No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20121007

tutti quelli che amiamo che ci lasciamo alle spalle

All We Love We Leave Behind - Converge (2012)

Tamponare un camion con un'auto familiare. Ribaltarsi con la macchina. Fare un testacoda triplo causa la strada bagnata. L'equivalente adrenalinico ed emozionale di ascoltare un disco dei Converge. Si inizia con un primo ascolto nel quale, per quanto tu possa amarli (solo perché appartieni alla categoria, minoritaria, che li ama; l'altra non è che li odia, è che proprio non li può sentire), ti dici che hanno rifatto l'ennesimo stesso disco. Poi entri nei particolari, dentro. Ed il fiume in piena dei tum-cha tumtum-cha di hardcorepunkiana memoria (seppure accelerati all'impazzata) ti travolge. Quando rallentano, dopo metà disco, tornano alla mente i Metallica (Coral Blue, Shame in the Way) quelli veri, quelli pre-Load (questa è una battuta che fa ridere solo me, ma mi piace lo stesso; il preload è una funzione di SAPP per la logistica intermodale); ma dentro il sound dei Converge, come saprà già chi li conosce, ci sono quarant'anni di metal e quasi altrettanti di hardcore punk, passando per il crossover che arrivò direttamente dal crust punk.  Il disco, dal titolo romantico e un po' decadente, segue di poco uno split con i Napalm Death, una sorta di investitura o di un passaggio di consegne, vedete voi. In questo split, i Converge rifanno (alla grande) Wolverine Blues degli Entombed di Nicke Andersson: il cerchio si chiude, per uno come me che nel 1978 era un kissomane, e adesso ascolta, quasi idolatrandoli, anche i Converge. Chi vuol capire capisca.
Il senso di, passatemi il neologismo, apocalitticità che da sempre contraddistingue la musica del quartetto di Salem, Massachusetts, è già racchiuso nella prima strofa del micidiale pezzo di apertura, Aimless Arrow:
"To live the life you want/You've abandoned those in need/A necessary casualty/Or so you believe/Your wake will always travel/And well up in the eyes/Of those that you sacrificed/In order to survive".




Andate alla title-track, la traccia 13 nella versione "normale", la 15 in quella Deluxe: sono i Black Sabbath suonati da una punk band. Seguite la traccia di chitarra di Kurt Ballou (come sempre, anche produttore): impressionante. Tralascio giudizi sul complessivo drumming di Ben Koller: il ragazzo è lo Stewart Copeland del metal.
Ancora una volta, ascoltatore colpito e affondato. Nel 2005, dopo averli visti live, scrissi che in mano loro, il futuro del metal era in ottime mani. Sono felice di averci preso.

2 commenti:

cipo ha detto...

Sì, però per la copertina hanno usato il logo della Meridiana...

jumbolo ha detto...

in effetti...