The Master - di Paul Thomas Anderson (2013)
Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Freddie Quell è un reduce della Seconda Guerra Mondiale. Non ci è dato sapere se il ragazzo avesse qualche problemino anche prima di arruolarsi, fatto sta che il ragazzo non sta per niente bene. Ossessionato dal sesso, alcolizzato, attaccabrighe, sicuramente sofferente di sindrome da stress post-traumatico, lotta per uno straccio di reinserimento della società del dopoguerra, ma non ce la fa. Trova lavoro come fotografo in un grande magazzino, e se la fa con una modella che lavora vicino a lui, ma dopo una rissa con un cliente è costretto a lasciare. Passa a fare il bracciante in una fattoria, ma il suo vizio di inventarsi bevande alcoliche artigianali avvelena uno dei lavoratori. Perso, ubriaco, senza meta, una notte salta su uno yacht ormeggiato in un porto, mentre lui sta passando sulla banchina. Lo yacht è stato dato in prestito a Lancaster Dodd, il leader di una setta, anche se lui lo definirebbe un movimento filosofico, chiamato La Causa. Si sta per celebrare il matrimonio della figlia Elizabeth (lo celebrerà lui stesso), e Lancaster, incuriosito dalla figura selvaggia di Freddie, sviluppando una dipendenza dai suoi preparati alcolici, lo invita a rimanere. Freddie, pur rimanendo uno spostato, diventa un tuttofare per Lancaster, uno di famiglia, ma la sua turbolenza causa non pochi problemi. Il rapporto con lo stesso Lancaster sarà tormentato.
Mi dispiace, il tanto attesto The Master, già acclamato a Venezia, non mi è piaciuto. Probabilmente non l'ho capito, ma mi sono abbastanza annoiato, pur apprezzando il lavoro tecnico di P.T. Anderson, sempre capace di una messa in scena che colpisce. Non so, trovo che il ragazzo, quando si mette in testa di fare il David Lynch (la presenza di Laura Dern nel cast mi ha "detto" proprio questo), non ci riesce granché bene, mentre invece dovrebbe fare cose sempre un po' dark, ma che abbiano almeno un senso. Ripercorrendo la sua carriera, mi sembra quasi di poter dire che, a parte Boogie Nights, questo film pare il suo meno sperimentale, ma manca di chiarezza, anche se ogni spettatore può provare ad immaginarsi la metafora che più preferisce (da quella più evidente, la piaga della religione, a quella più sfuocata dove ognuno che si senta un outsider può immedesimarsi nella figura zigzagante del protagonista Freddie Quell). Il percorso di Freddie sembra essere quello di una scheggia impazzita, incapace di pensare con la sua testa e di trovare quindi il suo posto nel mondo. Un personaggio che non è buono, non è cattivo, non è troppo vendicativo, capace di esplosioni di rabbia ma anche di slanci protettivi, un carattere totalmente fuori controllo che si rispecchia perfettamente in un film che sotto controllo ha solo la messa in scena per immagini, mentre la sceneggiatura sembra, esattamente come Freddie, una scheggia impazzita.
Metteteci dentro che, nonostante la presenza di Amy Adams (Peggy Dodd), attrice che come sapete amo perdutamente (ma come sapete sono anche zoccola, per cui non è la sola), quella dell'immenso Philip Seymour Hoffman (Lancaster Dodd; una prova, la sua, tutto sommato non particolarmente di rilievo, se pensiamo ai capolavori ai quali ci ha abituato), e perfino quella di Jesse Plemons (Val Dodd, ma per noi rimarrà sempre il Landry Clarke di Friday Night Lights), la figura del protagonista Freddie, affidata a Joaquin Phoenix, è per me difficile da digerire. A parte i dubbi sul personaggio, è proprio la visione di Phoenix che a me disturba: non so che problemi possa aver avuto da piccolo, ma con quella gobba e quelle spalle larghe quanto un francobollo, non capisco perché i registi insistano a fargli recitare scene a torso nudo. Perdonatemi, ma era un po' di tempo che volevo farvi partecipi: è come se facessero fare a me la parte di un culturista, col fisico che mi ritrovo. Detto questo, la prova di Phoenix è senza dubbio intensa, a parte la schizofrenia del personaggio. Tra le figure minori del cast, secondo me buca lo schermo Madisen Beaty (vista di sfuggita in No Ordinary Family) nei panni di Doris.
Insomma, no, The Master non mi è piaciuto, e nemmeno mi ha messo a disagio, condizione necessaria per riflettere. Magari è un mio limite, ma fossi in P.T. proverei a fare qualcosa di meno rarefatto, con la tecnica che si ritrova probabilmente potrebbe raggiungere risultati ancor più elevati.
4 commenti:
Caspita, ci sei andato giù pesante. Ma penso di capire - penso! - la sensazione che dici: un po' come quando esci dal cinema e dici "e allora?".
Come forse abbiamo già avuto modo di dirci "de visu", a me piacciono i film che ti lasciano a macerare qualcosa dentro. Che ci penso ancora per due o tre giorni chiedendomi cosa avrei fatto, come affronterei io degli eventi simili, ecc.
"Il segreto dei suoi occhi", tanto per sfondare una porta aperta, non era cero un film esente da difetti. Ma, caspita!, me lo sono portato appresso per un po' di giorni e mi ha dato da pensare parecchio. Infatti lo ricordo ancora con piacere.
ci sono andato pesante, e ancora non sono convinto che sia stato giusto dargli la sufficienza. mi aspetto un controcommento accorato da parte di PT Anderson. :)
Un film ambizioso ma non riuscito. Ottimi attori, cura maniacale dei dettagli ma alla fine ti chiedi: e dunque?
Ho provato a cercare un senso al film e l'unica spiegazione che sono riuscita a darmi è che in qualche modo Freddie e Lancaster si attraggono e si respingono in quanto simili. Alla fine sono entrambi, seppur in forma diversa, due disadattati, due individui che non riescono ad accettare le regole della società. Comunque, se così fosse, il messaggio passa veramente a fatica.
già!
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