Eppure, nonostante l'agghiacciante strage norvegese, il mondo arabo in costante rivolta, guerre varie, la Polverini che usa l'elicottero della Protezione Civile (forse sarebbe il caso di cominciare ad usare le virgolette, quando si scrive protezione civile, chissà) per andare alla festa del peperoncino, molti paesi occidentali alle prese con default economici, il governo italiano che si trascina dietro il proprio cadavere, Chavez a Cuba che fa la chemio, ma perfino storie più "piccole", come quelle di alcune stagiste che da qualche giorno sono presenti nello stabilimento dove lavoro, ragazze giovanissime che per cifre risibili si trasferiscono da luoghi per me lontanissimi (Bari, Venezia), per, diciamocelo, essere sfruttate da società che ne approfittano per pagare poco e far fare loro lavori che non potrebbero far fare a dipendenti ormai sovraccarichi di lavoro, nonostante tutto questo, la cosa che mi sento più spinto a commentare è la morte di Amy Winehouse.
Non mi unisco al coro dei cinici: mi dispiace la sua morte, e mi dispiace soprattutto perché sono tra quelli che pensa che avesse un gran talento, uno stile unico, che tra l'altro ha dato il via ad una serie di cloni, o quantomeno, ad una nuova "via" dell'r'n'b bianco.
E, come al solito, il fatto è uno di quelli che, umanamente e personalmente, deve farci riflettere. Se una persona conosciuta, apprezzata, talentuosa, ammirata, riesce ad autodistruggersi in 5 anni, anche se magari era predisposta già da prima, è chiaro che l'essere umano è fragilissimo; noi senza talento, persone medie nella media, con stipendi da sopravvivenza, con famiglie nella norma, con storie che alternano fortuna e sfortuna, dobbiamo stare attenti e prenderci molta cura di noi stessi.
In culo a chi ci vuole male (francesismo, sapete che mi piacciono molto), se riusciremo a lasciare che sopraggiunga la morte naturale a portarci via, noi saremo gli eroi. Un po' come dice Caparezza. Che forse, usa lo stesso parrucchiere di Amy Winehouse, pace all'anima sua.
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