Blood Story - di Matt Reeves (2011)
Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)
Giudizio vernacolare: ma anche vesto...un s'era giàvvisto?
Los Alamos, New Mexico, USA; questo luogo ameno pare abitato da poco più di 12mila persone al censimento del 2010, figuriamoci una trentina d'anni prima, quando nell'aria risuonavano pezzi come Let's Dance di David Bowie o addirittura Doot Doot dei Freur. Essendo situata ad oltre 2000 metri sul livello del mare, d'inverno fa freddo e non è inusuale che ci sia la neve, nonostante il nome Mexico all'interno di quello dello Stato Federale a cui appartiene, farebbe pensare il contrario. Bene, qui vive Owen, un dodicenne figlio di genitori separati in attesa di divorzio (lui vive con la madre, quasi una fanatica religiosa). Owen è gracile, dai lineamenti femminei, solitario, con la faccia triste. Facile preda dei bulli della scuola, capitanati dall'antipaticissimo Kenny (anche lui ha qualche problema di sopraffazione, ma lo scopriremo solo verso la fine, e troppo di sfuggita), bulli che, nella solitudine della sua stanzetta, sogna di colpire, verso i quali medita di vendicarsi. Nella sua stanza ha anche un piccolo telescopio, col quale spia ingenuamente i vicini del suo complesso abitativo. Una sera, durante le sue perlustrazioni telescopiche, vede arrivare due nuovi vicini. Un signore di mezz'età, un po' claudicante, e una bambina, più o meno con la sua età, sporca, trasandata, che cammina a piedi nudi sulla neve. Si chiama Abby, e Owen la incontra qualche sera dopo, mentre, ovviamente solitario, è intento a cercare di risolvere il suo cubo di Rubik. Nonostante le iniziali diffidenze, tra i due c'è una strana attrazione, e presto diventeranno amici, forse qualcosa più che amici. Ma Abby nasconde un enorme segreto...
Film davvero difficile da giudicare per chi, come me, ha visto e amato l'originale svedese Lasciami entrare. Questo tipo di operazioni, ai miei occhi, appaiono inutili, ma evidentemente sono fatte per creare lavoro, assumere un cast più famoso ed importante, quindi va bene così. Chi non ha visto, e non sa niente, dell'originale, si troverà di fronte ad un horror quantomeno strano, con ritmi lenti, cupo senza per questo essere alla ricerca dell'effetto sorpresa che caratterizza tutto il cinema di quel genere. Peccato, questa è la cosa che, a parte l'idea di base, mi ha disturbato di più, per gli effetti speciali, nello specifico i movimenti di Abby quando, diciamo, assume la sua identità alternativa, a mio parere mal riusciti.
Il cast è variegato, e forse non diretto benissimo. E' sempre un piacere rivedere Richard Jenkins (qui il "padre" di Abby; per sempre, Nathaniel Fisher di Six Feet Under) ed Elias Koteas (qui il poliziotto, una vita da caratterista in un milione di ottimi film, per me, per sempre, il Vaughan del Crash di Cronenberg), seppure in tono decisamente minore alle loro potenzialità. Tra i due protagonisti, Chloe Grace Moretz (Abby), che ha fatto il botto con Kick-Ass, e Kodi Smit Mc-Phee (Owen), che abbiamo conosciuto con The Road, mi pare se la cavi meglio, e risulti più convincente il ragazzo. Fa arredamento, ma che arredamento, Sasha Barrese (Virginia), che abbiamo (intra)visto in Una notte da leoni.
Riassumendo: chi non ha visto l'originale dovrebbe vederlo, e fermarsi lì. Se proprio una sera non ha niente da fare, può vedersi pure questo remake.
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