No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20131112

The Italy that breaks your heart

Mi piace viaggiare, lascio un pezzo di cuore in ogni paese straniero che visito, forse prima di morire vorrei andare ad abitare da un'altra parte. Ma è qui che vivo, è qui che sono nato, è qui che lavoro. E, come dice Frank Bruni, corrispondente del The New York Times dall'Italia, il mio paese mi spezza il cuore. Da Internazionale nr. 1024, un articolo che ti tocca inesorabilmente.

L'Italia che spezza il cuore
La prima sera che sono tornato in Italia, durante una cena a Milano, ho visto e sentito una coppia di successo, sulla quarantina, progettare la fuga da un paese che ama ma nel quale ha perso fiducia. Hanno sparecchiato la tavola, tirato fuori un portatile e cominciato a cercare una casa a Londra, dove a uno dei due era stato offerto di trasferirsi per lavoro. Sono rimasti inorriditi dai prezzi, ma non si sono scoraggiati. Hanno un figlio di dieci anni e temono che l’Italia, con la disoccupazione giovanile al 40 per cento e un’economia la cui debolezza comincia a sembrare la norma, non possa offrirgli un futuro roseo. Due giorni dopo, e a trecento chilometri a sudest di Milano, è stata una donna di settant'anni a lamentarsi del suo paese. Stavo pranzando sull'Appennino marchigiano e, con le salsicce di cinghiale nel piatto e un castello davanti, avrei potuto convincermi di essere in paradiso. “In un museo”, mi ha corretto lei, “è in un museo e in un giardino inselvatichito”. È questo che è diventata l’Italia, ha aggiunto. Ogni anno il paese perde un po’ del suo dinamismo, e della sua importanza. Dato che ho avuto la fortuna di vivere qui e continuo a tornarci regolarmente, sono abituato al teatrale pessimismo degli italiani, al loro talento per le lamentele. È una specie di sport, una sorta di opera lirica cantata con ampi gesti e toni drammatici e, in passato, con il sottinteso che in realtà non esisteva nessun altro posto dove avrebbero preferito vivere. Ma questa volta la musica è cambiata. E anche lo stato d’animo. Provate a chiedere a uno studente italiano che cosa lo aspetta alla fine del suo corso di laurea, e vi risponderà con un’alzata di spalle. Provate a chiedere ai suoi genitori quando o come l’Italia uscirà dalla crisi e vedrete sul loro viso la stessa espressione sconcertata. Oggi si sente parlare molto di più della possibilità di emigrare negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Molto più di quanto si dicesse dieci o cinque anni fa. C’è meno fiducia nel futuro. Sono rimasto sorpreso. E anche un po’ spaventato, perché ero arrivato qui dritto dal nostro shutdown, e ho visto il malcontento italiano attraverso il filtro dei guai degli Stati Uniti, prendendolo come un ammonimento. L’Italia è l’esempio di quello che succede quando un paese sa bene quali sono i suoi problemi ma non riesce ad avere il rigore necessario per risolverli. È l’esempio di quello che succede quando il malfunzionamento della politica si trascina all'infinito e il buon governo diventa un miraggio, un mito, una barzelletta. L’Italia si adagia sulla sua fenomenale ricchezza e non ci investe sopra, perdendo terreno in un’economia globale piena di concorrenti più determinati. C’è tanta bellezza qui, e tanto spreco. L’Italia spezza il cuoreE non è tutta colpa di Silvio Berlusconi. La sua recente condanna per frode fiscale, con la conseguente interdizione dai pubblici uffici, non ha provocato il sollievo e la voglia di ricominciare da capo che ci saremmo aspettati. Ha piuttosto costretto gli italiani a riconoscere che, anche se Berlusconi ha perso tempo, peggiorato le cose e rappresentato una buffonesca distrazione, i problemi del paese (le regole eccessive e la bizantina burocrazia che soffocano le imprese, il sistema clientelare che impedisce qualsiasi iniziativa, la corruzione e il cinismo che tutto questo genera) vanno oltre il Cavaliere.

Continua domani

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