I giorni del cielo - di Terrence Malick (1978)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: la fame è brutta ma anche la sete uni scherza
Chicago, Stati Uniti d'America, inizi del '900. Bill è un giovane operaio d'acciaieria, con un carattere forte e a volte attaccabrighe. Tira avanti come può, in un'epoca di povertà diffusa, insieme alla sorellina Linda e all'amata Abby, anche se a tutti dicono che sono tutti fratelli. Dopo un litigio sul lavoro, i tre decidono di andare a cercar fortuna al sud. Dopo un lungo viaggio, condiviso con molti altri poveri come loro, trovano lavoro come stagionali in un grande latifondo texano. Le cose vanno bene, ma il lavoro basta appena per sopravvivere, e tutti e tre hanno sogni di benessere. Bill, smaliziato, si accorge che il proprietario è fortemente attratto da Abby; dopo qualche giorno, capta una conversazione dalla quale comprende che lo stesso proprietario è gravemente malato, e non gli resta molto tempo da vivere. Convince Abby, riluttante, ad accettare la sua corte, ed in seguito a sposarlo, in modo da "guadagnarsi" una vita migliore per tutti e tre.
Ma se da una parte, ci sono i sospetti di alcune persone vicine al padrone, dall'altra c'è la difficoltà di tenere segreta una cosa del genere, e il "pericolo" che la vicinanza tra due persone (Abby e il padrone, adesso suo marito) può generare.
Secondo film di Malick, dopo l'esordio destabilizzante de La rabbia giovane, altro film dedicato all'analisi del suo Paese, della sua gente e della sua storia. Rispetto al debutto, film senz'altro più lineare, ma, essendo sempre Malick, un suo film non sarà mai "inquadrato" come gli altri, o come uno spettatore medio si aspetterebbe. Ed in effetti, pure questo I giorni del cielo conserva, del precedente, una sorta di sguardo esterno, di distacco, rispetto a quello che accade nella storia, oltre alla peculiare caratteristica del cinema di Malick, la costante presenza della voce fuori campo (una cosa rischiosissima per ogni regista), qui affidata alla piccola Linda.
Com'è, come non è, un film dilatato, che dura 94 minuti che sembrano eterni, che parla di un fatto anche facilmente prevedibile, che lascia spesso spazio più ai paesaggi che agli attori, riesce ad affascinare, vuoi per la scelta degli attori stessi (Richard Gere è Bill, Sam Sheperd è il padrone, Brooke Adams è Abby, Linda Manz è Linda), vuoi per una fotografia mozzafiato (che verrà ripagata con l'Oscar a Néstor Almendros), vuoi per i colpi di genio (la "piaga" delle cavallette), vuoi per la filosofia di fondo (vedi la fine che fanno i protagonisti, rispetto al loro "posizionamento" di fronte all'inganno). Non ultimo, lo sguardo incantevolmente realistico che il regista lancia, per l'intero film, al contesto storico, perfettamente messo in scena.
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