Un oso rojo – di Adrián Caetano (2002)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: popo’ di ghinnia
Oso (in italiano Orso) entra in carcere, per rapina a mano armata, quando Alicia, la figlia sua e della sua donna, Natalia, ha poco più di un anno. Natalia lo lascia, e c’è poco da incazzarsi: lui deve rimanere dentro, lei e sua figlia devono continuare a vivere. Dopo più di otto anni, Oso è fuori. Natalia sta con Sergio, ed Alicia non lo conosce. Sergio è un buono a nulla, senza lavoro, col vizio delle scommesse. Le cose non vanno bene per loro.
Oso si cerca un lavoro onesto, e nel frattempo da una parte, cerca di riavere la sua parte del bottino dal Turco, dall’altra cerca di avere un rapporto normale con la sua ex moglie e, soprattutto, sua figlia. Quando si rende conto che Sergio e Natalia non riescono ad arrivare alla fine del mese, capisce che tocca a lui risolvere la situazione, per redimersi almeno un poco. Ma la strada per arrivarci da dove passa?
Caetano, regista uruguaiano di nascita, ma argentino di adozione, conosce bene la realtà argentina; questo è il suo film precedente all’ottimo Cronaca di una fuga – Buenos Aires 1977, e mostra che già qualche anno prima il nostro sapeva ben maneggiare un film d’azione, apprendendo ottimamente la lezione dei maestri statunitensi, senza snaturare lo sfondo a lui più congeniale. Molti critici lo hanno definito un “western urbano”, e mi sento di accodarmi senz’altro a tale definizione.
Il cosiddetto Conurbano bonaerense è ben rappresentato, con tutte le sue miserie e con i segni di una crisi che ha messo in ginocchio una nazione, la sceneggiatura, forse, mette in scena qualche simbolismo di troppo, e troppo ingenuo, ma le interpretazioni dei due protagonisti, coadiuvate da un buon cast di contorno, fanno di Un oso rojo, che fu apprezzato a Cannes nel 2002, una visione interessante.
Julio Chávez (Oso), che personalmente avevo apprezzato moltissimo ne El custodio, è attore molto conosciuto in Argentina per i suoi lavori televisivi (ultimamente per le mini-serie El puntero, Epitafios 2 e Tratame Bien), e qui svolge un lavoro davvero convincente, a dispetto del suo fisico non propriamente da supereroe. Soledad Villamil, che fortunatamente anche qui in Italia è stata finalmente “scoperta” con Il segreto dei suoi occhi, è una delle attrici più conosciute in patria (anche come cantante), e ve l’ho “raccontata” in No sos vos, sos yo e ne El mismo amor, la misma lluvia; anche lei fornisce un’ottima prestazione.
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: popo’ di ghinnia
Oso (in italiano Orso) entra in carcere, per rapina a mano armata, quando Alicia, la figlia sua e della sua donna, Natalia, ha poco più di un anno. Natalia lo lascia, e c’è poco da incazzarsi: lui deve rimanere dentro, lei e sua figlia devono continuare a vivere. Dopo più di otto anni, Oso è fuori. Natalia sta con Sergio, ed Alicia non lo conosce. Sergio è un buono a nulla, senza lavoro, col vizio delle scommesse. Le cose non vanno bene per loro.
Oso si cerca un lavoro onesto, e nel frattempo da una parte, cerca di riavere la sua parte del bottino dal Turco, dall’altra cerca di avere un rapporto normale con la sua ex moglie e, soprattutto, sua figlia. Quando si rende conto che Sergio e Natalia non riescono ad arrivare alla fine del mese, capisce che tocca a lui risolvere la situazione, per redimersi almeno un poco. Ma la strada per arrivarci da dove passa?
Caetano, regista uruguaiano di nascita, ma argentino di adozione, conosce bene la realtà argentina; questo è il suo film precedente all’ottimo Cronaca di una fuga – Buenos Aires 1977, e mostra che già qualche anno prima il nostro sapeva ben maneggiare un film d’azione, apprendendo ottimamente la lezione dei maestri statunitensi, senza snaturare lo sfondo a lui più congeniale. Molti critici lo hanno definito un “western urbano”, e mi sento di accodarmi senz’altro a tale definizione.
Il cosiddetto Conurbano bonaerense è ben rappresentato, con tutte le sue miserie e con i segni di una crisi che ha messo in ginocchio una nazione, la sceneggiatura, forse, mette in scena qualche simbolismo di troppo, e troppo ingenuo, ma le interpretazioni dei due protagonisti, coadiuvate da un buon cast di contorno, fanno di Un oso rojo, che fu apprezzato a Cannes nel 2002, una visione interessante.
Julio Chávez (Oso), che personalmente avevo apprezzato moltissimo ne El custodio, è attore molto conosciuto in Argentina per i suoi lavori televisivi (ultimamente per le mini-serie El puntero, Epitafios 2 e Tratame Bien), e qui svolge un lavoro davvero convincente, a dispetto del suo fisico non propriamente da supereroe. Soledad Villamil, che fortunatamente anche qui in Italia è stata finalmente “scoperta” con Il segreto dei suoi occhi, è una delle attrici più conosciute in patria (anche come cantante), e ve l’ho “raccontata” in No sos vos, sos yo e ne El mismo amor, la misma lluvia; anche lei fornisce un’ottima prestazione.
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