Bimong - di Kim Ki-duk (2008)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: troppo compri'ato
Jin fa l'incisore, Ran è una sorta di stilista, cuce vestiti. I due non si conoscono. Entrambi soffrono per amore: lui ama ancora la donna che lo ha lasciato, lei tenta disperatamente di dimenticare il suo ultimo uomo. Le notti di Jin sono tormentate da sogni che non riesce a comprendere. Una situazione che si fa sempre più inquietante, finché, dopo l'ennesimo sogno in cui è causa di un incidente grave, Jin si rende conto che quello che ha sognato è realtà, e che una persona è morta veramente. La polizia sospetta di Ran, ma Jin prova a costituirsi, senza riuscire a convincere nessuno che lui è il colpevole. Poi, prova a convincere Ran, scoprendo che soffre di un sonnambulismo acuto, finché i due non realizzano che, in qualche maniera inconcepibile, lei vive quello che lui sogna, qualsiasi volta si addormenti. Ecco quindi che i due si coalizzano per non addormentarsi.
Sostengo ormai da tempo che il grandissimo regista coreano dovrebbe prendersi una pausa, che a lungo andare i suoi film mostrano segni di stanchezza, non entusiasmano come fino a qualche anno fa. Mai, però, avrei pensato che se la prendesse veramente per un fatto così grave (attenzione spoiler): Kim Ki-duk, dopo questo film, si è ritirato in montagna ed ha sospeso il suo lavoro a tempo indeterminato, perché l'attrice principale di Bimong, durante una scena nella quale tenta il suicidio, ha rischiato di morire. In realtà, dopo qualche anno (un paio) di inattività, ha girato il documentario Arirang, dove parla di questa sua crisi.
Fatta questa doverosa premessa, tentiamo di analizzare Bimong. Aggiungendo che, per chi dovesse vedere il film, che non è uscito in Italia, potrebbe essere interessante sapere che Jin (Joe Odagiri) parla giapponese, mentre il resto del cast, a partire da Ran (Lee Na-yeong, quella che ha rischiato di morire), recita in coreano. Stranezze (probabilmente solo una scelta per risparmiare, visto che effettivamente Joe Odagiri è giapponese) da maestri. Bimong sembra dividersi in due parti. La prima parte è grottesca, buffa, quasi divertente. Le situazioni sono ridicole, le recitazioni sopra le righe, i tentativi dei due protagonisti per non dormire inducono ilarità nello spettatore. Ma, insieme alle due abitazioni, veri e propri quadri d'autore, sono proprio questi tentativi, soprattutto quando Jin si "modifica" la faccia per tenersi gli occhi aperti, rendendosi simile ad una maschera teatrale, che trasmettono agli spettatori più attenti, una sorta di segnale: c'è di più, non siamo di fronte ad una commedia. Naturalmente, chi conosce il cinema del regista coreano lo sa, se lo aspetta. Il problema è che, se si escludono appunto i due particolari citati poc'anzi, ed il fatto, comune a molti film di Kim, che i due protagonisti all'inizio sono dei perfetti estranei, la prima parte è decisamente troppo ridicola.
Il finale, la seconda parte, è un alternarsi di scene madri, alcune indimenticabili (la scena nel campo di grano, tutto il finale col montaggio alternato), tecnicamente e concettualmente molto interessanti, momenti drammatici ed intensi, sublimazioni e catarsi finale. Aggiungiamo il particolare, notato dai recensori più attenti, che in questo film si parla molto di più che in tutti gli altri film di Kim.
E' difficile dare un giudizio. A me Bimong è parso troppo discontinuo, seppure potenzialmente interessante, cervellotico come sempre, e se nella seconda parte ho riconosciuto l'autore che ho amato in molti film del passato, nella prima ho stentato a ritrovarlo. Seconda parte da 4/5, prima parte da 2/5.
Visto che il film non è di facilissima reperibilità, lascio a voi la decisione. Se siete fans, provate a recuperarlo, anche perché potrebbe essere uno degli ultimi, chissà.
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