No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20111110

restless



L’amore che resta – di Gus Van Sant (2011)

Giudizio sintetico: si può vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: tenerezza






Portland, Oregon. Enoch è un giovane adolescente inquieto, solitario, intellettuale. Orfano di entrambe i genitori, espulso dalla scuola, passa il suo tempo passeggiando per i parchi, giocando a battaglia navale con il fantasma di un pilota giapponese, un kamikaze della Seconda Guerra Mondiale, o andando a funerali di perfetti sconosciuti. Proprio ad un funerale, incontra Annabel, una coetanea bionda ed esile ma piena di vita. Così, almeno, pare. Inizialmente, Enoch la respinge, ma è evidente che le affinità tra i due sono enormi. Poco a poco, diventano una coppia. Ed è allora che Enoch scopre che Annabel è malata terminale di cancro: le rimangono più o meno tre mesi di vita.

Che uno degli elementi portanti del cinema di Van Sant siano i giovani, adolescenti o meno, è appurato. Come pure la morte: è innegabile che la fine della vita eserciti un fascino particolare, Van Sant ce ne ha parlato spesso. Ecco quindi, l’ennesima variazione sul tema, un adattamento per il cinema di una pièce teatrale di Jason Lew, Of Winter and Water Birds, che si occupa anche della sceneggiatura di Restless (titolo originale, molto più corretto della banalissima traduzione italiana, abitudine che ormai non ho più la forza di combattere). Il risultato è un film non banale, seppure non certo un capolavoro, ma dai toni crepuscolari (così come la fotografia che ci “racconta” una nebbiosa Portland). Una grande storia d’amore, amore intenso, profondo, completo come può essere solo un amore adolescenziale, un amore segnato già in partenza da una scadenza a breve, che riesce a rimanere sobrio, in una maniera che, se non ci fosse la mano di Van Sant, sarebbe sorprendente.
Questa sobrietà che è un altro dei marchi di fabbrica del cinema di Van Sant, quantomeno quando parla d’amore. Alla fine, è un po’ una lezione che in molti dovrebbero apprendere, molti di quelli che fanno cinema, voglio dire. Una storia del genere che riesce a non divenire mai melensa è segno di grande capacità.
Splendide le recitazioni che il regista riesce ad avere dai due giovani protagonisti. Non avevo dubbi su Mia Wasikowska (Annabel), che ormai considero una stella affermata nonostante abbia solo 22 anni, ma di certo non era scontata una prova così densa di sicurezza da parte di Henry Hopper (Enoch), il figlio 21enne del compianto Dennis (e di Katherine LaNasa), qui davvero convincente.
Dopo Last Days e Paranoid Park, che non mi piacquero, direi che Milk e L’amore che resta rimettono Van Sant in carreggiata.

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