Un altro tempo, un altro luogo, un’altra realtà. Sul continente Occidentale esistono i Sette Regni, una volta riuniti e dominati dai Targaryen, adesso in esilio sul continente di Essos, al di là del mare Stretto, rispetto a Occidente. Dopo l’allontanamento dei Targaryen, avvenuto in seguito all’assassinio di re Aerys per mano di Jaime Lannister, sale al trono Robert della Casa Baratheon, alleato con le Case Stark, Tully, Arryn, e, dopo il matrimonio dello stesso Robert con Cersei, quella dei Lannister.
Gli Stark regnano nella Terra dell’Eterno Inverno, risiedendo a Grande Inverno (Winterfell). Ancora più a nord c’è la Barriera, un muro di ghiaccio alto quasi 300 metri e lungo quasi 500 chilometri, che separa i Sette Regni dalle terre selvagge, popolate dagli Estranei e dai Bruti. I Guardiani della notte, sempre meno numerosi ed impreparati, vegliano sulla Barriera per evitare invasioni.
Tutto comincia quando re Robert, alla morte del Primo Cavaliere Jon Arryn, fa visita, con la sua corte, a Grande Inverno, ed offre a Lord Eddard “Ned” Stark di assumere la carica. Ned accetta, a malincuore, visto che dovrà lasciare la famiglia a Grande Inverno per stabilirsi all’Approdo del Re (King’s Landing). Nel frattempo, Jon Snow, un figlio bastardo di Ned, si arruola nei Guardiani della notte, trasferendosi alla Barriera, e al di là del mare Stretto, Viserys Targaryen trama per riconquistare i Sette Regni: costringe la sorella Daenerys a sposare Khal Drogo, un capo dothraki, popolo nomade formato da eccezionali guerrieri, per avere in cambio il supporto di un esercito.
Sarà per la noia che mi ha infuso la Trilogia de Il Signore degli Anelli, sarà perché mi ha traumatizzato The NeverEnding Story quando ancora ero giovane, ma il fantasy è un genere che non mi attira molto. Almeno, così credevo. Game Of Thrones ha fatto crollare questa mia certezza.
Tratto dal primo libro (in Italia è uscito in due volumi) del ciclo Cronache del ghiaccio e del fuoco, dello scrittore statunitense George R. R. Martin, che è stato coinvolto nella stesura della sceneggiatura, e che pare sia rimasto particolarmente soddisfatto della trasposizione, Game Of Thrones è bello fin dai titoli di testa, sulla musica davvero trascinante di Ramin Djawadi, e non ha nulla di fuori posto, alla fine. E’ ambientato in un mondo immaginario che, a parte la presenza di creature “particolari” (come i meta-lupi e i draghi), somiglia al nostro (il continente Occidentale ha la forma dell’isola di Gran Bretagna, Grande Inverno somiglia al Canada, Essos ricorda l’Africa mediterranea), e l’ambientazione è tipicamente medievale. I personaggi sono ben delineati, così come i loro obiettivi, e la storia è corale, nessun personaggio “prevale” sugli altri. La sceneggiatura scorre liscia e coerente, i cambi di sfondo evitano le pesantezze, i dialoghi e l’epicità del tutto generano un mood quasi esaltante, e trascinano lo spettatore davvero in un altro mondo.
Cast giocoforza numeroso, ben diretto ed orchestrato. Spiccano un imperioso Sean Bean (Ned Stark), un’algida Lena Headey (Cersei Lannister) versione bionda, una sorprendente (e ossigenatissima) Emilia Clarke (Daenerys Targaryen), premiata con un Emmy, un muscolare Jason Momoa (Khal Drogo), già Conan nel remake di quest’anno, un istrionico Peter Dinklage (Tyrion Lannister), anche lui ha preso un Emmy per questo ruolo. La mia preferita, però, è la giovanissima Maisie Williams, che interpreta Arya Stark, una dei figli di Ned, un personaggio, come recita correttamente Wikipedia, tomboysh.
Splendida serie. Probabilmente in aprile 2012 la seconda stagione. Vi appassionerà.