No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20110705

zamani barayé masti asbha



Il tempo dei cavalli ubriachi - di Bahman Ghobadi (2001)



Giudizio sintetico: da vedere (3/5)



Giudizio vernacolare: un è mi'a vita






Siamo in Iran, nominalmente. In realtà, siamo in quella terra conosciuta come Kurdistan, a cavallo di Iran, Iraq, Siria e Turchia, e la vita è talmente dura, che ogni giorno potrebbe essere l'ultimo. Nezhad, il fratello maggiore (ma probabilmente minorenne, per i nostri parametri), e Amaneh, la sorella, si prendono cura del fratello Madi, affetto da nanismo e non solo, che a quindici anni non riesce a parlare né a prendersi cura di se stesso. Vanno, insieme a molti altri bambini, nella città iraniana più vicina, lavorano come incartatori di qualsiasi cosa, e sulla strada del ritorno al loro villaggio, sulle montagne che dividono l'Iran dall'Iraq, sono complici inconsapevoli di contrabbando. La madre è morta, rimane loro il padre, che lavora naturalmente come contrabbandiere, perché altro da fare non c'è (e se non hai un mulo è difficile fare pure quello). Ma le sfortune non arrivano mai da sole: di ritorno al villaggio a piedi, perché il camioncino sul quale viaggiano insieme agli altri bambini viene fermato dalle guardie di frontiera e sequestrato, bagnati fradici dalla neve presente sul cammino, ritrovano il padre cadavere vittima di un classico incidente di frontiera, e il dottore dice loro che a Madi non rimane molto da vivere, a meno che non trovino i soldi per farlo operare piuttosto urgentemente.






Dolorosissimo, molto bello, ma anche molto asciutto e completamente privo di commiserazione o di ricerca di pietà (anche se Madi, in realtà, dopo l'uscita di questo film, pare sia stato operato da un gruppo di medici italiani aderenti all'organizzazione WOPSEC, di volontariato), questo debutto del curdo iraniano Ghobadi (I gatti persiani), già aiuto regista per Kiarostami ed attore per Samira Makhmalbaf in Lavagne, riprende l'ambientazione di quest'ultimo film, e lo estremizza, semplicemente raccontando la realtà. La storia, come avrete intuito dalla parentesi a proposito dell'operazione di Madi, è vera, ed i protagonisti sono realmente una famiglia (curda). I paesaggi sono meravigliosamente invivibili, ripresi con una sorta di distacco catartico dalla macchina da presa spesso fissa, le facce dei piccoli (e grandi) attori spettacolarmente vere, l'enfasi è assente, la trama semplicissima e, se non fosse così in bilico tra vita e morte, sarebbe pure divertente.



Nonostante la breve durata (un'ora e venti circa), il film scorre piuttosto lentamente: è, in pratica, l'unico difetto, che personalmente ritengo una sorta di prezzo da pagare, per assistere ad un film che mette il cinema di qualità al servizio della vita e della conoscenza.

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