No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060525

lost in the mud


Mudhoney + Jennifer Gentle, 20/5/2006, Circolo degli artisti, Roma

Lo ammetto: li avevo un po’ persi di vista. Nonostante quel bellissimo manifesto, con la foto di copertina del singolo Burn It Clean (vedi foto), cimelio del concerto del ’92 al Kryptonight di Baricella, rimasto un po’ nelle menti di tutti i presenti come “il festival dello stage-diving”, quel manifesto che campeggia tutt’oggi nella stanza-studiolo, e nonostante il concerto precedente, nell’agosto del ’90 al Velvet di Rimini sia un’altra delle cose indimenticabili della mia vita. Da sempre stimatissimi dalla critica e da un pugno di fans, da sempre snobbati dal grande pubblico, forse anche perché loro stessi hanno sempre rifuggito quel tipo di successo. Mirabile fusione di sudore rock’n’roll, furore punk, dilatazioni blues lisergiche, atteggiamenti ironici da antidivi, hanno continuato a sfornare dischi interessanti in sordina e, evidentemente, a tenere vivo il fuoco che brucia loro l’anima.
Lo si vede dalla tranquillità con la quale escono dal locale passando quasi indisturbati poco prima delle 20 per andare, presumo, a cena, lo si vede dal microscopico tour bus parcheggiato lì davanti, lo si vede dalla spontaneità con la quale, al rientro, firmano autografi, si fanno fotografare con giovani che, quando loro calcavano per la prima volta i palchi italiani, erano ancora in fasce, dalla nonchalance con la quale Mark, invecchiato di pochissimo, si ferma ad accarezzare Aki, il cane dell’amico Massi.

Nonostante siamo lì da quasi due ore, riesco a perdermi interamente l’esibizione dei supporters italiani, ma targati Sub Pop, Jennifer Gentle; e pensare che ero davvero curioso di vederli. Il Circolo è un buco, e dentro fa caldissimo, già dall’inizio, soffro solo a pensare cosa sarà alla fine. Certo che, verso le 22,15, quando appaiono assolutamente in maniera low profile sul palco, e attaccano una indiavolata versione di Suck You Dry, ci penso meno e passo un panno umido sugli ultimi 15 anni. Ho come l’impressione che mi stiano ricrescendo i capelli. Mi viene voglia di urlargli “dove siete stati tutto questo tempo?”, e magari invece mi ero nascosto io. Eppure, l’iniziale lega benissimo con la seguente It Is Us, dal nuovo “Under A Billions Suns”, tirata al punto giusto. L’acustica è pessima, si perdono completamente gli assoli di Steve, però si vedono gli schizzi di sudore di tutti, e le camicie a quadri. Che, detto per inciso, portano solo loro sul palco.

Il resto è un’ora e mezzo scarsa di alternanza tra vecchio e nuovo, ben miscelata, con preferenza al vecchio. Non stonano Where Is The Future, Where The Flavor Is, Sonic Infusion, fa un figurone Hard On For War, ma con You Got It (Keep It Outta My Face) quasi all’inizio, mi ritrovo a cantare sguaiatamente come Mark, e come non mi capitava da tempo, con Sweet Young Thing Ain’t Sweet No More mi si stirano le rughe meglio che alle terme, verso la fine If I Think mi fa bagnare, anche se il sudore ha fatto il grosso, Touch Me I’m Sick non si può commentare, è storia, la doppietta dei bis, i bis introdotti da Mark come se fosse una trasmissione radio di richieste, con le altrettanto epocali In ‘N Out Of Grace, con Dan che scortica le pelli, e Hate The Police, con Mark che lascia la chitarra per afferrare microfono e asta con un effetto punk, mi fanno scoprire l’orgasmo multiplo maschile.

Inutile raccontare che la fornitura d’acqua dei Mudhoney è servita da loro stessi alle prime file. Inutile tentare di ritrovare la loro carica in qualche band moderna. Inutile provare a tagliarsi i capelli scalati come Mark Arm. Il carisma mica si vende al mercato.

Vi amo, bastardi.

1 commento:

calimero ha detto...

no tu dimmi che cosa cazzo entravo a fare
per sudare?
invece leggo la tua recensione ed e' come se fossi stato presente
bisogna fornire di i'pod o lettore mp3 come dici tu per ascoltare mentre ti si legge e poi rasentiamo la perfezione