No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20120605

Kenya/EAU aprile/maggio 2012 - 9

Ci svegliamo presto, come programmato, e dopo la colazione saldiamo il conto dell'hotel e ci mettiamo in cammino per il ritorno. La strada dovrebbe essere la stessa che abbiamo fatto all'andata, ma a Nyeri non riusciamo a trovare l'incrocio esatto, e facciamo un giro più lungo, attraversando la città. La strada scorre sotto le ruote, e dal finestrino guardo questo paese che, almeno a giudicare dalla mia occhiata superficiale, ha un bel po' di risorse (al tg abbiamo saputo perfino che nella regione del Turkana, in questi giorni hanno trovato il petrolio, una cosa che mancava al Kenya), ma mentre attraversiamo i piccoli centri lungo la strada, si può vedere a occhio nudo la povertà che c'è, e qualcosa non torna. E' the same old story: tanta ricchezza nelle mani di pochi, tanta povertà nelle case di molti, una spirale che genera storture come quella della polizia corrotta. Ne abbiamo un esempio pratico quando ci fermano ad un posto di blocco, e cominciano ad elencare le cose che non vanno, solo per strappare qualche scellino in più e metterselo in tasca. A dire il vero, l'auto ha di nuovo qualche problema: c'è un fanale che sta cadendo. Proviamo a fissarlo con dei fazzolettini di carta (la cosa funzionerà, miracolosamente, almeno fino a casa), e proseguiamo, facendo zig-zag sull'immaginaria linea dell'Equatore. Riusciamo ad arrivare senza rimettere gasolio, prima delle due del pomeriggio, e soprattutto prima che cominci a piovere. Ismail è stanco, chi non lo sarebbe dopo tutte queste ore di guida, e, dopo aver consegnato (di nuovo) l'auto in officina, si spegne davanti alla tv. Io sistemo lo zaino, lo preparo per la partenza "definitiva", mangiamo qualcosa. Comincia a piovere, sono senza libri, rovisto nei cassetti per trovare qualcosa, mi imbatto in Memoria delle mie puttane tristi di Garcia Marquez, non l'ho mai letto, mi sistemo in veranda con la pioggia che scroscia fuori dalla tettoia, e in un'ora e mezzo leggo il libro. Guardo il verde rigoglioso e mi chiedo se ho imparato qualcosa. Penso a quello che mi aspetta domani, uno dei paradossi più grandi che un viaggio potrebbe proporre a chiunque, sono curioso. Susy torna da lavoro, ci guardiamo un film, insieme a due ragazzini, figli di lavoratori della tenuta. Dopo si cena, e si parla dell'indomani: siamo senza macchina e io dovrei andare a Nairobi. Propongo di chiamare un autista esterno, salta fuori il figlio di uno degli autisti che lavorano per Susy, si sistema tutto per un prezzo più che accettabile. Ci vediamo un altro film, e poi tutti a letto.
La mattina dopo sono sveglio anche troppo presto, per non occupare il bagno nell'ora di punta, sono pronto con un anticipo dei miei. Facciamo colazione assieme, e prima ancora che Susy vada a lavoro arriva Sammy, l'autista, con la sua macchina. Saluti calorosi, da parte mia sempre con la lacrimuccia in punta d'occhio. Continuo a stupirmi di cose alle quali ormai dovrei essere abituato: bastano 15 giorni e un paese straniero, la condivisione di cose personali, per farmi affezionare a persone alle quali sono già abbastanza affezionato, e mi viene da piangere, nonostante stia già pensando, e Susy ed Ismail ne sono al corrente, di tornare in dicembre. Qualche convenevole con Sammy, che mette della musica country nel lettore cd. Gli chiedo se ha messo quel tipo di musica per me, e capisco che è proprio così; gli chiedo di mettere la musica che piace a lui: reggae. Poco dopo Naivasha si comincia a salire, e, oltre ad una pioggerellina lieve, comincia un nebbione degno della pianura padana. Da non crederci. Parlo con Sammy, delle differenze tra Italia e Kenya: tempo, strade, persone, abitudini. Attraversiamo una Nairobi ingorgata, ma non troppo. Le nuvole si diradano ed esce il sole. Arriviamo all'aeroporto che sono da poco passate le 10 del mattino; come sempre è prestissimo, ma stavolta ho la giustificazione che attraversare Nairobi pare sia sempre un terno al lotto. Congedo Sammy con una mancia importante, che tanto gli scellini non mi servono più molto. Attendo tranquillamente per quasi tre ore, e dopo lunghissimi preparativi (il ritmo africano è rilassato, come già detto), apre il check in, mi prendo la carta d'imbarco, ed entro nel vivo dell'aeroporto. Mangio qualcosa nei due posti dove si può mangiare, e poi domando se esiste una sala fumatori. E' proprio a tre metri da dove sono quando chiedo, e devo ammettere che la semplicità dell'aeroporto acquista tutto un altro valore. Non grande, ma sufficiente, tranquilla, aspirata tanto che ne esci quasi profumato (e guardate che in paesi che si reputano molto più civili non è così), insomma mi mette di buon umore. Poi inizia il pre-imbarco, e poi viene l'imbarco. Ormai ho capito come funziona il video (personale, per ogni poltroncina) della Emirates, e mi preparo a vedermi almeno 3 film: me ne sono addirittura lasciato uno a metà dal viaggio precedente. Mando un messaggio a Francesco, che vive con la sua famiglia e lavora a Dubai da qualche anno (dopo un'intera carriera, circa 20 anni, sempre all'estero), che mi ospiterà. Ci vediamo stasera. A Dubai.
Una delle cose più pazzesche di Dubai: lo Ski Dubai, all'interno del Mall of the Emirates

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