No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20111111

troppo grandi per fallire



Too Big To Fail – di Curtis Hanson (2011)



Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: ammazzalli tutti no eh?

2008: il colosso finanziario Lehman Brothers, ed il suo arrogante CEO, Richard Fuld, stanno impensabilmente colando a picco. Il problema è di proporzioni mondiali, e i politici statunitensi, almeno, alcuni di loro, immancabilmente ex dirigenti di qualche colosso finanziario, non ultimo il Ministro del Tesoro Henry Paulson, cominciano lentamente a rendersene conto. Che fare? Trovare acquirenti. Ma altre finanziarie cominciano a crollare. A quel punto, si statalizza, una cosa inconcepibile per una nazione liberista come gli USA. Ma il domino economico non si ferma. Bisogna inventarsi qualcosa d’altro.

Il crollo Lehman Brothers (Inside Job), la riunione fiume con gli executives delle banche statunitensi (Wall Street: il denaro non dorme mai) e i vertici del Tesoro USA, sono ormai parte della nostra storia contemporanea. E’ piuttosto normale, quindi, che si tenda a romanzare, a farne della fiction. Ben venga se a portarla sugli schermi è un buon regista (LA Confidential, 8 Mile), con un cast stellare, nell’ambito di un film per la tv (ma, visto che la tv in questione è HBO, siamo di fronte a qualcosa di cinematografico, e tra l’altro sempre di ottimo livello).
L’intera storia viene ritmata come un film d’azione, si cerca di rendere il tutto comprensibile anche per chi è a digiuno di nozioni economiche, si mostrano quali siano state, con tutta probabilità, le mosse anche politiche [intrigante la parte antecedente al finale, con Paulson che, in pratica, implora i democratici, quindi la sua opposizione, di fargli passare la sua (del suo staff) proposta]. La ricostruzione è soddisfacente, e una vaga sensazione di claustrofobia si impadronisce dello spettatore. Pecca che si può rimproverare al film, lo scarso approfondimento psicologico dei personaggi, che, bisogna riconoscerlo, sono troppi. C’è da dire che, nonostante un William Hurt piuttosto bravo, l’unico personaggio autenticamente strutturato, e con un minutaggio superiore, Henry Paulson, non convince fino in fondo, proprio a livello di psicologia, anche se ci prova fino alla fine. Non si può avere tutto, e in fondo, questo film arriva dopo i due citati in apertura (Inside Job, Wall Street 2), giusto per ribadire il tutto.
E però non è male.

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