No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060420

come da richiesta


Premetto solo che ho visto questo film a ottobre 2005, appena uscito. Per dire, prima dell'immenso battage pubblicitario che gli ha portato l'Oscar. A voi la rece

Crash – Contatto fisico – di Paul Haggis 2005

Los Angeles, oggi. Un procuratore distrettuale in carriera, attentissimo alla stampa e soprattutto alle minoranze etniche, la moglie un po’ nevrotica che, in seguito al furto dell’auto diventa insopportabilmente razzista. Un detective di colore che ha una storia con la collega portoricana, alle prese con la madre malata e un fratello dentro fino al collo nella droga e nella malavita. Una coppia di poliziotti bianchi, uno inguaribilmente razzista con un padre che sta poco bene, l’altro politically correct che non sopporta più il collega e cerca di liberarsene. Un regista televisivo di colore e la moglie che non perde occasione per dargli del codardo, che però si crogiola nell’agiatezza. Una coppia di giovani ladruncoli di colore e le loro fisse. Un giovane fabbro, con moglie e figlia piccola, che di recente ha cambiato quartiere per evitare che improvvisamente delle pallottole entrassero dalla finestra. Un asiatico coinvolto in traffici poco chiari. Una famiglia iraniana con un piccolo emporio, il padre poco integrato, come la madre, che vuole una pistola perché ha paura dei ladri, la figlia che media tra la propria integrazione e la sua famiglia. Una donna di colore impiegata nella sanità.
Le loro vite cozzeranno nel breve arco di alcune ore, portando ovvie conseguenze.
Ottimo e davvero promettente, il debutto alla regia di Paul Haggis, che, come dice lui stesso, ha preso la decisione di darsi al cinema per “non essere ricordato come l’ideatore di Walker Texas Ranger”. Dopo aver scritto la sceneggiatura di “Million Dollar Baby”, siede per la prima volta dietro la telecamera e sforna questo bel film corale, ricordandoci “Grand Canyon” di Kasdan e “America Oggi” di Altman (quando ancora era in sé), non facendoceli rimpiangere. Nonostante i rimandi quasi immediati, il tocco è personale, e permette allo spettatore di giudicare dall’esterno lo spaccato di una società, quale quella americana, che sembra essere sempre sul punto di implodere, tanti e tali sono i suoi conflitti interni. Lo fa quasi patinando troppo le immagini, creando così un enorme contrasto tra l’immagine e quello che sta realmente passando sullo schermo, forse volutamente. Droga, rapine, razzismo, emarginazione, incomunicabilità estrema, egoismo allo stato puro. Come si può intuire, non è un film perfetto, ma ce ne fossero. Potremmo anche annotare un finale che dura quasi venti minuti (almeno, che sia il finale lo si intuisce dal tourbillon generato dagli epiloghi delle singole storie), ma poi ci rendiamo conto che è necessario. Anche se usciamo dal cinema convinti che il messaggio sia quello che ci vuole più amore, forse c’è qualcosa di più.
La bravura del regista, impressionante se pensiamo ancora una volta che è una prima regia, è quella proprio di creare contrasti. Il personaggio che all’inizio sembra il più stronzo, si rivela uno dei più umani alla fine, pur conservando il suo carico di pregiudizi (a voi indovinare a chi mi riferisco), mentre quello che sembra la sua antitesi si macchia del reato più grave. L’inizio si rivela la fine. E, addentrandoci nel cast, foltissimo, alcuni attori usati fin qui come macchiette (mi riferisco in particolare a Brendan Fraser ma anche a Sandra Bullock), ma anche altri usati come caratteristi o poco più, si rendono autori di prove assolutamente rilevanti e ammirevoli. Ne esce un film contemporaneamente denso nei contenuti e rarefatto nell’atmosfera. I film “circolari” spesso si rivelano i più belli; forse, però, perché a girarli sono i migliori.
Più che una promessa.

2 commenti:

lafolle ha detto...

ottima e puntuale come sempre.

Anonimo ha detto...

SCOPPE
ALE puoi mandarmi il file del diario in sud ameria? Lo facciamo leggere alla dony