Che poi, c'è ancora chi crede ai dettami delle cartelle stampa (il primo dovrebbe assomigliare a questo, il secondo a quell'altro, il terzo a quell'altro ancora). Le quali (le cartelle stampa) avranno pure una parte di ragione, ma qui la questione è che i ragazzi hanno sviluppato una certa padronanza del mezzo, e quindi dei sottogeneri: chi li ha visti dal vivo ed è riuscito ad apprezzare in tutte le sue sfaccettature la medley dove in oltre una decina di minuti spaziano da Elvis a Jacko, può capire cosa intendo. Per onestà bisogna dire che effettivamente, ¡Uno! contiene pezzi dalla durata breve, ma, se ci fate caso, spesso le atmosfere riassumono il percorso greendayano dagli esordi fino al disco precedente: è questo il bello! At the end of the day, è il risultato che conta: e quello che so io è che quando metto su questo disco non lo tolgo più, e spesso lo metto in repeat. Dopo l'ingresso nell'Olimpo musicale con gli ultimi lavori, quelli che una volta erano i ragazzacci di East Bay (e adesso sono simpatici milionari) si lanciano nel loro Sandinista! (e lo so che bisogna sciacquarsi la bocca prima, e che è tutto diverso, e che le ultime frasi suonano come una colossale contraddizione in termini; però, con la scusa dello spagnolo - che modificheranno per il terzo disco, che invece di intitolarsi tres si intitolerà come il batterista -, hanno trovato il modo di infilare, nel titolo, un punto esclamativo...). E siccome prima di diventare quasi "impegnati", il loro marchio di fabbrica era la spensieratezza delle loro canzoni, la prima parte direi che è riuscita bene. Pezzi migliori il singolo Oh Love, col ritornello da cantare a squarciagola (dando anche una certa enfasi su tonight my heart's on the loose), e la mia preferita Sweet 16.
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