Continua da ieri. Articolo del The New York Times, ripreso e tradotto da Internazionale sul nr. 1024. Autore, Frank Bruni.
Medico e paziente
Nel secondo trimestre del 2013 il debito pubblico dell’Italia è salito al 133 per cento del suo prodotto interno lordo, uno dei più alti dell'eurozona, secondo solo a quello greco. Il calo dell’8 per cento del suo pil rispetto al periodo precedente alla crisi è superiore a quello della Spagna e del Portogallo. Non si è visto ancora alcun segno significativo di ripresa, anche se verso la fine di quest’anno potrebbe finalmente esserci una modesta crescita. Ma non c’è bisogno di conoscere le cifre per capire che l’Italia è alla deriva. Basta scendere dal treno ad alta velocità (che è fantastico) o uscire dall'autostrada e percorrere le strade secondarie, che cadono a pezzi. O provare a gettare una coppetta di gelato vuota in uno dei cestini dei rifiuti della capitale. Sembra che siano sempre pieni, se non traboccanti. Uno di quelli vicino alla camera dei deputati non veniva svuotato da tempo. La gente lascia i rifiuti alla base del cestino, dove si è formata una collinetta, l’ottavo colle di Roma. In una città il cui bilancio in rosso e l’inefficienza rispecchiano quelli del paese, la spazzatura è diventata un grosso problema, un sintomo del pessimo stato di salute della classe politica. Il 22 ottobre sono andato a trovare il medico che si occupa del caso. Si chiama Ignazio Marino. A giugno è stato eletto sindaco di Roma battendo il sindaco uscente appoggiato da Berlusconi, e conquistando il 64 per cento di voti. Un risultato che lasciava chiaramente trasparire il desiderio di cambiamento degli italiani. Marino, 58 anni, è entrato in politica solo sette anni fa. Prima ha lavorato come chirurgo specializzato in trapianti di fegato (e anche reni e pancreas) e ha vissuto a lungo in Pennsylvania. Mi ha detto che amministrare Roma non è poi molto diverso dall'eseguire un intervento chirurgico. “È un’emergenza controllata”, mi ha spiegato. Marino ha l’ufficio più bello del mondo, in un palazzo rinascimentale sulla piazza del Campidoglio, progettata da Michelangelo. Il balcone accanto alla sua scrivania è proteso, come l’affusolata prua di una nave, sugli archi e le colonne del Foro romano. Lì ai nostri piedi, c’era il posto da cui si dice che Marco Antonio fece la sua arringa dopo l’assassinio di Cesare. E non lontano c’è il tempio di Saturno. È una vista molto suggestiva, ma anche l’amaro ricordo di un passato glorioso, di una grandezza che non esiste più da tempo. Da un’altra inestra dell’ufficio di Marino abbiamo visto dove parcheggia la bicicletta con cui viene al lavoro ogni giorno, anche per incoraggiarne l’uso in una città con troppo traffico e con un sistema di trasporto pubblico insufficiente. Aveva un’aria terribilmente solitaria. I romani preferiscono gli scooter. Ma anche se i trasporti e la raccolta dei rifiuti sono tra le sue priorità, al primo posto c’è un problema ancora più grande: garantire un’amministrazione trasparente che raggiunga dei risultati, cioè l’esatto contrario del sistema in vigore oggi in Italia e che secondo Marino, e secondo molti italiani con cui ho parlato, si basa sui rapporti personali, lo scambio di favori e l’anzianità, invece che sul merito. “Se riusciremo a cambiare questo, i soldi e gli investimenti arriveranno”, dice. Racconta inoltre di essere tornato in Italia per candidarsi, al senato, alle elezioni politiche del 2006 perché riteneva che fosse ora di smettere di lamentarsi dei mali del paese e cominciare a curarli. Medico, guarisci la tua patria. Gli ho chiesto quali fossero le condizioni del paziente, cioè di Roma. Dopo una lunga pausa di riflessione ha risposto: “È salvabile”. Gli ho chiesto anche dell’eredità lasciata da Berlusconi. “Il danno principale è la cultura che ha creato”, ha risposto Marino. “Una cultura in cui la trasparenza e il senso di responsabilità non sono valori”. Berlusconi ha trasformato l’Italia in una festa di adolescenti, un’infinita sfida alle regole, in cui quello che realizzi conta meno di quanto riesci a farla franca, e il bottino va al più furbo. Adesso è arrivato il momento del risveglio. Il 14 ottobre, sul quotidiano La Stampa, l’editorialista Luca Ricolfi si è scusato di non aver scritto per un po’ di tempo, spiegando di non aver avuto niente di nuovo da dire. L’Italia non si muove da vent'anni. “Tutto è fermo e congelato”, ha scritto. Il 21 ottobre, sul Corriere della Sera, un altro editorialista, Ernesto Galli della Loggia, si è rammaricato degli “anni e anni di paralisi” del paese, durante i quali una sorta di gerontocrazia ha impedito che si affermasse il vero merito. Ma si è affrettato ad aggiungere che anche se l’Italia si sta “lentamente disfacendo”, non sta ancora “precipitando nell'abisso”. Un buon numero di italiani sembra essere ancora abbastanza soddisfatto e resta aggrappato allo status quo e a quello che ha adesso. Ma così non fa che aumentare l’incertezza su quello che avrà domani. Il futuro si costruisce con la flessibilità e i sacrifici, affrontando i problemi piuttosto che annaspando. Eppure gli italiani continuano ad annaspare. In questo sono in buona compagnia in Europa occidentale e negli Stati Uniti. “È incredibile”, dice Paolo Crepet, psichiatra italiano e docente: “Siamo un popolo creativo. Siamo famosi nel mondo per la nostra creatività”. Ma quello che riscontra nei suoi pazienti e nelle persone non è il dinamismo, bensì il senso di impotenza. “Aspettano qualcuno che li tiri fuori da questa situazione”, ha detto. “Stanno aspettando Godot”. Sentendolo parlare, mi si è stretto lo stomaco. Dopo troppi anni di pessimismo è naturale arrivare al fatalismo? È in questa direzione che stanno andando anche gli Stati Uniti? Per la mancanza di direzione dell’Italia, c’è una metafora fin troppo facile: i cartelli stradali diventati illeggibili perché coperti dai rami degli alberi. Passavo davanti a cose meravigliose, attraversavo un paesaggio splendido. Ma non avevo idea di dove stessi andando.
2 commenti:
Qualcuno dovrebbe dirgli che Godot non arriva mai...
Anna dai capelli Rossi
eh già
Posta un commento