La carità che uccide - Dambisa Moyo (2010)
Negli ultimi 60 anni, verso l'Africa sono stati erogati sussidi per oltre mille miliardi di dollari. E' sotto gli occhi di tutti, che negli ultimi 60 anni, la situazione in Africa non è migliorata; anzi, spesso è peggiorata. Ora, se una persona che si ritiene progressista sente dire a qualche compatriota "bisogna aiutare i paesi africani in loco, non bisogna accogliere gli immigrati africani, ma aiutarli a crescere nella loro terra d'origine", pensa subito che questo compatriota sia almeno un po' razzista. Ma se senti dire a un'africana: "è l'ora di smetterla con gli aiuti all'Africa, perché non fanno altro che peggiorare la situazione", ti viene da pensare.
E' la scioccante teoria di Dambisa Moyo, classe 1969, nata e cresciuta a Lusaka, in Zambia, ma poi laureatasi (economia, gestione pubblica, finanza, amministrazione, e addirittura in chimica) e specializzatasi negli USA (Oxford, Harvard, American University Washington D.C.). Economista, ha lavorato per la Banca Mondiale e per Goldman Sachs; figlia d'arte, in un certo qual modo (la madre è chairman della Indo-Zambia Bank - ovviamente una joint venture tra India e Zambia -, il padre dirige Integrity Foundation, una organizzazione anti-corruzione), ha scritto tre saggi dal grande successo. Questo è il primo dei tre, e il titolo originale recita Dead Aid: Why Aid Is Not Working and How There is Another Way for Africa; la Moyo argomenta, prima snocciolando i dati del fallimento di (appunto) sessant'anni di aiuti, poi criticando le celebrità che si fanno pubblicità "aiutando" l'Africa, continuando con un'analisi del perché non abbiano funzionato (gli aiuti), ed infine proponendo una serie di misure alternative, la prima delle quali è, semplicemente, smettere di inviare milioni di dollari di aiuti ai governi africani.
La tesi è ambiziosa, perfino orgogliosa, ma, almeno ai miei occhi, appare realistica. Fiumi di denaro che finiscono direttamente nelle mani dei governi africani e non "rendono", dimostrano il grado di corruzione (ma non ce n'era bisogno). Sicure entrate di questo genere, tra l'altro, fanno si che chi lavora nel pubblico impiego abbia un atteggiamento pigro e svogliato (chiedete a chiunque sia stato in un qualunque paese dell'Africa subsahariana). Sempre secondo la Moyo, dato che l'Africa è ricca di materie prime che fanno gola a molti, bisogna farla camminare da sola, aprendo al libero mercato e, smettendo di erogare aiuti a pioggia, responsabilizzando governi e persone. Se proprio si vuole aiutare gli africani a fondo perduto, conviene mettere i soldi in mano a persone singole, e pretendere risultati; incrementare e diffondere il microcredito per solleticare la piccola e piccolissima impresa, non aspettarsi che la democrazia porti immediatamente con sé pulizia dalla corruzione e perfetto funzionamento dell'apparato statale (qui la tesi della Moyo corre sul filo del rasoio: sembra, in alcuni passaggi, quasi che invochi l'uomo forte per la maggior parte degli stati africani. Non è così, e vi invito a leggere attentamente i passaggi che trattano questo argomento). Moyo indica poi diversi sistemi (quotazioni in borsa, hedge found, emissione di buoni del Tesoro, creazione di mercati unici per acquisire maggiore rating) finanziari per affrancare gli stati africani dagli aiuti, non necessariamente all'improvviso. Interessanti, seppur decisamente "capitalistiche", le continue sottolineature sulla differenza tra gli investimenti cinesi e l'elargizione degli aiuti occidentali.
Nonostante il libro abbia provocato discussioni, polemiche, forti critiche all'autrice, vi ho trovato sincerità ed intelligenza, oltre ad un orgoglio africano forte. Questo, a dispetto del fatto che la Moyo stessa sia una bella donna che vive a Londra (e lavora in giro per il mondo, continuamente impegnata in conferenze ed interviste) e veste (bene) all'occidentale. Segno evidente, mi piace pensare, che le radici non si dimenticano.
2 commenti:
molto molto interessante. lo comprerò.
ottimo!
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