Apocryphon - The Sword (2012)
Abituato al capolavoro di due anni fa Warp Riders, che era il loro terzo disco e che ho ascoltato fino a poco tempo fa da quanto mi piaceva, i primi ascolti di Apocryphon sono stati contraddistinti dal classico "è buono, ma non come il precedente". Ora, se ripensiamo anche ai precedenti Age of Winters e Gods of the Earth, la qualità è sempre stata alta. Il problema stavolta, risolto quello del batterista (Kevin Fender ha rimpiazzato il defezionario former member Trivett Wingo per i tour portati avanti nel 2010 e nel 2011, ma adesso dietro ai tamburi c'è in pianta stabile Santiago Jimmy Vela III - e che nome! -), era dare un senso alla progressione che i texani avevano messo in atto con Warp Riders, senza però snaturarsi troppo. Non abbiate paura: non è accaduto. Apocryphon è un (ulteriore) signor disco, che crescerà con gli ascolti, fino a rasentare il masterpiece. Come ogni buon seguace del culto del sabba(th), i The Sword partono dal blues (provate ad ascoltare la parte di basso di Seven Sisters: che cos'è se non blues?), infondono un tocco epico al tutto, con un attitudine un po' doom, un po' stoner, ma che in realtà non è pienamente né l'una, né l'altra. Spruzzate di street metal qua e là (Hawks and Serpents), ma soprattutto, assimilata la lezione sempreverde di band di culto quali Trouble e Saint Vitus, si sono dati un suono. Il suono è quello che per prima cosa mi ha affascinato nella musica dei The Sword: frustate elettriche, retrogusto sabbathiano, e, come accennato, col disco precedente avevano grandemente affinato le qualità del songwriting, toccando l'apice in almeno tre situazioni. Qua cercano di mantenere alto il livello per tutte le dieci tracce, e, in misura minore, di introdurre cose nuove (nello specifico, un synth nell'ultimo brano, la title-track). E, ci vogliono diversi ascolti per apprezzarlo, ci arrivano molto vicini. Perché a volte, scrivere belle canzoni non vuol dire rendere orecchiabile qualsiasi cosa; anzi, spesso i The Sword tendono a complicare cose che potrebbero essere suonate più semplicemente. Apocryphon, in definitiva, è un disco dentro il quale perdersi, in mezzo a rullate coraggiose, assoli fulminanti, riff micidiali raddoppiati al momento giusto. Sarà un luogo comune, un riassunto facile, ma i The Sword riescono a fare una summa di tutto il metal possibile e immaginabile: c'è tutta, dentro Apocryphon.
Pezzo preferito l'opener, The Veil of Isis, che però ha vita difficile se confrontata con la superba Dying Earth; ma ascoltatelo, ed è possibile che scopriate ogni giorno un pezzo diverso che scalzi il preferito del giorno prima! Un consiglio sull'album: suonatelo al massimo volume: se oggi, e scusate se ripeto all'infinito il nome della band che ha inventato il metal, i Black Sabbath dovessero scegliere i loro successori, non ci sarebbe dubbio alcuno. The Sword, from Austin, Texas. Signore e signori, ancora una volta, giù il cappello (e via con l'headbanging).
1 commento:
e copertina inquadrabile aggiungerei.
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