No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20060409
Colombia gen 06 - 49
Holiday in Colombia 33
6/2/2006 Nuotando nell’aria
Il volo va, senza grandi perturbazioni, anche se la presenza di bambini sembra crescere esponenzialmente di volo in volo. Ce ne sono un sacco, alcuni piangono di brutto. Penso a mio nipote, spero che cresca con la voglia di viaggiare e di conoscere. Di saperne di più. La frase fatta “il viaggio ti apre la mente” gira vorticosamente in testa. Una di quelle cose che sai, non c’è bisogno che qualcuno te la spieghi, ma quando ci sei in mezzo ti sembra ancora più vera. Accanto a me, da Buenos Aires a Madrid, una signora boliviana assolutamente taciturna e un po’ spaventata, si vede che va in Spagna a cercare un futuro migliore e che è spersa. L’aiuterò a compilare la cedola d’immigrazione, cercando di risultare si europeo, ma almeno non supponente.
Nella notte, nemmeno troppo lunga, riesco a piangere nel buio guardando “Pride and Prejudice” in inglese, appena uscito anche in Italia, almeno non rimango così indietro, e mentre lo guardo mi rendo conto che Keira Knightley è proprio brava, anche se come donna mi piace di più Rosamund Pike. Apprezzo anche “Elsa and Fred”, commedia geriatrica ispano-argentina. Il cibo non è affatto male, e confermo l’impressione avuta all’andata con Iberia: quando prenoti vegetarian meal, per non sbagliare, ti forniscono cibo vegan (o vegetaLiano), quindi senza neppure uova e latticini; quindi verdura, legumi, frutta, niente dolci con uova o panna. Ottimo.
Quattro anziani turisti italiani del nord, due coppie, riescono a far confondere l’intero equipaggio, tutti alla ricerca dei loro tagliandini dei bagagli, non rendendosi conto che stanno mostrando a tutte le hostess i cedolini dall’andata. Quando faccio da traduttore tra la hostess più paziente che sta ancora tentando di risolvere la situazione, e lo dico alla signora che sta montando un caso, la prima risposta (a me), stizzita, è “ma cosa dice!”, e ci do un taglio, altrimenti mi ci incazzo anche se non c’entro niente. E’ una questione d’atteggiamento, fare l’italiano all’estero.
Leggo El País, e mi viene un po’ di nostalgia di quando c’ero abbonato. Proprio ieri, Zapatero ha inaugurato il nuovo terminale mastodontico dell’aeroporto di Barajas, denominato, un po’ cinematograficamente, T4. Realizzo che ci atterreremo, ecco perché a Buenos Aires, insieme alle carte d’imbarco ci hanno dato la piantina del terminal. La studio sommariamente, non sembra complicato. A quel punto, leggo un bel paginone doppio su Messi, e la sua storia d’amore col Barcelona. Arriviamo in orario. Ecco il T4.
L’impatto è impressionante: modernissimo, enorme, dall’alto Madrid neppure si vede (una delle polemiche riportate dal País era, appunto, sul mancato avvio dei collegamenti, visto che dista qualcosa come 40 chilometri dalla capitale), ma l’aeroporto si vede eccome. Una metro collega i vari raggruppamenti di gates e i servizi, ma si vede che è ancora tutto in rodaggio. Ascensori a vetri per raccordare i vari piani. Passo i controlli, e cammino insieme alla massa imponente di migranti aeroportuali alla ricerca di un tabellone dove individuare il gate da dove partirà il mio volo per Roma. La prima impresa. Trovato un tabellone, cerco la metro. Fa subito un po’ impressione: i vari raggruppamenti distano dai 15 ai 30 minuti. Arriva la metro, si riempie, tarda a partire. Ma è prestissimo, e stranamente non ho l’ansia che di solito mi assale negli aeroporti di scambio. Arrivo, e per arrivare al gate mi ci vogliono quasi 10 minuti camminando. A questo punto, mancano due ore. Inganno il tempo, approfitto dei bagni, guardo negozi, mi decido a mangiare. Scambio sms con gli amici in Italia. Le maglie delle squadre spagnole ci sono delle taglie di mio nipote, ma portargli una maglia del Barça di ritorno dall’Argentina non mi piace, quindi passo oltre. Mi rendo conto che ormai mi piacciono solo le donne esotiche, in special modo quelle di colore, quando per mangiare qualcosa giro almeno cinque posti e alla fine mi rivolgo all’unica spagnola nera che non è neppure bellissima e per giunta sta finendo il turno lavorativo. Guardo lo scontrino, la società è la Autogrill. Globalizzazione. In effetti ci mancava il Camogli al bancone.
Arriva l’orario di partenza, faccio l’imbarco insieme a pensieri torbidi su una ragazzina italiana ma di origine sud americana, pantaloni a vita bassissima e baseball hat rosa. Ci ritroviamo fermi su una scala che scende fino al piano della pista, aspettando il bus per l’aereo. Sulla scala, familiarizzo con una coppia giovane di Roma, parlandogli della Colombia. Il bus non arriva, e quando arriva è tardi, arriviamo sull’aereo, passa l’orario della partenza e il capitano ci comunica che abbiamo perso lo slot e che ce ne hanno assegnato un altro tra un’ora. Riaccendo il cellulare e mando un sms a Fabio, che attende novità a Roma. Alla fine, partiamo con un’ora e mezzo di ritardo, accanto a me una coppia di Volterra che abita a Firenze, di ritorno dall’Argentina, e io sono cotto, non riesco a tenere gli occhi aperti. Cala il buio, mentre arriviamo a Roma, sono le otto di sera passate. Scendo, sono in Italia. Non penso a cose profonde, solo a prendere il treno e a sentire Fabio. Mi spiega che treno prendere e dove scendere. Esco da Fiumicino verso la stazione a piedi, mentre faccio il biglietto e richiedo informazioni alla ragazza della biglietteria mi chiama Emiliano e mi informa sommariamente della situazione Livorno. Mi racconta dell’unico acquisto che abbiamo fatto nel mercato di gennaio, Argilli, e di come si è presentato. Prendo il treno, e viaggio brevemente fino a Tuscolana, dove mi aspettano Fabio e Francesca. E’ una strana sensazione rivederli, è sempre una gioia, ma stavolta è diverso. Andiamo a cena e mi passa momentaneamente il sonno, Fabio è sempre il solito e Francy è sempre carina ma alla mano, si ride e si vede chiaramente che sono spaesato. Affastello pezzi di memoria confusi. Parliamo anche d’altro.
Dormo da Fabio, e finalmente, in un letto vero, non penso.
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