The Swimming Pool
05/11/2006
Cari Voi,
non è stata una settimana facile, quella appena passata. Un membro del nostro team, il nostro tecnico di laboratorio, un Masai keniota, lo stesso con cui avevo lavorato in India e di cui vi avevo certamente parlato, è affogato in piscina la scorsa domenica. Non sapeva nuotare come tanti africani, ma stava imparando, è andato a farsi una nuotata da solo nella piscina che c'era in giardino ed è stato ritrovato solo molte ore dopo, ormai era già morto. Vi risparmio i dettagli macabri del ritrovamento, lo sconforto e la paura del team, inquisito per molte ore dalla polizia che non credeva all'incidente, il dolore e la rabbia della moglie e dei familiari venuti dal Kenia, la cerimonia funebre sotto il sole cocente di qua, le difficoltà a riportare il corpo in Kenia. Solo ora stiamo ricominciando a lavorare a pieno ritmo dopo una settimana di poco sonno e molto stress. Tutta questa storia però mi ha portato a riflettere su come sia beffardo il destino di chi come me fa questo lavoro. Thomas, il nostro tecnico di laboratorio scomparso, aveva iniziato a lavorare per l'organizzazione anni fa, nel pieno della guerra in Sud Sudan. Nelle nostre interminabili serate indiane, quando non c'era nulla da fare a parte giocare a Settlers of Catan, Thomas ci raccontava incredibili storie sui suoi anni passati in giro per il mondo con MSF. Durante la guerra in Sud Sudan, scappava dai bombardamenti sul compound di MSF trascinandosi dietro una radio enorme e pesantissima, unico mezzo di comunicazione. Lui e il team si rifugiavano poco lontano, aspettando che gli aerei si allontanassero, Thomas si ricordava la fatica enorme di correre con l'impiccio della mega radio. In Congo Brazzaville, quando la capitale Brazzaville fu invasa e saccheggiata dai ribelli che si facevano chiamare i Ninja, nessuno sapeva come scappare da una città ormai troppo pericolosa per tutti, sparatorie e violenza imperversavano. Unica salvezza, Kinshasa, dall'altra parte del fiume Congo, così vicina ma così lontana, per chi non poteva nemmeno uscire di casa. Thomas si ricorda allora di un compatriota keniota che non si sa come era finito fare il barcaiolo sul fiume Congo. Esce di casa di soppiatto, supera i posti di blocco, evita le sparatorie e arriva dal tipo, che non ne vuole sapere di traghettare gente al di là del fiume, c'è il rischio dei cecchini. Thomas lo implora e lo convince, il compatriottismo aiuta, da lì a un'ora, poco prima che cali il buio si devono far trovare all'imbarcadero e sfruttare il momento del tramonto per passare. Thomas torna a casa, raccoglie il team che era già nel panico per la sua assenza e porta tutti alla piroga, mettendoli in salvo. In Liberia durante uno spostamento, Thomas era stato trattenuto dai ribelli di Mosquito, un capo guerrigliero famoso per bere il sangue delle sue vittime (da lì il nome), non proprio la piacevole compagnia con cui vorresti spendere un pomeriggio nel bel mezzo dellaLiberia. Con un po' di diplomazia e un sacco di chiacchiere e sigarette donate ai guerriglieri, questi lo avevano lasciato andare, colpiti anche da un mega adesivo che l'autista aveva appena messo sul cruscotto del Land Cruiser di MSF: l'adesivo diceva "Jesus loves you". Thomas poco prima aveva rimproverato l'autista che lo aveva messo, in fondo MSF non è un'organizzazione cristiana gli aveva detto, e non possiamo mostrare nessun simbolo religioso. Insomma Thomas occasioni di lasciarci la pelle ne aveva avute, come tanti di noi, ma le aveva scampate tutte, vuoi per abilità, diplomazia, fortuna, di certo destino. E invece è successo proprio qui, in posto tranquillo, niente bombardamenti nè sparatorie, una domenica pomeriggio, in una piscina.
Vi abbraccio
Cat
4 commenti:
oh thomas!
Giá.
Sorry per il post forse un po'inadatto. Ma le mie mail sono cosí, dettate dalla situazione.
perchè inadatto? non mi sembra proprio anzi.
un abbraccio a tutti li.
vi siamo vicini!
Ciao Thomas
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