No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20111214

planet of the apes



Il pianeta delle scimmie - di Franklin J. Schaffner (1968)


Giudizio sintetico: da vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: ci s'arriva, e nemmeno frattanto




In un futuro prossimo (1972 per l'esattezza, il film è del '68), una navicella partita dalla Terra con a bordo quattro astronauti, tre maschi e una femmina, viaggia per oltre 2000 anni (in realtà 18 mesi, ma viaggiando pressoché alla velocità della luce, per l'essere umano vale la regola della dilatazione del tempo), con l'equipaggio in stato di ibernazione, fino a schiantarsi in un lago, su un pianeta apparentemente sconosciuto. Il capitano Taylor, dopo aver constatato la morte dell'unica donna, Stewart, si mette in salvo con l'equipaggio, dopo di che, trovandosi in mezzo ad una sorta di deserto, i tre si mettono in marcia alla ricerca di qualche forma di vita. La trovano: sono uomini e donne che non parlano, vestiti di stracci, che stanno scappando. Dopo qualche secondo, capiscono anche da chi: stanno scappando da dei gorilla a cavallo, scimmie che parlano e che cercano di catturare gli umani, vivi o morti. Taylor viene ferito alla gola, ferita che gli impedisce di parlare, catturato, imprigionato, e portato nella città delle scimmie. Qui, comprende: su questo pianeta, le scimmie parlano, pensano, comandano. I gorilla formano l'esercito, gli oranghi sono politici o sacerdoti, gli scimpanzé si dedicano allo studio. Gli umani sono cavie da laboratorio.



Quasi tutti i critici accreditati, concordano che questo film ha sofferto l'uscita praticamente contemporanea con 2001: Odissea nello spazio di Kubrick; non faccio fatica a crederci, dato che io, all'epoca, avevo si e no 2 anni. Per essere onesti, bisogna ammettere inoltre che, dal punto di vista della dinamicità, delle recitazioni, delle scenografie, il film è decisamente più "povero". Ma se nel 2001 è stato scelto dal National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli USA per la preservazione, un motivo ci sarà.

Vedendolo, non si fatica a comprendere. Basato sul libro La Planète des singes, del francese Pierre Boulle (autore pure di Il ponte sul fiume Kwai), adattato, con qualche non indifferente modifica (nel libro la civiltà delle scimmie è molto più evoluta di quella umana, nel film invece è poco più che medievale), da Michael Wilson e Rod Serling, il film di Schaffner (che, ricordiamolo, è il regista di Papillon, dove la sceneggiatura era di quel fenomeno di Dalton Trumbo - Spartacus, Vacanze romane, E Johnny prese il fucile -) è una interessante riflessione, risalente a quasi 44 anni fa, sulla natura violenta, autodistruttiva, egocentrica ed egoistica, dell'uomo, una riflessione senza sconti, con un finale da groppo in gola.

Con un Charlton Heston (Taylor) sempre uguale a se stesso, sia che interpreti Mosé, Ben-Hur, El Cid o, appunto, George Taylor, un divertente Roddy McDowall seppellito sotto le sembianze di Cornelius, e una bellissima, ma poco espressiva, Linda Harrison nei panni della "primitiva" Nova, nonostante tutti i suoi difetti Planet of the Apes, nella sua versione del 1968, è un film che deve essere visto.

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