Paranoid Park - di Gus Van Sant 2007
Giudizio sintetico: si può vedere
Alex ha poco più di 16 anni, vive a Portland, una cittadina degli Stati Uniti d'America, ha un fratello più piccolo, vive con la madre giovane che si sta separando dal padre, ma secondo lui i problemi sono altri, va a scuola con risultati nella media, senza interesse, ha degli amici, una ragazza che sta decidendo se fare l'amore per la prima volta, ma a lui non interessa molto, gli piace fare skateboard. Insieme ad un amico decidono di andare a Paranoid Park, un parco tutto dedicato allo skate e agli skaters, abusivo, costruito dagli skaters senza permessi sotto un cavalcavia, un posto che incute un po' di timore agli skaters principianti, e non solo perchè c'è gente brava.
Alcuni giorni dopo, nella scuola arriva un ispettore di polizia per indagare su un presunto omicidio avvenuto proprio la notte durante la quale Alex è tornato a Paranoid Park da solo.
Gus Van Sant ci parla ancora dell'adolescenza, di quel particolare periodo della vita nel quale si sta diventando adulti, ma ancora non lo si è. Date un'occhiata alla sua filmografia, e vedrete che dal 1989 non ha fatto altro che parlarci di questo. E, ancora una volta, lo fa bene. Paranoid Park ci appare come una perfetta descrizione dell'adolescente medio americano, con i suoi tic, le sue apatie, i suoi vuoti pneumatici, la sua desolante solitudine. I genitori sono figure sfuocate (proprio nel senso di "fuori fuoco" anche visivamente), di spalle, senza volto o quasi, senza influenza e senza possibilità di influire nella vita degli adolescenti stessi.
A livello tecnico, il nuovo lavoro di Van Sant è quasi impeccabile; commistione di 35mm e super8, suggestivo uso della macchina da presa (molto belle le scene riprese "dal basso"), fotografia misurata ed efficace (il direttore è Christopher Doyle, lo stesso di Wong Kar Wai), ma, a mio giudizio, abuso del ralenty: dopo un po' stucca proprio.
Uso della colonna sonora abbondante, al punto che questa stessa diventa protagonista, ma qui non vediamo difetti: la scena della rottura tra Alex e la sua ragazza dove la musica di Nino Rota si sostituisce al dialogo è straniante ma personale e di grande effetto.
Il montaggio astuto, a volte ridondante volutamente, per rivelare un po' alla volta la trama, altrimenti esile.
Gli attori, quasi tutti scelti su myspace, sono perfetti proprio perchè sono veri adolescenti con le facce brufolose e, merito del regista, riescono a conservare quella spontaneità che ce li consegna spauriti e in un certo senso, braccati dal futuro.
La conclusione è complessa, a differenza da quella del film (che si prende delle licenze rispetto al libro di Blake Nelson al quale si ispira): il cinema di Van Sant è bello, soprattutto visivamente, tematico, interessante e poetico, bello e maledetto. Mi piace. Ma questo film, volutamente inconcludente perchè così, in fondo, Van Sant vede l'adolescente americano, trasmette allo spettatore la stessa apatia dei protagonisti. Ci andrei piano, a differenza di quello che c'è scritto sulla locandina italiana, con la definizione di "capolavoro di Gus Van Sant" (anche se senz'altro la riuscita è migliore del suo precedente e bruttissimo Last Days). Il risultato può annoiare profondamente, oppure affascinare (come detto, soprattutto visivamente). Chi vi scrive si è annoiato, pur apprezzando la "mano" del regista, ma non è detto che agli altri faccia lo stesso effetto.
1 commento:
Annoiare profondamente. Stile freddo e sterile non aggancia le emozioni e per me è fondamentale che un film lo faccia.
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