitar, enter (it would not be correct to say "go up", the stage is very low) on stage, and they start with I Gotta Rock: all of a sudden, I realize why I'm here. Because rock, or electric blues, is exactly, or even, this: simplicity, rhythm, melody, energy. AC/DC and Kiss, 3-minute songs, three musicians who maybe will not be quoted by the specialized technical magazines, but impeccable, fun. JC has fun to incite the audience to the clapping and the choirs, Danko introduces the songs, thanks the audience for being here on Saturday night, launch himself into questions and answers with someone from the public, is definitely a nice character. First Date (from Sleep Is the Enemy, third album of 2006), in the middle of the lineup, is probably the most "participated" song, the spectators have fun. Music is also this.
20181218
Apocalypse
American Horror Story: Apocalypse - di Ryan Murphy e Brad Falchuck - Stagione 8 (10 episodi; FX) - 2018
Futuro prossimo. A Santa Monica, contea di Los Angeles, California, l'ereditiera Coco St. Pierre Vanderbilt è dal suo parrucchiere Mr. Gallant, e come al solito sta bullizzando la sua assistente, Mallory. All'improvviso, tutti i mezzi di comunicazione, lanciano un allarme nucleare, sottolineando che non è un'esercitazione. La famiglia di Coco, molto facoltosa, ha pagato per una possibile via di fuga, e ne approfitta; visto che la sua vera famiglia non riesce a rientrare negli USA, e avendo altri tre posti a disposizione, si porta dietro Mallory, Gallant e Evie, la nonna di Gallant, visto che il fidanzato di Coco, Brock, non ce la potrebbe fare a raggiungere l'aereo che li porterà in salvo presso un rifugio antiatomico. Qua, si ritrovano con altre persone, alcune scelte da un'organizzazione chiamata The Cooperative per via del loro codice genetico, altre, come Coco, perché hanno pagato, in un avamposto gestito dalla signorina Venable, che spiega a tutti le regole.
Sarò fuori strada, ma questa ulteriore stagione di AHS, parto delle menti decisamente malate di Murphy e Falchuk, è piaciuta molto. Forzando la sceneggiatura, la stagione riprende elementi, personaggi e storie delle stagioni 1 (Murder House), 3 (Coven), e 5 (Hotel), dando vita ad una stagione scoppiettante, seppur con un ritmo non troppo sostenuto. Solito cast che sembra una gara a chi è più bravo, dove molte attrici e attori recitano più di una parte, unico difettuccio che posso imputare alla serie: la cosa (appunto, il fatto che diversi attori recitino più di un personaggio) causa un poco di confusione nello spettatore. Rinnovato per altre due stagioni.
I'll be out of mind, but this new season of AHS, born from the decidedly sick minds of Murphy and Falchuk, I really liked it. Forcing the screenplay, the season picks up elements, characters and stories from the seasons 1 (Murder House), 3 (Coven), and 5 (Hotel), giving life to a crackling season, albeit with a not too sustained pace. Usual cast that seems a race to those who are better, where many actresses and actors play more than one part, the only flaw that I can attribute to the series: the thing (in fact, the fact that several actors play more than one character) causes a little of confusion in the viewer. Renewed for two more seasons.
Futuro prossimo. A Santa Monica, contea di Los Angeles, California, l'ereditiera Coco St. Pierre Vanderbilt è dal suo parrucchiere Mr. Gallant, e come al solito sta bullizzando la sua assistente, Mallory. All'improvviso, tutti i mezzi di comunicazione, lanciano un allarme nucleare, sottolineando che non è un'esercitazione. La famiglia di Coco, molto facoltosa, ha pagato per una possibile via di fuga, e ne approfitta; visto che la sua vera famiglia non riesce a rientrare negli USA, e avendo altri tre posti a disposizione, si porta dietro Mallory, Gallant e Evie, la nonna di Gallant, visto che il fidanzato di Coco, Brock, non ce la potrebbe fare a raggiungere l'aereo che li porterà in salvo presso un rifugio antiatomico. Qua, si ritrovano con altre persone, alcune scelte da un'organizzazione chiamata The Cooperative per via del loro codice genetico, altre, come Coco, perché hanno pagato, in un avamposto gestito dalla signorina Venable, che spiega a tutti le regole.
Sarò fuori strada, ma questa ulteriore stagione di AHS, parto delle menti decisamente malate di Murphy e Falchuk, è piaciuta molto. Forzando la sceneggiatura, la stagione riprende elementi, personaggi e storie delle stagioni 1 (Murder House), 3 (Coven), e 5 (Hotel), dando vita ad una stagione scoppiettante, seppur con un ritmo non troppo sostenuto. Solito cast che sembra una gara a chi è più bravo, dove molte attrici e attori recitano più di una parte, unico difettuccio che posso imputare alla serie: la cosa (appunto, il fatto che diversi attori recitino più di un personaggio) causa un poco di confusione nello spettatore. Rinnovato per altre due stagioni.
I'll be out of mind, but this new season of AHS, born from the decidedly sick minds of Murphy and Falchuk, I really liked it. Forcing the screenplay, the season picks up elements, characters and stories from the seasons 1 (Murder House), 3 (Coven), and 5 (Hotel), giving life to a crackling season, albeit with a not too sustained pace. Usual cast that seems a race to those who are better, where many actresses and actors play more than one part, the only flaw that I can attribute to the series: the thing (in fact, the fact that several actors play more than one character) causes a little of confusion in the viewer. Renewed for two more seasons.
20181217
Chelsea and hotel
Chelsea Wolfe + Brutus, Circolo Magnolia, Milano, 29 luglio 2018
Il mese di luglio del 2018, quindi, si apre e si chiude allo stesso modo: "salita" verso Milano in un pomeriggio caldissimo, sempre di domenica, riposo nello stesso albergo, cena, concerto al Magnolia, qualche ora di sonno (nello stesso albergo), partenza prima dell'alba, lavoro di lunedì. Stavolta la doppietta è interessante, Chelsea Wolfe con i belgi Brutus ad aprire, ma la sacerdotessa goth californiana l'ho già vista, così come il terzetto belga. Il biglietto però l'ho comprato da tempo, ed è l'occasione per rivedere l'amico Beach, quindi vado, e perdo un giorno di sole.
Si parte già in maniera molto divertente, perché il parcheggiatore maghrebino, mentre mi vede spruzzare l'Autan (all'Idroscalo d'estate, direi assolutamente necessario) spray, me ne chiede una spruzzata, e mette le mani a conca, facendomi molto ridere. Arrivano gli amici, ne conosco di nuovi, partono i Brutus con la solita carica, e stasera ci scappa anche un pezzo nuovo. A questo punto, aspettiamo il disco (nuovo) per intero.
Con il buio, naturalmente, arriva anche Chelsea Joy Wolfe, che sta portando in tour il suo ultimo disco Hiss Spun, suo quinto. Mentre dagli altoparlanti esce Welt, ancora penso che potevo risparmiarmi una faticaccia, ma la compagnia è piacevole. Quando però, la band (Ben Chisholm, basso, tastiere, synth, Bryan Tulao, chitarra, Jess Gowrie, batteria) attacca e comincia a suonare sopra alla registrazione di Welt, una pesantissima Carrion Flowers, e al termine dell'intro arriva lei, ecco che comincio a capire che si, potevo mancare, ma mi sarei comunque perso qualcosa. Naturalmente, Hiss Spun è il disco più rappresentato in scaletta (Spun, Vex, Particle Flux, 16 Psyche, The Culling, Scrape), ma pure Abyss (Carrion Flowers, After the Fall, Dragged Out, Survive) e Pain Is Beauty (Feral Love, Ancestors, the Ancients) ci stanno dentro, e perfino una pesantissima Demons da Apokalypsis completano la scaletta di stasera. Più del suono pesantissimo, probabilmente la cosa più bella di Chelsea, non solo dal vivo, è il contrasto stridente ma gustosissimo, appunto della parte musicale sludge/doom/experimental metal, con la voce, la sua voce, cristallina, potente, bellissima. E per apprezzarla fino in fondo, in effetti, l'esperienza dal vivo è imprescindibile. Saluto, e con la superba versione di Feral Love ancora nelle orecchie, mi avvio verso l'uscita.
With the dark, of course, also comes Chelsea Joy Wolfe, who is touring her latest album Hiss Spun, her fifth. While Welt comes out from the speakers, I still think I could have been spare myself a hard work, but the company is pleasant. When, however, the band (Ben Chisholm, bass, keyboards, synths, Bryan Tulao, guitar, Jess Gowrie, drums) attacks and starts playing on top of the Welt recording, a very heavy Carrion Flowers, and at the end of the intro she arrives, here I begin to understand that yes, I could have miss, but I would have lost something. Of course, Hiss Spun is the most represented album in the setlist (Spun, Vex, Particle Flux, 16 Psyche, The Culling, Scrape), but also Abyss (Carrion Flowers, After the Fall, Dragged Out, Survive) and Pain Is Beauty (Feral Love, Ancestors, the Ancients) are inside, and even a very heavy Demons from Apokalypsis complete the setlist tonight. More than the heavy sound, probably the most beautiful thing about Chelsea, not only live, is the strident but very tasty contrast, between the musical part sludge/doom/experimental metal, with the voice, her voice, crystalline, powerful, beautiful. And to fully appreciate it, in fact, live experience is essential. Greetings, and with the superb version of Feral Love still in my ears, I start to go.
Il mese di luglio del 2018, quindi, si apre e si chiude allo stesso modo: "salita" verso Milano in un pomeriggio caldissimo, sempre di domenica, riposo nello stesso albergo, cena, concerto al Magnolia, qualche ora di sonno (nello stesso albergo), partenza prima dell'alba, lavoro di lunedì. Stavolta la doppietta è interessante, Chelsea Wolfe con i belgi Brutus ad aprire, ma la sacerdotessa goth californiana l'ho già vista, così come il terzetto belga. Il biglietto però l'ho comprato da tempo, ed è l'occasione per rivedere l'amico Beach, quindi vado, e perdo un giorno di sole.
Si parte già in maniera molto divertente, perché il parcheggiatore maghrebino, mentre mi vede spruzzare l'Autan (all'Idroscalo d'estate, direi assolutamente necessario) spray, me ne chiede una spruzzata, e mette le mani a conca, facendomi molto ridere. Arrivano gli amici, ne conosco di nuovi, partono i Brutus con la solita carica, e stasera ci scappa anche un pezzo nuovo. A questo punto, aspettiamo il disco (nuovo) per intero.
Con il buio, naturalmente, arriva anche Chelsea Joy Wolfe, che sta portando in tour il suo ultimo disco Hiss Spun, suo quinto. Mentre dagli altoparlanti esce Welt, ancora penso che potevo risparmiarmi una faticaccia, ma la compagnia è piacevole. Quando però, la band (Ben Chisholm, basso, tastiere, synth, Bryan Tulao, chitarra, Jess Gowrie, batteria) attacca e comincia a suonare sopra alla registrazione di Welt, una pesantissima Carrion Flowers, e al termine dell'intro arriva lei, ecco che comincio a capire che si, potevo mancare, ma mi sarei comunque perso qualcosa. Naturalmente, Hiss Spun è il disco più rappresentato in scaletta (Spun, Vex, Particle Flux, 16 Psyche, The Culling, Scrape), ma pure Abyss (Carrion Flowers, After the Fall, Dragged Out, Survive) e Pain Is Beauty (Feral Love, Ancestors, the Ancients) ci stanno dentro, e perfino una pesantissima Demons da Apokalypsis completano la scaletta di stasera. Più del suono pesantissimo, probabilmente la cosa più bella di Chelsea, non solo dal vivo, è il contrasto stridente ma gustosissimo, appunto della parte musicale sludge/doom/experimental metal, con la voce, la sua voce, cristallina, potente, bellissima. E per apprezzarla fino in fondo, in effetti, l'esperienza dal vivo è imprescindibile. Saluto, e con la superba versione di Feral Love ancora nelle orecchie, mi avvio verso l'uscita.
With the dark, of course, also comes Chelsea Joy Wolfe, who is touring her latest album Hiss Spun, her fifth. While Welt comes out from the speakers, I still think I could have been spare myself a hard work, but the company is pleasant. When, however, the band (Ben Chisholm, bass, keyboards, synths, Bryan Tulao, guitar, Jess Gowrie, drums) attacks and starts playing on top of the Welt recording, a very heavy Carrion Flowers, and at the end of the intro she arrives, here I begin to understand that yes, I could have miss, but I would have lost something. Of course, Hiss Spun is the most represented album in the setlist (Spun, Vex, Particle Flux, 16 Psyche, The Culling, Scrape), but also Abyss (Carrion Flowers, After the Fall, Dragged Out, Survive) and Pain Is Beauty (Feral Love, Ancestors, the Ancients) are inside, and even a very heavy Demons from Apokalypsis complete the setlist tonight. More than the heavy sound, probably the most beautiful thing about Chelsea, not only live, is the strident but very tasty contrast, between the musical part sludge/doom/experimental metal, with the voice, her voice, crystalline, powerful, beautiful. And to fully appreciate it, in fact, live experience is essential. Greetings, and with the superb version of Feral Love still in my ears, I start to go.
20181216
Lupi
SoloMacello fest ep.2: Wolves in the Throne Room + Hierophant + La morte viene dallo spazio + Cambrian, Circolo Magnolia, Milano, 1 luglio 2018
Un'altra band che mi sono messo in testa di vedere dal vivo, è quella che definisce il genere praticato Cascadian black metal, facendo riferimento al movimento che vorrebbe unire in un unico stato la parte che si affaccia sull'Oceano Pacifico di Oregon (USA), Washington (USA), e Columbia Britannica (Canada): i Wolves in the Throne Room dei fratelli Aaron e Nathan Weaver. La data non è comodissima: domenica 1 luglio al Magnolia, Milano. Eppure, sono deciso a farcela. Il concerto è inglobato all'interno del Festival denominato Solomacello, seconda parte. Parto sbagliando il locale (arrivo al Santeria, poi mi ricordano che stasera il concerto è al Magnolia, zona Idroscalo), e arrivo a destinazione mentre la terza band della serata, i ravennati Hierophant, stanno terminando il loro set, ma anche mentre Croazia e Danimarca stanno andando ai rigori (Mondiali 2018). Un'occhiata ai rigori, ed arriva il momento dei WITTR, verso le 23. La formazione dal vivo, oltre al terzetto che ufficialmente compone la band (Aaron Weaver batteria, Nathan Weaver chitarra e voce, Kody Keyworth chitarra e voce), vede anche Peregrine Sommerville (chitarra e voce dei Sadhaka), che prima del concerto "benedice" il palco con una copiosa aspersione di incenso (o qualcosa del genere), alla terza chitarra, e Brittany McConnell (batteria e violino nei Wolvserpent), una ragazzona mora alle tastiere.
Si parte con Thuja Magus Imperium, e, se ce ne fosse ancora bisogno, si comprende che per il combo di Olympia, Washington, il concerto, e la musica stessa, è un rito. Il wall of sound che investe gli spettatori, qualche centinaio stasera, è molto simile a quello su disco, e il quintetto pesta duramente si, ma si preoccupa quantomeno che la parte epico-melodica sia abbastanza chiara. Per i pezzi dall'ultimo album ci sono Born From the Serpent's Eye (senza la voce di Anna von Hausswolff, del resto non si può avere tutto dalla vita), Angrboda e Fires Roar in the Palace of the Moon, mentre Prayer of Transformation fa il paio con l'apertura di Thuja, come estratti da Celestial Lineage. Chiude I Will Lay Down My Bones Among the Rocks and Roots, da Two Hunters, una specie di manifesto, e ancora adesso un gran pezzo, per oltrepassare l'ora di concerto e salutare i presenti. Mi allontano verso qualche ora di sonno con un ronzio nelle orecchie.
The live band, in addition to the trio that officially makes up the band (Aaron Weaver drums, Nathan Weaver guitar and vocals, Kody Keyworth guitar and vocals), also sees Peregrine Sommerville (guitar and voice of Sadhaka), who before the concert "blesses" the stage with a copious sprinkling of incense (or something like that), on the third guitar, and Brittany McConnell (drums and violin on the Wolvserpents), a big brunette girl on keyboards.
They starts with Thuja Magus Imperium, and, if it were still needed, we understand that for the combo from Olympia, Washington, the concert, and the music itself, it's a ritual. The wall of sound that invests the spectators, a few hundred tonight, is very similar to the one on disc, and the quintet push hard, yes, but it worries at least that the epic-melodic part is quite clear. For the songs from the last album there are Born From the Serpent's Eye (without the voice of Anna von Hausswolff, but after all you can not have everything from life), Angrboda and Fires Roar in the Palace of the Moon, while Prayer of Transformation does the pair with the opening of Thuja, as extracted from Celestial Lineage. The closure is I Will Lay Down My Bones Among the Rocks and Roots, from Two Hunters, a kind of manifesto, and even now a great song, to go beyond the hour of concert and greet the audience. I walk away for a few hours of sleep with a buzzing in my ears.
Un'altra band che mi sono messo in testa di vedere dal vivo, è quella che definisce il genere praticato Cascadian black metal, facendo riferimento al movimento che vorrebbe unire in un unico stato la parte che si affaccia sull'Oceano Pacifico di Oregon (USA), Washington (USA), e Columbia Britannica (Canada): i Wolves in the Throne Room dei fratelli Aaron e Nathan Weaver. La data non è comodissima: domenica 1 luglio al Magnolia, Milano. Eppure, sono deciso a farcela. Il concerto è inglobato all'interno del Festival denominato Solomacello, seconda parte. Parto sbagliando il locale (arrivo al Santeria, poi mi ricordano che stasera il concerto è al Magnolia, zona Idroscalo), e arrivo a destinazione mentre la terza band della serata, i ravennati Hierophant, stanno terminando il loro set, ma anche mentre Croazia e Danimarca stanno andando ai rigori (Mondiali 2018). Un'occhiata ai rigori, ed arriva il momento dei WITTR, verso le 23. La formazione dal vivo, oltre al terzetto che ufficialmente compone la band (Aaron Weaver batteria, Nathan Weaver chitarra e voce, Kody Keyworth chitarra e voce), vede anche Peregrine Sommerville (chitarra e voce dei Sadhaka), che prima del concerto "benedice" il palco con una copiosa aspersione di incenso (o qualcosa del genere), alla terza chitarra, e Brittany McConnell (batteria e violino nei Wolvserpent), una ragazzona mora alle tastiere.
Si parte con Thuja Magus Imperium, e, se ce ne fosse ancora bisogno, si comprende che per il combo di Olympia, Washington, il concerto, e la musica stessa, è un rito. Il wall of sound che investe gli spettatori, qualche centinaio stasera, è molto simile a quello su disco, e il quintetto pesta duramente si, ma si preoccupa quantomeno che la parte epico-melodica sia abbastanza chiara. Per i pezzi dall'ultimo album ci sono Born From the Serpent's Eye (senza la voce di Anna von Hausswolff, del resto non si può avere tutto dalla vita), Angrboda e Fires Roar in the Palace of the Moon, mentre Prayer of Transformation fa il paio con l'apertura di Thuja, come estratti da Celestial Lineage. Chiude I Will Lay Down My Bones Among the Rocks and Roots, da Two Hunters, una specie di manifesto, e ancora adesso un gran pezzo, per oltrepassare l'ora di concerto e salutare i presenti. Mi allontano verso qualche ora di sonno con un ronzio nelle orecchie.
The live band, in addition to the trio that officially makes up the band (Aaron Weaver drums, Nathan Weaver guitar and vocals, Kody Keyworth guitar and vocals), also sees Peregrine Sommerville (guitar and voice of Sadhaka), who before the concert "blesses" the stage with a copious sprinkling of incense (or something like that), on the third guitar, and Brittany McConnell (drums and violin on the Wolvserpents), a big brunette girl on keyboards.
They starts with Thuja Magus Imperium, and, if it were still needed, we understand that for the combo from Olympia, Washington, the concert, and the music itself, it's a ritual. The wall of sound that invests the spectators, a few hundred tonight, is very similar to the one on disc, and the quintet push hard, yes, but it worries at least that the epic-melodic part is quite clear. For the songs from the last album there are Born From the Serpent's Eye (without the voice of Anna von Hausswolff, but after all you can not have everything from life), Angrboda and Fires Roar in the Palace of the Moon, while Prayer of Transformation does the pair with the opening of Thuja, as extracted from Celestial Lineage. The closure is I Will Lay Down My Bones Among the Rocks and Roots, from Two Hunters, a kind of manifesto, and even now a great song, to go beyond the hour of concert and greet the audience. I walk away for a few hours of sleep with a buzzing in my ears.
20181215
20181214
Bruto
Thrice + Brutus, Zona Roveri, Bologna, 27 giugno 2018
Quando mi metto in testa una cosa, ultimamente devo farla. Dopo che, al solito, dietro a consigli musicali, ho conosciuto questo atipico trio belga di Leuven, che l'anno scorso ha fatto uscire uno dei debutti più esplosivi, fremevo dalla voglia di vederli live. Anche se fra poco più di un mese apriranno la data estiva milanese di Chelsea Wolfe, mi viene voglia di fare questa toccata e fuga infrasettimanale a Bologna, e candidarmi come persona più snob dell'anno: vi spiegherò tra poco. Quindi, mercoledì 27 giugno, esco da lavoro ad un'ora decente (piuttosto strano per me), e attraverso l'appennino, giusto per essere alle 21 alla Zona Roveri, dove i Brutus stanno per aprire per i californiani Thrice. Pochi intimi nel caldo, vivibile solo se si è in pochi appunto, del locale, ecco Stijn, chitarra, Peter, basso, e Stefanie, voce e batteria, che ha lo scarno drum kit montato di lato, e sulla destra del palco (per chi guarda). Partono con March, con un suono un po' approssimativo, ma non si danno per vinti, e ci danno dentro come forsennati. Eseguono la maggior parte del loro disco di debutto, in una quarantina di minuti, la voce di Stefanie spesso affoga nel complesso del suono, ma si capisce bene quando ringrazia i pochi (ma buoni) che sono arrivati così presto per vederli. Mi sento chiamato in causa. Salutano e se ne vanno. E io, nonostante abbia pagato il biglietto intero, me ne torno a casa, senza attendere nemmeno che comincino i Thrice.
Few intimate in the heat, livable only if you are just a few, of the room, here is Stijn, guitar, Peter, bass, and Stefanie, voice and drums, which has the lean drum kit sited by the side, and on the right of the stage (for who looks). They start with March, with a sound a bit sloppy, but do not give up, and give us inside as madmen. They play the most of their debut album, in forty minutes, Stefanie's voice often drowns in the overall sound, but we can understands well when he thanks the few (but good) who came so early in order to see them. I feel called into question. They greet and leave. And I, despite having paid the whole ticket, I go back home, without even waiting for the Thrice to begin.
Quando mi metto in testa una cosa, ultimamente devo farla. Dopo che, al solito, dietro a consigli musicali, ho conosciuto questo atipico trio belga di Leuven, che l'anno scorso ha fatto uscire uno dei debutti più esplosivi, fremevo dalla voglia di vederli live. Anche se fra poco più di un mese apriranno la data estiva milanese di Chelsea Wolfe, mi viene voglia di fare questa toccata e fuga infrasettimanale a Bologna, e candidarmi come persona più snob dell'anno: vi spiegherò tra poco. Quindi, mercoledì 27 giugno, esco da lavoro ad un'ora decente (piuttosto strano per me), e attraverso l'appennino, giusto per essere alle 21 alla Zona Roveri, dove i Brutus stanno per aprire per i californiani Thrice. Pochi intimi nel caldo, vivibile solo se si è in pochi appunto, del locale, ecco Stijn, chitarra, Peter, basso, e Stefanie, voce e batteria, che ha lo scarno drum kit montato di lato, e sulla destra del palco (per chi guarda). Partono con March, con un suono un po' approssimativo, ma non si danno per vinti, e ci danno dentro come forsennati. Eseguono la maggior parte del loro disco di debutto, in una quarantina di minuti, la voce di Stefanie spesso affoga nel complesso del suono, ma si capisce bene quando ringrazia i pochi (ma buoni) che sono arrivati così presto per vederli. Mi sento chiamato in causa. Salutano e se ne vanno. E io, nonostante abbia pagato il biglietto intero, me ne torno a casa, senza attendere nemmeno che comincino i Thrice.
Few intimate in the heat, livable only if you are just a few, of the room, here is Stijn, guitar, Peter, bass, and Stefanie, voice and drums, which has the lean drum kit sited by the side, and on the right of the stage (for who looks). They start with March, with a sound a bit sloppy, but do not give up, and give us inside as madmen. They play the most of their debut album, in forty minutes, Stefanie's voice often drowns in the overall sound, but we can understands well when he thanks the few (but good) who came so early in order to see them. I feel called into question. They greet and leave. And I, despite having paid the whole ticket, I go back home, without even waiting for the Thrice to begin.
20181213
ERR
Emma Ruth Rundle + Celeste + Jaye Jayle, L'Aéronef, Lille FR, 6 ottobre 2018
Non è passato neppure un anno, da quando mi sono fatto la strada da casa mia alla capitale della Slovenia, per vederla in concerto. Anche stavolta il suo tour promozionale, in occasione del nuovissimo e bellissimo On Dark Horses, lascia fuori l'Italia, e io avevo già deciso di venire fino a questa città francese, vicinissima al confine col Belgio fiammingo, giusto perché il volo Ryanair da Pisa a Charleroi, e la data di sabato a Lille, mi avrebbe permesso di sbrigare il tutto in un weekend. Per mia fortuna, la settimana prossima devo lavorare a Bruxelles, per cui la congiunzione è praticamente perfetta. L'Aéronef è situato al secondo piano della costruzione che ospita il centro commerciale Eurolille, e vi assicuro che non è stato facile capirlo. Per fortuna, ho un anticipo enorme, per cui arrivo al locale quando c'è pochissima gente, mi prendo un birra e attendo. Cominciano i Jaye Jayle, e c'è da dire che da quando è palese che il leader Evan è l'uomo di Emma, mi piacciono meno. La gelosia è proprio una brutta bestia. Mentre si esibiscono, noto proprio Emma al banco del merchandise, e la fermo scusandomi, facendo una battuta sulla mancanza di sue date italiane, e sul fatto che l'amico che me l'ha fatta conoscere andrà a vederla a Lisbona la settimana prossima. Quest'ultima cosa le fa piacere, ma la battuta "thank you for not to come in Italy ever" non la prende benissimo, e cerco di spiegare che era, appunto, una battuta. Dopo i Jaye Jayle ci sono i francesi (di Lione) Celeste, che sciorinano uno sludge/black metal di buonissima fattura, anche se il contrasto tra la prima band e loro è stridente. Ma a Emma si perdona tutto, e, a parte gli scherzi, questa è una delle cose che la contraddistingue: il suo pubblico è in buona parte formato da persone che amano il metal, eppure lei non è precisamente metal.
Ma, alla fine, quando sale sul palco, non ci interessa più niente. Ci interessa solo lei, e nel momento in cui attacca Dead Set Eyes tutto il resto scompare, comprese le t-shirt bruttine del merchandise. I pezzi del nuovo disco ci sono tutti escluso You Don't Have to Cry, ci sono versioni nuovamente arrangiate di Protection, Marked for Death e Heaven, il pubblico (qualcosa più di 100 unità), anche quello più distratto, viene catturato, ERR ringrazia con voce timida, anche in francese, e un'ora abbondante passa troppo velocemente. Fino a che Emma torna sul palco da sola, regalandoci un'ennesima, sofferta, ogni volta diversa e ogni volta ugualmente bellissima, versione di Shadows of My Name. Non vorrei esagerare, ma le canzoni di questa artista mi ricordano cosa vuol dire amare. Anche stavolta, ne è valsa totalmente la pena.
The moment she attacks Dead Set Eyes, everything else disappears, including the ugly merchandise t-shirts. The tracks of the new record are all here, excluded You Don't Have to Cry, there are again newly arranged versions of Protection, Marked for Death and Heaven, the audience (something more than 100 units), even the most distracted one, is captured, ERR thanks with a shy voice, even in French, and an abundant hour passes too quickly. Until Emma back on stage alone, giving us yet another, painful, every time different and each time equally beautiful, version of Shadows of My Name. I would not exaggerate, but the songs of this artist remind me of what does love means. Once again, it was totally worth it.
Non è passato neppure un anno, da quando mi sono fatto la strada da casa mia alla capitale della Slovenia, per vederla in concerto. Anche stavolta il suo tour promozionale, in occasione del nuovissimo e bellissimo On Dark Horses, lascia fuori l'Italia, e io avevo già deciso di venire fino a questa città francese, vicinissima al confine col Belgio fiammingo, giusto perché il volo Ryanair da Pisa a Charleroi, e la data di sabato a Lille, mi avrebbe permesso di sbrigare il tutto in un weekend. Per mia fortuna, la settimana prossima devo lavorare a Bruxelles, per cui la congiunzione è praticamente perfetta. L'Aéronef è situato al secondo piano della costruzione che ospita il centro commerciale Eurolille, e vi assicuro che non è stato facile capirlo. Per fortuna, ho un anticipo enorme, per cui arrivo al locale quando c'è pochissima gente, mi prendo un birra e attendo. Cominciano i Jaye Jayle, e c'è da dire che da quando è palese che il leader Evan è l'uomo di Emma, mi piacciono meno. La gelosia è proprio una brutta bestia. Mentre si esibiscono, noto proprio Emma al banco del merchandise, e la fermo scusandomi, facendo una battuta sulla mancanza di sue date italiane, e sul fatto che l'amico che me l'ha fatta conoscere andrà a vederla a Lisbona la settimana prossima. Quest'ultima cosa le fa piacere, ma la battuta "thank you for not to come in Italy ever" non la prende benissimo, e cerco di spiegare che era, appunto, una battuta. Dopo i Jaye Jayle ci sono i francesi (di Lione) Celeste, che sciorinano uno sludge/black metal di buonissima fattura, anche se il contrasto tra la prima band e loro è stridente. Ma a Emma si perdona tutto, e, a parte gli scherzi, questa è una delle cose che la contraddistingue: il suo pubblico è in buona parte formato da persone che amano il metal, eppure lei non è precisamente metal.
Ma, alla fine, quando sale sul palco, non ci interessa più niente. Ci interessa solo lei, e nel momento in cui attacca Dead Set Eyes tutto il resto scompare, comprese le t-shirt bruttine del merchandise. I pezzi del nuovo disco ci sono tutti escluso You Don't Have to Cry, ci sono versioni nuovamente arrangiate di Protection, Marked for Death e Heaven, il pubblico (qualcosa più di 100 unità), anche quello più distratto, viene catturato, ERR ringrazia con voce timida, anche in francese, e un'ora abbondante passa troppo velocemente. Fino a che Emma torna sul palco da sola, regalandoci un'ennesima, sofferta, ogni volta diversa e ogni volta ugualmente bellissima, versione di Shadows of My Name. Non vorrei esagerare, ma le canzoni di questa artista mi ricordano cosa vuol dire amare. Anche stavolta, ne è valsa totalmente la pena.
The moment she attacks Dead Set Eyes, everything else disappears, including the ugly merchandise t-shirts. The tracks of the new record are all here, excluded You Don't Have to Cry, there are again newly arranged versions of Protection, Marked for Death and Heaven, the audience (something more than 100 units), even the most distracted one, is captured, ERR thanks with a shy voice, even in French, and an abundant hour passes too quickly. Until Emma back on stage alone, giving us yet another, painful, every time different and each time equally beautiful, version of Shadows of My Name. I would not exaggerate, but the songs of this artist remind me of what does love means. Once again, it was totally worth it.
20181212
Habibi
Ghali, Mandela Forum, Firenze, 25 ottobre 2018
Era abbastanza chiaro che sarebbe andata così: lo potevate intuire leggendo quello che scrissi in proposito dell'album di debutto di Ghali Amdouni. Quindi si parte alla volta del Mandela di Firenze, teatro di innumerevoli concerti nei miei anni con più capelli, insieme a mio nipote, mia sorella, ed altri due amici. E' una gita, e come ho avuto modo di dire, è probabilmente il concerto dove mi sono rilassato maggiormente in vita mia. L'affluenza è medio-alta, mi sarei stupito di un tutto esaurito ma Ghali sta comunque andando forte, e un tour nei palazzetti è davvero un gran successo, per un'artista al primo disco. Tantissimi adolescenti, molti bambini, e naturalmente molti genitori. Il palco è segno di una produzione davvero importante (ricorda un vinile), e quando si comincia (dopo un video introduttivo che "racconta" la sua storia), con Lacrime, lo spilungone milanese/tunisino rimane dietro un esagono (se ricordo bene) di schermi che calano a costruire una sorta di cabina, sulla quale vengono proiettate altre immagini. E via così, tra trovate sceniche indovinate e piacevoli da vedere, e i suoi pezzi migliori come Pizza kebab, Boulevard, Happy Days, Habibi, e qualche sorpresa come Freestyle Salvini. La voce regge, c'è anche il suo amico immaginario Jimmy, due coriste, un percussionista, un DJ e quattro ballerini, e ci sono tanti futuri adulti che cantano e ballano sulle note e sulle rime di un ex bambino che è figlio di immigrati. Il messaggio è fantastico, e sono contento di essere qui. Spero solo che il messaggio passi, quanto più possibile.
The stage is a sign of a really important production (remember a vinyl), and when it starts (after an introductory video that "tells" his story), with Lacrime, the very tall guy from Milan but from Tunisian parents, remains behind a hexagon (if I remember correctly) of screens that fall to build a sort of cabin, on which other images are projected. And so on, between good scenic pleasures to see, and his best tracks like Pizza kebab, Boulevard, Happy Days, Habibi, and some surprises like Freestyle Salvini. The voice holds, there is also his imaginary friend Jimmy, two female backing singers, a percussionist, a DJ and four dancers, and there are many future adults who sing and dance on the notes and rhymes of a former child who is the son of immigrants. The message is fantastic, and I'm happy to be here. I just hope the message will pass as much as possible.
Era abbastanza chiaro che sarebbe andata così: lo potevate intuire leggendo quello che scrissi in proposito dell'album di debutto di Ghali Amdouni. Quindi si parte alla volta del Mandela di Firenze, teatro di innumerevoli concerti nei miei anni con più capelli, insieme a mio nipote, mia sorella, ed altri due amici. E' una gita, e come ho avuto modo di dire, è probabilmente il concerto dove mi sono rilassato maggiormente in vita mia. L'affluenza è medio-alta, mi sarei stupito di un tutto esaurito ma Ghali sta comunque andando forte, e un tour nei palazzetti è davvero un gran successo, per un'artista al primo disco. Tantissimi adolescenti, molti bambini, e naturalmente molti genitori. Il palco è segno di una produzione davvero importante (ricorda un vinile), e quando si comincia (dopo un video introduttivo che "racconta" la sua storia), con Lacrime, lo spilungone milanese/tunisino rimane dietro un esagono (se ricordo bene) di schermi che calano a costruire una sorta di cabina, sulla quale vengono proiettate altre immagini. E via così, tra trovate sceniche indovinate e piacevoli da vedere, e i suoi pezzi migliori come Pizza kebab, Boulevard, Happy Days, Habibi, e qualche sorpresa come Freestyle Salvini. La voce regge, c'è anche il suo amico immaginario Jimmy, due coriste, un percussionista, un DJ e quattro ballerini, e ci sono tanti futuri adulti che cantano e ballano sulle note e sulle rime di un ex bambino che è figlio di immigrati. Il messaggio è fantastico, e sono contento di essere qui. Spero solo che il messaggio passi, quanto più possibile.
The stage is a sign of a really important production (remember a vinyl), and when it starts (after an introductory video that "tells" his story), with Lacrime, the very tall guy from Milan but from Tunisian parents, remains behind a hexagon (if I remember correctly) of screens that fall to build a sort of cabin, on which other images are projected. And so on, between good scenic pleasures to see, and his best tracks like Pizza kebab, Boulevard, Happy Days, Habibi, and some surprises like Freestyle Salvini. The voice holds, there is also his imaginary friend Jimmy, two female backing singers, a percussionist, a DJ and four dancers, and there are many future adults who sing and dance on the notes and rhymes of a former child who is the son of immigrants. The message is fantastic, and I'm happy to be here. I just hope the message will pass as much as possible.
20181211
Deaf
Deafheaven + Inter Arma, TPO, Bologna, 12 ottobre 2018
Di ritorno da una settimana lavorativa in Belgio, atterro a Borgo Panigale per essere in orario per la seconda data in terra italica dei San Franciscan Deafheaven, che portano in tour il loro splendido quarto album Ordinary Corrupt Human Love. Fatico un po' per trovare un parcheggio, quindi mi perdo una parte dell'esibizione della band di apertura, i massicci Inter Arma da Richmond, Virginia, con un batterista monumentale, che detta i tempi (e i controtempi) di un impressionante sludge metal dalle venature blackened. Molto buoni, senza dubbio da ascoltare, per le orecchie più ruvide. Sono, come mi capita spesso ultimamente, visto che da diciamo un anno o poco più sto riprendendo l'abitudine di andare per concerti, per la prima volta (per me) in uno spazio dedicato (anche) alla musica, esattamente al TPO di Bologna, uno stanzone pieno di persone giovani e sorridenti, dove alle pareti sono affissi dei volantini antimolestie davvero encomiabili. E però arrivano le 23, e i cinque Deafheaven salgono sul palco, attaccando duramente con una Honeycomb che mette subito le cose in chiaro. George Clarke, voce e potremmo dire anima della band, è una figura che si dimostra da subito carismatica. Alto, in forma fisica invidiabile, in movimento costante, indossa una camicia scura che, dopo pochi secondi, gli si attacca alla pelle in quanto madida di sudore. La voce non mostra mai cedimenti, e tra una canzone e la seguente ringrazia ed introduce. Verso la fine inviterà il pubblico a "mantenere l'energia positiva" che secondo lui si è creata. Il resto della band svolge diligentemente il proprio lavoro, sezione ritmica dinamica, senza sbavature e senza dubbio di un livello tecnico valido, le due chitarre che si intrecciano neanche fossero quelle dei Judas Priest. Sono dei bravi ragazzi (e non nel senso "mafioso" del termine) che stanno cercando, e forse ci sono già riusciti, di creare un genere. O almeno, un sottogenere. Mi pare che ci stiano riuscendo, e il live di stasera lo conferma.
The 23 o'clock arrives, and the five Deafheaven rise on the stage, attacking harshly with a Honeycomb that immediately sets the record straight. George Clarke, voice and we could say soul of the band, is a figure that immediately proves charismatic. Tall, in an enviable physical form, in constant motion, he wears a dark shirt that, after a few seconds, attaches to his skin as it is soaked with sweat. The voice never shows yielding, and between a song and the following, he thanks and introduces. Towards the end he will invite the public to "maintain the positive energy" that it has been created. The rest of the band diligently performs their work, dynamic rhythm section, without smudging and without doubt of a valid technical level, the two guitars that interweave like those of Judas Priest. They are good guys (and not in the "mafia" sense of the word) who are looking for, and perhaps they have already succeeded, to create a genre. Or at least, a subgenre. I think they are succeeding, and the live tonight confirms it.
Di ritorno da una settimana lavorativa in Belgio, atterro a Borgo Panigale per essere in orario per la seconda data in terra italica dei San Franciscan Deafheaven, che portano in tour il loro splendido quarto album Ordinary Corrupt Human Love. Fatico un po' per trovare un parcheggio, quindi mi perdo una parte dell'esibizione della band di apertura, i massicci Inter Arma da Richmond, Virginia, con un batterista monumentale, che detta i tempi (e i controtempi) di un impressionante sludge metal dalle venature blackened. Molto buoni, senza dubbio da ascoltare, per le orecchie più ruvide. Sono, come mi capita spesso ultimamente, visto che da diciamo un anno o poco più sto riprendendo l'abitudine di andare per concerti, per la prima volta (per me) in uno spazio dedicato (anche) alla musica, esattamente al TPO di Bologna, uno stanzone pieno di persone giovani e sorridenti, dove alle pareti sono affissi dei volantini antimolestie davvero encomiabili. E però arrivano le 23, e i cinque Deafheaven salgono sul palco, attaccando duramente con una Honeycomb che mette subito le cose in chiaro. George Clarke, voce e potremmo dire anima della band, è una figura che si dimostra da subito carismatica. Alto, in forma fisica invidiabile, in movimento costante, indossa una camicia scura che, dopo pochi secondi, gli si attacca alla pelle in quanto madida di sudore. La voce non mostra mai cedimenti, e tra una canzone e la seguente ringrazia ed introduce. Verso la fine inviterà il pubblico a "mantenere l'energia positiva" che secondo lui si è creata. Il resto della band svolge diligentemente il proprio lavoro, sezione ritmica dinamica, senza sbavature e senza dubbio di un livello tecnico valido, le due chitarre che si intrecciano neanche fossero quelle dei Judas Priest. Sono dei bravi ragazzi (e non nel senso "mafioso" del termine) che stanno cercando, e forse ci sono già riusciti, di creare un genere. O almeno, un sottogenere. Mi pare che ci stiano riuscendo, e il live di stasera lo conferma.
The 23 o'clock arrives, and the five Deafheaven rise on the stage, attacking harshly with a Honeycomb that immediately sets the record straight. George Clarke, voice and we could say soul of the band, is a figure that immediately proves charismatic. Tall, in an enviable physical form, in constant motion, he wears a dark shirt that, after a few seconds, attaches to his skin as it is soaked with sweat. The voice never shows yielding, and between a song and the following, he thanks and introduces. Towards the end he will invite the public to "maintain the positive energy" that it has been created. The rest of the band diligently performs their work, dynamic rhythm section, without smudging and without doubt of a valid technical level, the two guitars that interweave like those of Judas Priest. They are good guys (and not in the "mafia" sense of the word) who are looking for, and perhaps they have already succeeded, to create a genre. Or at least, a subgenre. I think they are succeeding, and the live tonight confirms it.
20181210
Ra
Amenra + Toner Low + Hemelbestormer + Soul Grip, Gebr. de Nobel, Leiden NL, 20 ottobre 2018
Dopo aver fatto il turista al mattino, ed essermi ben riposato nel pomeriggio, eccomi pronto e in perfetto orario per la seconda parte della Amenra Experience, come l'ha chiamata un collega belga, con il quale ogni tanto parliamo di musica, e che ha promesso che mi presenterà personalmente Melanie De Biasio (perché è sua amica, e perché si è stupito che la conoscessi musicalmente). Arrivo al Gebr. de Nobel, e al guardaroba mi consigliano, visto che ho anche una borsa, di usare gli stipetti al primo piano, che sono gratuiti come il guardaroba stesso. Dopo essere ricorso all'aiuto di una delle guardarobiere, causa la mia incapacità di chiudere lo stipetto, vago per qualche minuti alla ricerca della sala. La trovo, spendo i token che mi rimangono in una bibita, e mi piazzo strategicamente, per avere un minimo di appoggio per la schiena. Illuminante il passaggio musicale diffuso dagli altoparlanti: ad un certo punto, una dietro l'altra, Emma Ruth Rundle, Zola Jesus e Anna von Hausswolff: come dice giustamente l'amico e intenditore Beach, "chi si somiglia si piglia". Quello che non ho capito, e che capirò solo al momento di scrivere questo resoconto, è che il locale ha due sale (come molti locali fuori dall'Italia, eppure dovrei averlo imparato), e quindi due delle quattro band previste stasera me le perdo, dato che suonano nella sala piccola: Hemelbestormer e Soul Grip, entrambe belghe. Nella sala grande, in perfetto orario ci sono i Toner Low, terzetto olandese che rispecchia perfettamente il proprio nome, con uno stoner-doom dai toni decisamente bassi, ma dopo un po' anche basta. Mentre mi chiedo che fine abbiano fatto le altre due band, arrivano le 21,45, ed ecco che sul palco entrano dapprima Colin (voce) e Bjorn (batteria), e cominciano a percuotere degli strumenti metallici, con ritmica precisione e lentezza esasperante. Il resto della band entra sul palco e si prepara alla partenza, mentre è impossibile non pensare al rumore dei chiodi sulla croce. Naturalmente, chi fa già parte della Chiesa di Ra, avrà capito che si parte con Boden - Spijt. Siamo catapultati, tutti i presenti, in un mondo parallelo, irreale ma presente, da qualche parte nel profondo di ognuno, dove il dolore la fa da padrone, e viene dosato abilmente dai cinque fiamminghi, alternandolo a momenti di quiete. I visual, ma soprattutto le luci bianchissime, che esplodono esattamente nei momenti nei quali la band "apre il fuoco" musicale, investono gli spettatori insieme al muro di suono che gli Amenra riescono a costruire tutti insieme. E' doveroso citare la recensione di Zware Metalen, quella che mi ha permesso di capire che il locale ha due palchi, anche perché ha dei passaggi che descrivono molto meglio di quanto posso fare io, quello che può essere un concerto degli Amenra: "La band fa male, ma è un bel dolore", e via con altre bellissime descrizioni. E' esattamente la verità. Del resto, come lo stesso Colin dice delle storie che racconta, insieme alla sua band: "quel momento in cui sei in ginocchio, e fai domande che non hanno risposta". Se vi interessasse la scaletta la trovate qui, ma quello che è importante che sappiate, è che un concerto degli Amenra è realmente un'esperienza. Ancora Zware Metalen: "una sensazione che non è necessariamente piacevole, ma che crea dipendenza, e che come la malinconia, può essere bellissima". Nient'altro da aggiungere.
On the stage first Colin (voice) and Bjorn (drums) enter, and start to beat metal instruments, with rhythmic precision and exasperating slowness. The rest of the band enters the stage and prepares for the start, while it is impossible not to think about the noise of the nails on the cross. Naturally, whoever is already part of the Church of Ra, will have understood that it starts with Boden. We are catapulted, all the present, in a parallel world, unreal but present, somewhere in the depths of everyone, where pain is the master, and is skillfully dosed by the five Flemish, alternating with moments of quiet. The visuals, but above all the white lights, which explode exactly in the moments in which the band "opens the fire" music, invest the spectators together with the wall of sound that the Amenra can build together. It's right to mention the review by Zware Metalen, the one that allowed me to understand that the venue have two stages, also because it has steps that describe much better than I can, what can be a concert of Amenra: "the band hurts, but it's a nice pain", and go on with other beautiful descriptions. It is exactly the truth. After all, as Colin himself tells of the stories he sings, together with his band: "that moment when you're on your knees, and you ask questions that have no answer". If you are interested in the setlist you can find it here, but what is important for you to know is that an Amenra concert is really an experience. Still Zware Metalen: "a feeling that is not necessarily pleasant, but that is addictive, and that like melancholy, can be beautiful". Nothing else to add.
Dopo aver fatto il turista al mattino, ed essermi ben riposato nel pomeriggio, eccomi pronto e in perfetto orario per la seconda parte della Amenra Experience, come l'ha chiamata un collega belga, con il quale ogni tanto parliamo di musica, e che ha promesso che mi presenterà personalmente Melanie De Biasio (perché è sua amica, e perché si è stupito che la conoscessi musicalmente). Arrivo al Gebr. de Nobel, e al guardaroba mi consigliano, visto che ho anche una borsa, di usare gli stipetti al primo piano, che sono gratuiti come il guardaroba stesso. Dopo essere ricorso all'aiuto di una delle guardarobiere, causa la mia incapacità di chiudere lo stipetto, vago per qualche minuti alla ricerca della sala. La trovo, spendo i token che mi rimangono in una bibita, e mi piazzo strategicamente, per avere un minimo di appoggio per la schiena. Illuminante il passaggio musicale diffuso dagli altoparlanti: ad un certo punto, una dietro l'altra, Emma Ruth Rundle, Zola Jesus e Anna von Hausswolff: come dice giustamente l'amico e intenditore Beach, "chi si somiglia si piglia". Quello che non ho capito, e che capirò solo al momento di scrivere questo resoconto, è che il locale ha due sale (come molti locali fuori dall'Italia, eppure dovrei averlo imparato), e quindi due delle quattro band previste stasera me le perdo, dato che suonano nella sala piccola: Hemelbestormer e Soul Grip, entrambe belghe. Nella sala grande, in perfetto orario ci sono i Toner Low, terzetto olandese che rispecchia perfettamente il proprio nome, con uno stoner-doom dai toni decisamente bassi, ma dopo un po' anche basta. Mentre mi chiedo che fine abbiano fatto le altre due band, arrivano le 21,45, ed ecco che sul palco entrano dapprima Colin (voce) e Bjorn (batteria), e cominciano a percuotere degli strumenti metallici, con ritmica precisione e lentezza esasperante. Il resto della band entra sul palco e si prepara alla partenza, mentre è impossibile non pensare al rumore dei chiodi sulla croce. Naturalmente, chi fa già parte della Chiesa di Ra, avrà capito che si parte con Boden - Spijt. Siamo catapultati, tutti i presenti, in un mondo parallelo, irreale ma presente, da qualche parte nel profondo di ognuno, dove il dolore la fa da padrone, e viene dosato abilmente dai cinque fiamminghi, alternandolo a momenti di quiete. I visual, ma soprattutto le luci bianchissime, che esplodono esattamente nei momenti nei quali la band "apre il fuoco" musicale, investono gli spettatori insieme al muro di suono che gli Amenra riescono a costruire tutti insieme. E' doveroso citare la recensione di Zware Metalen, quella che mi ha permesso di capire che il locale ha due palchi, anche perché ha dei passaggi che descrivono molto meglio di quanto posso fare io, quello che può essere un concerto degli Amenra: "La band fa male, ma è un bel dolore", e via con altre bellissime descrizioni. E' esattamente la verità. Del resto, come lo stesso Colin dice delle storie che racconta, insieme alla sua band: "quel momento in cui sei in ginocchio, e fai domande che non hanno risposta". Se vi interessasse la scaletta la trovate qui, ma quello che è importante che sappiate, è che un concerto degli Amenra è realmente un'esperienza. Ancora Zware Metalen: "una sensazione che non è necessariamente piacevole, ma che crea dipendenza, e che come la malinconia, può essere bellissima". Nient'altro da aggiungere.
On the stage first Colin (voice) and Bjorn (drums) enter, and start to beat metal instruments, with rhythmic precision and exasperating slowness. The rest of the band enters the stage and prepares for the start, while it is impossible not to think about the noise of the nails on the cross. Naturally, whoever is already part of the Church of Ra, will have understood that it starts with Boden. We are catapulted, all the present, in a parallel world, unreal but present, somewhere in the depths of everyone, where pain is the master, and is skillfully dosed by the five Flemish, alternating with moments of quiet. The visuals, but above all the white lights, which explode exactly in the moments in which the band "opens the fire" music, invest the spectators together with the wall of sound that the Amenra can build together. It's right to mention the review by Zware Metalen, the one that allowed me to understand that the venue have two stages, also because it has steps that describe much better than I can, what can be a concert of Amenra: "the band hurts, but it's a nice pain", and go on with other beautiful descriptions. It is exactly the truth. After all, as Colin himself tells of the stories he sings, together with his band: "that moment when you're on your knees, and you ask questions that have no answer". If you are interested in the setlist you can find it here, but what is important for you to know is that an Amenra concert is really an experience. Still Zware Metalen: "a feeling that is not necessarily pleasant, but that is addictive, and that like melancholy, can be beautiful". Nothing else to add.
20181209
Amen
Amenra + Jozef Van Wissem, Leidse Schouwburg, Leiden NL, 19 ottobre 2018
Solo da poco tempo sono "entrato" a far parte degli ammiratori degli Amenra, band fiamminga dal suono decisamente estremo, e, incuriosito da molti giudizi che descrivono i loro spettacoli del vivo come entrancing communions, qualcosa come "benefico rito collettivo", avevo tutte le migliori intenzioni di andarli a vedere live. Avendoli perso ad inizio di quest'anno, quando hanno suonato in Italia, a causa del maltempo, ho cominciato a seguire le loro date, cercando di cogliere un'occasione favorevole, anche espatriando. Qualche tempo fa, sono venuto a conoscenza di un doppio concerto nella stessa cittadina olandese, Leiden, poco distante da Amsterdam. Il venerdì sera, concerto acustico nel teatro cittadino, il sabato sera, concerto elettrico in un locale poco distante, organizzatore dell'evento globale. Dopo aver controllato la possibilità di un volo relativamente comodo, ed essere uscito vincitore dall'impresa dell'acquisto dei biglietti su un sito con indicazioni esclusivamente in olandese, mi sono organizzato al meglio il weekend nella cittadina che dette i natali nientemeno che a Rembrandt, e quindi, ben riposato e freschissimo, eccomi qui verso le 19, in attesa che il Leidse Schouwburg, splendido teatro costruito nel 1705, apra i battenti per accogliere i fan. Organizzazione come si deve, perché anche il metal è cultura, bar, hostess e stewards, banco del merchandise fornitissimo che visito prima che ci sia la ressa, posti a sedere comodi, mi sistemo e attendo l'evento curioso.
Apre Jozef van Wissem, musicista olandese che suona liuto rinascimentale e quello barocco, componendo musiche originali partendo da tablature del 1600 e lavorandoci sopra con una tecnica particolarissima. L'esibizione viene interrotta dall'impianto elettrico, che salta; certo è che questo artista è veramente unico. Sonorità incredibili, che proiettano l'ascoltatore molti secoli indietro nel tempo.
Più o meno in orario sulla tabella, ecco i cinque Amenra, accompagnati da una sesta componente aggiunta, voce femminile e violino (forse Femke de Beleyr). Palco spoglio, sei sedie di legno disposte in cerchio, alcuni di loro, tra cui ovviamente il cantante Colin H. van Eeckhout, ci danno le spalle. Il buio la fa da padrone, ma le proiezioni sullo sfondo creano atmosfere bucoliche ogni tanto, eteree, sacre, decisamente suggestive. Apre Aorte. Nous Sommes Du Même Sang, e l'intero teatro, non tutto pieno (la capienza sarebbe di 500 persone abbondanti), viene immediatamente preso alle viscere, anche se i fiamminghi hanno la spina staccata. La scaletta è fatta dai loro pezzi migliori (A Solitary Reign, Diaken, Plus près de toi (Closer to You), Ritual, Nowena / 9.10, Razoreater, e altri), una a dir poco meravigliosa cover di Parabol dei Tool (mi ritrovo a pensare che, nella versione clean, la voce di Colin è veramente molto simile a quella di Maynard), e una curiosa Het dorp del cantautore folk fiammingo Zjef Vanuytsel. Dopo poco più di un'ora è tutto finito, ma vedo persone che si attardano sulle loro poltroncine. L'impressione è quella di aver assistito, appunto, ad un rito.
Opens Jozef van Wissem, a Dutch musician who plays Renaissance lute and baroque lute, composing original music starting from tablature of 1600 and working on it with a very special technique. The show is interrupted by the electrical system, which switched off; sure is that this artist is truly unique. Incredible sounds, which project the listener many centuries back in time.
More or less on time on the scheduling, here are the five Amenra, accompanied by a sixth addition, female voice and violin (perhaps Femke de Beleyr). A bare stage, six wooden chairs arranged in a circle, some of them, including obviously the singer Colin H. van Eeckhout, give us their backs. The dark is the master, but the projections in the background create bucolic atmospheres sometimes, ethereal, sacred, definitely suggestive. Opens Aorte. nous sommes du même sang, and the whole theater, not all full (the capacity would be 500 abundant people), is immediately taken to the bowels, even if the Flemish have the plug detached. The setlist is made from their best tracks (A Solitary Reign, Diaken, Plus près de toi (Closer to You), Ritual, Nowena / 9.10, Razoreater, and others), a (at least) wonderful cover of Parabol from Tool (I find myself to think that, in the clean version, the voice of Colin is really very similar to that of Maynard), and a curious Het dorp of the Flemish folk songwriter Zjef Vanuytsel. After just over an hour it's all over, but I see people lingering on their chairs. The impression is that of having witnessed, in fact, a ritual.
Solo da poco tempo sono "entrato" a far parte degli ammiratori degli Amenra, band fiamminga dal suono decisamente estremo, e, incuriosito da molti giudizi che descrivono i loro spettacoli del vivo come entrancing communions, qualcosa come "benefico rito collettivo", avevo tutte le migliori intenzioni di andarli a vedere live. Avendoli perso ad inizio di quest'anno, quando hanno suonato in Italia, a causa del maltempo, ho cominciato a seguire le loro date, cercando di cogliere un'occasione favorevole, anche espatriando. Qualche tempo fa, sono venuto a conoscenza di un doppio concerto nella stessa cittadina olandese, Leiden, poco distante da Amsterdam. Il venerdì sera, concerto acustico nel teatro cittadino, il sabato sera, concerto elettrico in un locale poco distante, organizzatore dell'evento globale. Dopo aver controllato la possibilità di un volo relativamente comodo, ed essere uscito vincitore dall'impresa dell'acquisto dei biglietti su un sito con indicazioni esclusivamente in olandese, mi sono organizzato al meglio il weekend nella cittadina che dette i natali nientemeno che a Rembrandt, e quindi, ben riposato e freschissimo, eccomi qui verso le 19, in attesa che il Leidse Schouwburg, splendido teatro costruito nel 1705, apra i battenti per accogliere i fan. Organizzazione come si deve, perché anche il metal è cultura, bar, hostess e stewards, banco del merchandise fornitissimo che visito prima che ci sia la ressa, posti a sedere comodi, mi sistemo e attendo l'evento curioso.
Apre Jozef van Wissem, musicista olandese che suona liuto rinascimentale e quello barocco, componendo musiche originali partendo da tablature del 1600 e lavorandoci sopra con una tecnica particolarissima. L'esibizione viene interrotta dall'impianto elettrico, che salta; certo è che questo artista è veramente unico. Sonorità incredibili, che proiettano l'ascoltatore molti secoli indietro nel tempo.
Più o meno in orario sulla tabella, ecco i cinque Amenra, accompagnati da una sesta componente aggiunta, voce femminile e violino (forse Femke de Beleyr). Palco spoglio, sei sedie di legno disposte in cerchio, alcuni di loro, tra cui ovviamente il cantante Colin H. van Eeckhout, ci danno le spalle. Il buio la fa da padrone, ma le proiezioni sullo sfondo creano atmosfere bucoliche ogni tanto, eteree, sacre, decisamente suggestive. Apre Aorte. Nous Sommes Du Même Sang, e l'intero teatro, non tutto pieno (la capienza sarebbe di 500 persone abbondanti), viene immediatamente preso alle viscere, anche se i fiamminghi hanno la spina staccata. La scaletta è fatta dai loro pezzi migliori (A Solitary Reign, Diaken, Plus près de toi (Closer to You), Ritual, Nowena / 9.10, Razoreater, e altri), una a dir poco meravigliosa cover di Parabol dei Tool (mi ritrovo a pensare che, nella versione clean, la voce di Colin è veramente molto simile a quella di Maynard), e una curiosa Het dorp del cantautore folk fiammingo Zjef Vanuytsel. Dopo poco più di un'ora è tutto finito, ma vedo persone che si attardano sulle loro poltroncine. L'impressione è quella di aver assistito, appunto, ad un rito.
Opens Jozef van Wissem, a Dutch musician who plays Renaissance lute and baroque lute, composing original music starting from tablature of 1600 and working on it with a very special technique. The show is interrupted by the electrical system, which switched off; sure is that this artist is truly unique. Incredible sounds, which project the listener many centuries back in time.
More or less on time on the scheduling, here are the five Amenra, accompanied by a sixth addition, female voice and violin (perhaps Femke de Beleyr). A bare stage, six wooden chairs arranged in a circle, some of them, including obviously the singer Colin H. van Eeckhout, give us their backs. The dark is the master, but the projections in the background create bucolic atmospheres sometimes, ethereal, sacred, definitely suggestive. Opens Aorte. nous sommes du même sang, and the whole theater, not all full (the capacity would be 500 abundant people), is immediately taken to the bowels, even if the Flemish have the plug detached. The setlist is made from their best tracks (A Solitary Reign, Diaken, Plus près de toi (Closer to You), Ritual, Nowena / 9.10, Razoreater, and others), a (at least) wonderful cover of Parabol from Tool (I find myself to think that, in the clean version, the voice of Colin is really very similar to that of Maynard), and a curious Het dorp of the Flemish folk songwriter Zjef Vanuytsel. After just over an hour it's all over, but I see people lingering on their chairs. The impression is that of having witnessed, in fact, a ritual.
20181208
20181207
A rude, noisy, and aggressive young man
YOB + Wiedgedood, Freakout Club, Bologna, 2 novembre 2018
Mentre la penisola viene flagellata dalla pioggia, un po' a macchia di leopardo, le temperature sono ancora decenti, ed eccomi, per un venerdì potenzialmente da "ponte" (non per me), a coprire abbastanza velocemente la distanza tra il paesello e Bologna, per assistere a questo gig, la prima volta al Freakout Club, non lontano dal Locomotive. Essenzialmente, uno stanzone, dove probabilmente un tempo c'era un'attività di qualche tipo. Dentro quindi caldo micidiale, poco prima su Facebook l'organizzazione dava il sold out: la mia stima personale è di un centinaio di persone. Mi sistemo appoggiato ad un muro, e non lontano dall'uscita, e attendo, sorseggiando una birretta, l'inizio del set dei fiamminghi Wiegedood (Sindrome della morte in culla, in fiammingo/olandese), che altri non sono se non la sezione ritmica degli Oathbreaker (Gilles al basso e Wim alla batteria), più, alla chitarra e voce, Levy degli Amenra (dove suona il basso). Anche i Wiegedood appartengono al collettivo Church of Ra. 45 minuti di un black metal tirato ma anche vagamente sperimentale, non li avevo mai sentiti ma ci sto dentro, anche se chi mi conosce sa che mi stanco presto. Con una ventina di minuti abbondanti di ritardo sulla scaletta della serata, quindi alle 23 e 06, comincia il trio di Eugene, Oregon, che fino a poco prima ha diligentemente aiutato a smontare il palco degli opener. Ablaze riempie lo stanzone, e ci ricorda che questi hanno fatto uscire uno dei dischi più belli del 2018. Si prosegue per un'oretta circa, pubblico attento e partecipe, Mike visibilmente riconoscente. Il suono è più che sufficiente, e non si fatica a capire che poche sono le sbavature rispetto ai dischi. Gli YOB sono quindi promossi a pieni voti, alla prova dal vivo.
While the peninsula is flagellated by the rain, a bit to patch of leopard, the temperatures are still decent, and here I am, for a Friday potentially as "bridge" between a Bank Holiday and a weekend (not for me), to cover the distance between my little town and Bologna, quite quickly, to witness this gig, the first time at the Freakout Club, not far from the Locomotive Club. Essentially, a large room, where probably there was once an activity of some sort. So hot and deadly inside, just some minutes before, on Facebook, the organization call the sold out: my personal estimate is of a hundred people. I settle against a wall, and not far from the exit, and I wait, sipping a beer, the beginning of the set of the Flemish Wiegedood (Cradle Death Syndrome, in Flemish/Dutch), which are none other than the rhythm section of Oathbreaker (Gilles on bass and Wim on drums), more, on guitar and vocals, Levy of Amenra (where he plays bass). The Wiegedood also belong to the collective Church of Ra. 45 minutes of a tense black metal, but also vaguely experimental, I had never heard them but I'm in it, even if those who know me know that I get tired soon. With about twenty minutes of delay on the scheduling of the evening, then at 11 and 06 PM, the trio from Eugene, Oregon, who until recently has diligently helped to dismantle the stage of the opener, begins. Ablaze fills the room, and reminds us that these guys have released one of the most beautiful records of 2018. It continues for about an hour, audience attentive and participant, Mike visibly grateful. The sound is more than enough, and it is not hard to understand that there are few smears compared to the discs. YOB are therefore promoted with full marks, live proof.
Mentre la penisola viene flagellata dalla pioggia, un po' a macchia di leopardo, le temperature sono ancora decenti, ed eccomi, per un venerdì potenzialmente da "ponte" (non per me), a coprire abbastanza velocemente la distanza tra il paesello e Bologna, per assistere a questo gig, la prima volta al Freakout Club, non lontano dal Locomotive. Essenzialmente, uno stanzone, dove probabilmente un tempo c'era un'attività di qualche tipo. Dentro quindi caldo micidiale, poco prima su Facebook l'organizzazione dava il sold out: la mia stima personale è di un centinaio di persone. Mi sistemo appoggiato ad un muro, e non lontano dall'uscita, e attendo, sorseggiando una birretta, l'inizio del set dei fiamminghi Wiegedood (Sindrome della morte in culla, in fiammingo/olandese), che altri non sono se non la sezione ritmica degli Oathbreaker (Gilles al basso e Wim alla batteria), più, alla chitarra e voce, Levy degli Amenra (dove suona il basso). Anche i Wiegedood appartengono al collettivo Church of Ra. 45 minuti di un black metal tirato ma anche vagamente sperimentale, non li avevo mai sentiti ma ci sto dentro, anche se chi mi conosce sa che mi stanco presto. Con una ventina di minuti abbondanti di ritardo sulla scaletta della serata, quindi alle 23 e 06, comincia il trio di Eugene, Oregon, che fino a poco prima ha diligentemente aiutato a smontare il palco degli opener. Ablaze riempie lo stanzone, e ci ricorda che questi hanno fatto uscire uno dei dischi più belli del 2018. Si prosegue per un'oretta circa, pubblico attento e partecipe, Mike visibilmente riconoscente. Il suono è più che sufficiente, e non si fatica a capire che poche sono le sbavature rispetto ai dischi. Gli YOB sono quindi promossi a pieni voti, alla prova dal vivo.
While the peninsula is flagellated by the rain, a bit to patch of leopard, the temperatures are still decent, and here I am, for a Friday potentially as "bridge" between a Bank Holiday and a weekend (not for me), to cover the distance between my little town and Bologna, quite quickly, to witness this gig, the first time at the Freakout Club, not far from the Locomotive Club. Essentially, a large room, where probably there was once an activity of some sort. So hot and deadly inside, just some minutes before, on Facebook, the organization call the sold out: my personal estimate is of a hundred people. I settle against a wall, and not far from the exit, and I wait, sipping a beer, the beginning of the set of the Flemish Wiegedood (Cradle Death Syndrome, in Flemish/Dutch), which are none other than the rhythm section of Oathbreaker (Gilles on bass and Wim on drums), more, on guitar and vocals, Levy of Amenra (where he plays bass). The Wiegedood also belong to the collective Church of Ra. 45 minutes of a tense black metal, but also vaguely experimental, I had never heard them but I'm in it, even if those who know me know that I get tired soon. With about twenty minutes of delay on the scheduling of the evening, then at 11 and 06 PM, the trio from Eugene, Oregon, who until recently has diligently helped to dismantle the stage of the opener, begins. Ablaze fills the room, and reminds us that these guys have released one of the most beautiful records of 2018. It continues for about an hour, audience attentive and participant, Mike visibly grateful. The sound is more than enough, and it is not hard to understand that there are few smears compared to the discs. YOB are therefore promoted with full marks, live proof.
20181206
NeuroVerge
Neurosis + Converge + DeafKids, Zona Roveri, Bologna, 17 giugno 2018
Insieme all'amico Mazza, ci attardiamo finché i DeafKids non li sentiamo vagamente mentre regoliamo le scartoffie dell'ingresso. Avessi saputo prima che vengono dal Brasile, magari sarei stato più curioso. Di più non vi so dire, se non che pestano duro. Non si poteva mancare a questa tremenda accoppiata, questo incrocio di due band seminali che vagano per l'Europa questa estate: peccato che la Zona Roveri, quando c'è il pienone, diventi invivibile, a meno che tu non rimanga sulla soglia. Così faremo, e nonostante ciò, il caldo è poco sopportabile. Se penso che solo pochi giorni prima, per i Baroness c'era la desolazione, sento che qualcosa non funziona nella percezione del pubblico. Il combo di Salem, Massachusetts, sale sul palco in orario e parte senza indugi con Reptilian, e in un'ora abbondante mette in fila sedici pezzi, per la maggior parte (nove, per essere precisi) estratti dal nuovo The Dusk In Us, inframezzandoli con chicche da Jane Doe (Concubine), Axe To Fall (Dark Horse), All We Love We Live Behind (Aimless Arrow, Empty on the Inside) e You Fail Me (Drop Out, Heartless, Eagles Become Vultures). Normale, per una band che ormai ha un repertorio vastissimo. L'impressione è ottima, come sempre e nonostante il suono poco chiaro, un rullo compressore con emozioni, tutte paradossalmente lasciate all'ugola urlante e drammatica di Jacob, e una padronanza assoluta dei pezzi, con la tendenza, nonostante con un batterista come Ben tu ti possa permettere qualsiasi cosa, a rallentare sempre più spesso, a preferire pezzi pesanti alternati a quelli al fulmicotone. La chiusura con Concubine però ci ricorda chi sono, e da dove vengono.
Cambio palco che permette di respirare un po' a tutti, e verso le 23 ecco i precursori del post-metal, direttamente da Oakland, California. Given to the Rising è il pezzo di apertura, suono leggermente più definito rispetto ai Converge, ma naturalmente, set molto più catartico e meno d'impatto. Anche qui abbiamo un repertorio sconfinato, e la scaletta è molto equilibrata lungo tutti (o quasi) i dischi della band. A lungo andare, però, nonostante la potenza del suono, i passaggi e i cambi di tempo, i nove pezzi in tutto per un'ora abbondante, annoiano un poco.
The Salem, Massachusetts, combo gets on the stage on time and leaves without delay with Reptilian, and in an abundant hour gave us sixteen trucks in line, most of them (nine, to be precise) extracted from the new The Dusk In Us, interspersed with goodies from Jane Doe (Concubine), Axe to Fall (Dark Horse), All We Love We Live Behind (Aimless Arrow, Empty on the Inside) and You Fail Me (Drop Out, Heartless, Eagles Become Vultures). Normal, for a band that now has a vast repertoire. The impression is excellent, as always and despite the unclear sound, a steaming roller with emotions, all paradoxically left to the dramatic screaming of Jacob, and an absolute mastery of the tracks, with the tendency, despite a drummer like Ben you can allow anything, to slow down more and more often, to prefer heavy tracks alternating with those with a ultraspeed. The closure with Concubine, however, reminds us who they are and where they come from.
Change of stage that allows everybody to breathe a little, and around 11 PM here are the precursors of post-metal, directly from Oakland, California. Given to the Rising is the opening track, a slightly more defined sound than the Converge, but of course, much more cathartic and less impactful. Also here we have a boundless repertoire, and the lineup is very balanced along all (or almost) the records of the band. In the long run, however, despite the power of the sound, the passages and the changes of rhythm, the nine tracks in total for an abundant hour, get us bored a little.
Insieme all'amico Mazza, ci attardiamo finché i DeafKids non li sentiamo vagamente mentre regoliamo le scartoffie dell'ingresso. Avessi saputo prima che vengono dal Brasile, magari sarei stato più curioso. Di più non vi so dire, se non che pestano duro. Non si poteva mancare a questa tremenda accoppiata, questo incrocio di due band seminali che vagano per l'Europa questa estate: peccato che la Zona Roveri, quando c'è il pienone, diventi invivibile, a meno che tu non rimanga sulla soglia. Così faremo, e nonostante ciò, il caldo è poco sopportabile. Se penso che solo pochi giorni prima, per i Baroness c'era la desolazione, sento che qualcosa non funziona nella percezione del pubblico. Il combo di Salem, Massachusetts, sale sul palco in orario e parte senza indugi con Reptilian, e in un'ora abbondante mette in fila sedici pezzi, per la maggior parte (nove, per essere precisi) estratti dal nuovo The Dusk In Us, inframezzandoli con chicche da Jane Doe (Concubine), Axe To Fall (Dark Horse), All We Love We Live Behind (Aimless Arrow, Empty on the Inside) e You Fail Me (Drop Out, Heartless, Eagles Become Vultures). Normale, per una band che ormai ha un repertorio vastissimo. L'impressione è ottima, come sempre e nonostante il suono poco chiaro, un rullo compressore con emozioni, tutte paradossalmente lasciate all'ugola urlante e drammatica di Jacob, e una padronanza assoluta dei pezzi, con la tendenza, nonostante con un batterista come Ben tu ti possa permettere qualsiasi cosa, a rallentare sempre più spesso, a preferire pezzi pesanti alternati a quelli al fulmicotone. La chiusura con Concubine però ci ricorda chi sono, e da dove vengono.
Cambio palco che permette di respirare un po' a tutti, e verso le 23 ecco i precursori del post-metal, direttamente da Oakland, California. Given to the Rising è il pezzo di apertura, suono leggermente più definito rispetto ai Converge, ma naturalmente, set molto più catartico e meno d'impatto. Anche qui abbiamo un repertorio sconfinato, e la scaletta è molto equilibrata lungo tutti (o quasi) i dischi della band. A lungo andare, però, nonostante la potenza del suono, i passaggi e i cambi di tempo, i nove pezzi in tutto per un'ora abbondante, annoiano un poco.
The Salem, Massachusetts, combo gets on the stage on time and leaves without delay with Reptilian, and in an abundant hour gave us sixteen trucks in line, most of them (nine, to be precise) extracted from the new The Dusk In Us, interspersed with goodies from Jane Doe (Concubine), Axe to Fall (Dark Horse), All We Love We Live Behind (Aimless Arrow, Empty on the Inside) and You Fail Me (Drop Out, Heartless, Eagles Become Vultures). Normal, for a band that now has a vast repertoire. The impression is excellent, as always and despite the unclear sound, a steaming roller with emotions, all paradoxically left to the dramatic screaming of Jacob, and an absolute mastery of the tracks, with the tendency, despite a drummer like Ben you can allow anything, to slow down more and more often, to prefer heavy tracks alternating with those with a ultraspeed. The closure with Concubine, however, reminds us who they are and where they come from.
Change of stage that allows everybody to breathe a little, and around 11 PM here are the precursors of post-metal, directly from Oakland, California. Given to the Rising is the opening track, a slightly more defined sound than the Converge, but of course, much more cathartic and less impactful. Also here we have a boundless repertoire, and the lineup is very balanced along all (or almost) the records of the band. In the long run, however, despite the power of the sound, the passages and the changes of rhythm, the nine tracks in total for an abundant hour, get us bored a little.
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