Un cuento chino - di Sebastiàn Borensztein (2011)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: fa stiantà però fa anco ridé
Fucheng, Cina, qualche tempo fa. Due fidanzatini stanno facendo una gita in barca; sono in mezzo al lago, e lui prega la ragazza di chiudere gli occhi, perché deve farle una sorpresa. Muove due passi per prendere l'anello, col quale vuole chiederle di sposarla. In quell'istante, una vacca, a tutta velocità, cade dal cielo, e travolge la ragazza, uccidendola (ebbene si, proprio come in Luna Papa, con una lieve variante, e qui con una giustificazione, spiegata sui titoli di coda, quindi aspettate).
Buenos Aires, oggi. Roberto De Cesare è un argentino di chiare origini italiane. Ha una ferramenta, ereditata dal padre, abita esattamente sopra il negozio. Abita solo, in una casa che sembra si sia "fermata" quaranta anni prima. Abita solo ed è solo, nonostante ci sia qualcuno che gli vuol bene, come ad esempio Mari, da sempre innamorata di lui, anche lei probabilmente vicina ai 40 anni. Roberto è abitudinario fino all'ossessività, ogni sera spegne la luce alla stessa ora, arriva a contare una ad una le viti nelle scatoline che gli arrivano dal fornitore, e ad incazzarsi come un pazzo quando sono meno di quelle che dovrebbero essere (e ovviamente, spesso capita). Colleziona soprammobili per la madre morta, ma soprattutto, articoli di giornale con notizie assurde, delle quali ride, anzi sorride, perché ne percepisce la tragicomicità. E' talmente solo, che nei giorni di festa, si prepara il panierino e va a fare picnic con la sua auto. Durante uno di questi picnic, mentre guarda gli aerei che atterrano all'aeroporto, assiste ad una scena quantomeno strana: un cinese che viene sbattuto fuori da un taxi. Non sapendo cosa fare, lo soccorre. Il cinese in questione è proprio quello che abbiamo visto perdere la fidanzata/promessa sposa all'inizio del film, e non parla una parola di castigliano (se vedrete il film doppiato, diciamo che il cinese non parla una parola della lingua madre del protagonista). Sembra disperato. Roberto, che in fondo, ma proprio in fondo, non è cattivo, ma, forse, solo rancoroso (anche se scopriremo che ha una rabbia repressa che non si può ignorare), prende con sé Jun (così si chiama il cinese), ed inizia ad aiutarlo come può per capire cosa cerca. Non sarà cosa facile, e i due dovranno convivere per un po', cosa che destabilizzerà completamente Roberto.
Ho visto questo film già qualche settimana fa, ma le recensioni da fare sono tante, ed ho perso l'attimo: Un cuento chino, un po' a sorpresa, ha sbancato il Festival di Roma. Ma non pensiate che questa cosa sia il preludio ad una distribuzione italiana.
Detto questo, è vero che Un cuento chino è una commedia con molte ingenuità, una comicità prevedibile, qualche vizio televisivo (il regista viene soprattutto dalla tv), un uso a volte involontariamente comico degli effetti digitali, una colonna sonora a tratti ridicola, un turning point (la "spiegazione" del malessere di Roberto) che molti, in Argentina, hanno trovato forzato e fuori luogo (che però, paradossalmente, ma fino ad un certo punto, e per altri motivi, in Italia piacerà e commuoverà una buona fetta degli spettatori, sempre ammesso che il film trovi una distribuzione), e tutto sommato buonista.
Ma a me, Un cuento chino, ha affascinato molto. Sarà per la sua parte grottesca e a momenti surreale (esatto, un po' come quella di Luna Papa, uno dei film più belli che abbia visto in vita mia), sarà per la sua descrizione di un argentino medio ironicamente autocritica e indovinata, sarà perché proprio questa parte, quella di Roberto (non dimentichiamoci che nome e cognome sono italiani), è recitata da un attore che meriterebbe un Oscar ogni volta che recita qualcosa (e, per l'ennesima volta: peccato che in Italia si conosca la minima parte della sua lunghissima carriera), mettetela come volete, evidentemente i miei gusti coincidono con quelli della giuria del Festival di Roma, visto che il film mi ha fatto molto ridere, e molto piangere, pur con tutti i suoi difetti, come detto innegabili.
Bella fotografia, qualche tentativo di virtuosismo registico, un cast che fa il suo, ma soprattutto un maestoso Ricardo Darìn (Roberto), per un film magari non intellettualmente eccelso, ma che stuzzica varie emozioni. Se dovesse uscire in Italia, ve lo consiglio caldamente, sperando che non lo rovini il doppiaggio (due avvertimenti: le parti in mandarino non sono sottotitolate, almeno nella versione originale, probabilmente per avere l'effetto di incomunicabilità del protagonista, e le imprecazioni di Darìn doppiate sicuramente perderanno il suo effetto dirompente - è già accaduto con Il segreto dei suoi occhi -).
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