No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20060624
bella senza aenema
Tool, Bologna, PalaMalaguti, 22/6/2006
E’ il giorno del passaggio del turno dell’Italia ai Mondiali di Germania. E fa un caldo bestiale. Gli ultimi tre dischi dei Tool (in 10 anni) sono bellissimi; è lecito aspettarsi un gran concerto.
Fuori del PalaMalaguti, la prima cosa che noto è un bus proveniente da Zagabria, Croazia, pieno di ragazzi e ragazze qui per i Tool. Poi una miriade di bancarelle di merchandising non ufficiale, e spettatori di tutti i tipi. Signori, l’alternativo, per chi ancora pensa che i Tool siano “alternative”, non abita più qui. Del resto, già in teoria, chi fa tre date in Italia, a Milano al Forum, sold out a Roma (prima doveva essere al Centrale del Foro Italico, poi spostato misteriosamente pochi giorni prima al Palaghiaccio di Marino) e un buon incasso (5/6000 spettatori) a Bologna, ha ormai ben poco di alternativo. Il problema è che, da qualcuno, questo viene visto come un male. Peggio per lui.
Il caldo, però, ci insegue fin dentro il palazzetto, è questo il problema. A fine concerto sembra di stare dentro un enorme forno. Mentre il calore mi fiacca lentamente, osservo ancora la varia umanità che affolla il concerto. Nessun gruppo spalla. Molto male. Poco prima delle 21 una voce femminile comunica che il concerto inizierà regolarmente alle 21, e reitera le avvertenze (pare diffuse dalla band), che pregano di non usare i flash delle macchine fotografiche “perché rovinano l’atmosfera del concerto e distraggono la band”. Beh, questa è davvero divertente.
Alle 21 in punto si spengono le luci, le aspettative sono al massimo, ma vicine ad avere risposte chiare. Entrano Justin, l’inglese della band, al basso, Adam, la mente, lo schivo ragazzo che cominciò suonando il violino e proseguì imbracciando il basso accanto a un giovane Tom Morello che già suonava la chitarra negli Electric Sheep, per poi diventare lui stesso chitarrista e innovatore, e Danny, un roccioso e virtuoso batterista dalla stazza imponente, giocatore di basket al college. Attaccano Lost Keys in attesa del misterioso Maynard James Keenan, l’ex soldato ravennate (ebbene si: per chi non lo sapesse è nato a Ravenna, Ohio), che si manifesta, è proprio il caso di dirlo, solo all’inizio della seguente Rosetta Stoned, giocando alle ombre cinesi dietro i quattro schermi giganti dietro il palco. I volumi sono altissimi, ma gli equilibri precari. L’acustica del PalaMalaguti si conferma ancora una volta pessima, e si può solo avere compassione dei tecnici audio che devono lavorarci per renderla accettabile, ma la versione che esce fuori di questa accoppiata iniziale è piuttosto scarsa, molte sbavature e un po’ di confusione. Maynard esce da sotto gli schermi, ma rimane sulla pedana accanto alla batteria, torso nudo, cresta posticcia, un cinturone con strani arnesi attaccati. Rimarrà in penombra, com’è solito fare, nascondendosi nel buio senza neppure uno straccio di spot che lo illumini anche solo per sbaglio, con vistosi occhiali da sole. L’impressione è che si nasconda un po’ anche con la voce, tenendo i volumi piuttosto bassi. Affoga così, nel marasma degli strumenti, anche il passaggio chiave “overwhelmed as one would be, placed in my position” di Rosetta Stoned. Il pezzo finisce e mi dico che i suoni miglioreranno, e la voce si scalderà.
Maynard, stranamente, parla: “Buonasera. And congratulations for your victory today”, frase che ovviamente scatena l’entusiasmo generale. Già su “today” parte Stinkfist che bene o male è sempre un pugno nello stomaco, e che bene o male ricorda sempre i King Crimson virati in chiave metal. Parentesi. Metal, altra parola chiave. C’è chi arriva ai Tool da altre strade, e questo è buono. C’è però chi rifiuta il metal, ma ama i Tool. Beh, non so che dire. Se non è metal questo, io sono un modello di Calvin Klein.
La versione è leggermente variata, e a ruota segue Forty Six & 2. La confusione è sempre nell’aria, ma le cose migliorano leggermente, e le teste ondeggiano sugli stop precisi di Danny e gli altri con gli strumenti a corda.
Sugli schermi scorrono immagini psichedeliche, o estratti dei videoclip, magari rimontati. Adam è immobile e assorto nel suo dovere. Justin è l’unico che dà un minimo di movimento, ma è sempre un qualcosa di infinitamente ridotto rispetto a bands che fanno della presenza scenica una parte fondamentale del loro valore aggiunto live.
Maynard presenta simpaticamente Jambi farfugliando volutamente prima di dire “ten thousand days”, rifarfugliando qualcosa prima di dire “Jambi”. Il pezzo esce alla grande, una versione superba. Sempre Maynard, che nel frattempo al posto della cresta si è messo il suo cappello di paglia da cowboy, inscena una specie di rodeo immaginario. Insieme a qualche calcio nell’aria, forse per far vedere che indossava stivali anche oggi, sarà uno dei pochi movimenti che avrà inanellato alla fine. Buffo, nel senso peggiore del termine. Comunque sia, da questo pezzo in poi il concerto finalmente decolla.
La seguente è Schism, eseguita con alcune variazioni, forse cantata troppo alta nella prima parte, ma ben fatta musicalmente. Trascinante e suggestiva. Parte Right In Two e sento che ci siamo. Il momento è propizio e il pezzo è quello giusto. Bello, infinitamente. Maynard continua a nascondersi anche con la voce, ma qui fa la cosa giusta. Godo.
Danny, dopo l’intermezzo con le tabla, diventa un fiume in piena nel crescendo finale. Maestoso.
Chitarra e basso, aiutati dai rispettivi conduttori, tramite volumi, manopole e feedback sugli ampli, creano un intermezzo noise simile a tratti a (-) Ions ma anche a Viginti Tres. Se chiudi gli occhi potresti non tornare indietro. E’ solo l’introduzione alla storica Sober, che conferma il momento propizio del concerto: ennesima grande versione.
Arriva Lateralus, che è grande, ma verso la fine Maynard (sempre lui!) salta qualche parte cantata. Insiste col suo atteggiamento da non-frontman, defilatissimo e nel buio: ognuno ha il suo parere su questo, ma a me infastidisce. Magari sbaglio io. Il termine di Lateralus è perfetto, all’unisono con le immagini proiettate sugli schermi, preponderanza di rosso fuoco e un finalone metal straripante e cazzuto.
Pausa sul palco per la band, strana questa cosa. Danny (che lancia un paio di bacchette), Justin e Adam seduti guardando il pubblico, Maynard sdraiato dietro di loro. Magari è agorafobico.
Si riprende con Vicarious e la storia si ripete: massiccia la prestazione strumentale, mentre Maynard non ne ha più, così pensa bene di smettere di cantare prima, bevendo in allegria dell’acqua. Alla fine del pezzo saluta, ma gli altri attaccano AEnema, chissà, magari costringendolo all’ultimo sforzo. Il pezzo esce così così, ma il pubblico apprezza ugualmente, anche se Maynard ripete il copione e per lui la parte cantata termina prima del solito. E’ finita, il cowboy saluta col segno della pace e si dilegua, gli altri tre si dilungano sul palco beccandosi gli applausi e ricambiando alla loro maniera: Adam sobriamente, ma visibilmente soddisfatto, Justin rispondendo agli applausi con altri applausi e salutando in maniera calorosa, Danny distribuendo bacchette e addirittura pelli di tamburo, dilettandosi sulla distanza e usandole come frisbee.
Rifletto un momento anche su quel poco che mancava, a parte la presenza scenica. Sono convinto che nelle parti strumentali più violente mancasse qualcosa, un briciolo di potenza di fuoco. Rilevo la possibilità che, soprattutto negli stop and go, lo stile di Justin, piuttosto tecnico e ricercato, non dia la giusta spinta congiunta con le “fermate” di Danny e le pennate secche di Adam. Sofismi.
La prova di Maynard, splendida voce su disco, è stata decisamente altalenante, lasciando la netta sensazione che regolasse (lui o chi per lui) i volumi soprattutto preoccupato di non farsi sentire quando non ne aveva e viceversa, ma anche quella che non regga due date consecutive in due giorni. O magari era una serata storta.
Compro una maglia per mio nipote di due anni. Gli andrà giusta il prossimo anno, più piccole non ne trovo. Magari “10.000 Days” vende 13 milioni di copie e lui si bulla con gli amichetti. Magari il prossimo tour indovino la serata giusta di Maynard e mi diverto anche di più. Stasera, evidentemente, era la serata fortunata dell’Italia, ma non la mia. Almeno, non fino in fondo.
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6 commenti:
Beh, non so che dire. Se non è metal questo, io sono un modello di Calvin Klein.
geniale..semplicemente :)
Poche considerazioni sparse tralasciando il livello tecnico e il pregio dei 4 che mi pare sia indiscutibile.
Sono anche io tra quelli infastiditi dall'atteggiamento da non-frontman di Maynard.Tanto piu' perchè palesemente fatto ad arte(almeno per cortesia non sbadigliare durante l'encore mentre urlano il tuo nome salvo poi chiedere di urlare piu' forte,così diventi urticante). E nemmeno divertente.
Non credo ci possa essere qualcosa di peggiore dell'acustica del Palaghiaccio di Marino.Non lamentatevi di Bologna....
A livello vocale non ho trovato Maynard inaccettabile. E questo a mio parere conferma la seconda delle tue tre teorie...
Detto così sembrerebbe che io non abbia apprezzato il concerto.No non è vero anzi e fortunatamente mi aiuta il titolo-perfetto- della tua recensione che racchiude qualunque altro possibile commento
ps: non so perchè mi visualizza i caratteri del commento in grassetto e così grandi. perdonami non vado molto d'accordo con queste cose...
http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=57504
JUMBY CONOSCENDO LA TUA PASSIONE PER L'ERGENTINA PUO' INTERESSARTI.
grazie scoppe, come vedi ti tengo in considerazione :))
per i Tool, grazie per la testimonianza. Ho visto se non ricordo male solo un concerto al Palaghiaccio, e ricordo un'acustica altrettanto confusa. Non abbastanza per giudicare però. Visto che ne ho visti di più al Palamalaguti, e vista, diciamo, la "posta in palio", ho ritenuto giusto rilevarlo.
te sei una fava
allora lo sai
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