No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20070530

abusi

Dovete leggere queste testimonianze. Agghiaccianti. Sono su D di Repubblica, l'inserto del sabato.
http://periodici.repubblica.it/d/


Abusati
STATI UNITI
Da bambini sono stati vittime di violenze sessuali da parte di preti e suore. Da adulti hanno deciso di raccontarsi. Cinque anni dopo lo scandalo di Boston, ecco le testimonianze di chi non può né vuole dimenticare

Robert Hoatson. Ho 53 anni, sono stato un prete cattolico. Cresciuto a Rockaway Beach, New York, ho sempre frequentato scuole cattoliche. Al liceo c'era la congregazione dei Christian Brothers. Uno di loro mi volle nel suo corso d'inglese. Fu l'inizio di una preparazione che mi portò a subire abusi da parte di due "fratelli cristiani". Con il primo dividevo la stanza al seminario. Una sera cominciò a strusciarmisi addosso. Da anni i superiori dicevano che avevo bisogno di essere "riscaldato". Sapevo di molti studenti che stavano insieme tra loro, oppure con i professori. Quella prima volta, mentre il mio compagno mi toccava, pensai: "Dev'essere questa la vita religiosa, per affrontarla devi essere gay". Gli abusi continuarono per oltre quattro anni. Soffrivo di ansia e continui attacchi di panico. I miei genitori volevano ricoverarmi. Poi decisi di parlare con un superiore. Lui mi rassicurò: non ero gay, ero stato abusato. Fu un gran sollievo. Quella sera venne con me a casa dei miei. Si fece tardi. Lo invitarono a restare per la notte. Lui arrivò nel mio letto, a fare le stesse cose che gli avevo raccontato. I suoi abusi durarono per due anni. Stavo male e alla fine andai da uno psichiatra. Smisi di vederlo. Era il 1982. Sono stato in terapia, a fasi alterne, per oltre 25 anni. Non riuscivo a capire, psicologicamente, cosa mi fosse successo. Nel 2002, quando esplose lo scandalo di Boston, tra quelli che parlarono di ciò che avevano subito dai religiosi cattolici c'erano miei ex studenti. Li chiamai offrendo il mio aiuto. Capii che lo facevo perché era successo anche a me. Il 20 maggio 2003 ho testimoniato davanti al tribunale dello Stato di New York. Tre giorni dopo sono stato licenziato dall'arcidiocesi. Ho fondato un'organizzazione per l'aiuto delle vittime sessuali di religiosi.

Betty e Joe Robrecht. Siamo i genitori di Mary. Io, Betty, parlo per lei che non c'è più. Queste che ho in mano sono le sue ceneri. Viveva a Ithaca, Stato di New York. La nostra è una famiglia cattolica. Preti e suore erano nostri amici. Abbiamo avuto sette figli. Mary era bella, la più bella della città. Ecco perché la suora le mise gli occhi addosso. Fin da subito. Insegnava catechismo ai maschi, ma trattava nostra figlia come fosse sua. Mary aveva 11 anni quando quella donna arrivò nella nostra chiesa. Poche settimane dopo l'inizio di ciò che credevamo un'amicizia, nostra figlia cominciò a cambiare. Ma questi sono fatti che riesco a vedere con chiarezza soltanto adesso che è passato tanto tempo. Pochi anni fa, mi sono ricordata di un episodio. La suora bussò una mattina a casa nostra. Quel weekend andava a trovare una sorella che aveva dei figli dell'età di Mary. Mi chiese se poteva portarla con sé. Dissi di sì. Lei fece la borsa e partirono. Il giorno dopo, mentre tornavamo dalla messa, vicino casa apparve Mary. Disse solo una frase: "Siamo dovute tornare prima". Pochi giorni dopo la suora lasciò la nostra città. E Mary iniziò a ricevere lettere. Anche più di una al giorno. Le chiesi perché la suora le scriveva così tanto. Il giorno dopo, Mary ne lasciò una sul letto, aperta. La lessi. Non avevo mai sentito la parola "lesbica" prima di allora. Io e Joe ne parlammo con un nostro amico prete. Ci consigliò di tacere. Passarono gli anni. Mary si diplomò. Beveva. Entrava e usciva dalle cliniche per disintossicarsi. Restava lucida per qualche tempo. E allora dipingeva. Poi ricominciava a bere. Poi si è suicidata. Ha preso pillole e alcol insieme. Ha lasciato tutto in ordine. C'era perfino una lettera di scuse indirizzata a chi avesse trovato il suo corpo.

Charlie Perez. Sono nato 43 anni fa nel Bronx, New York. Figlio di immigrati cubani. A nove anni, andai a fare il chierichetto. Un giorno ero in sacrestia con altri due ragazzi quando dal rettorato entrò un uomo con barba e capelli lunghi. Sembrava uno zombie, era molto grosso e teneva lo sguardo fisso su di me. In un attimo cambiò espressione e cominciò a parlarmi: chiese il mio nome, voleva sapere dove vivevo, qual era il mio numero di telefono. Non ebbi esitazioni a rispondergli. Perché lui era un prete. La nostra amicizia cominciò così. Mi portava a fare dei giri in macchina. Continuò a lavorare su di me fino al dicembre 1975. Avevo 13 anni. Mi invitò a un party natalizio, in Pennsylvania. Era la prima volta che vivevo un Natale in una casa vera, con l'albero e tutto il resto. Ero affascinato. Insieme a lui mi sentivo al sicuro. Era una figura paterna e il mio migliore amico. Pensavo di essere in presenza di Dio stesso. Rientrammo a New York che era già notte. Non mi portò a casa, ma nel suo appartamento, in chiesa. Non parlava. Fece una doccia e arrivò da me. Nudo. Mi mandò a fare la doccia. Poi iniziò ad asciugarmi sfregando forte sul pene. Faceva male, ma non urlai. Non riusciva a farmi avere un'erezione. Smise. Mi diede un pigiama e dormì nudo accanto a me. Non provò a penetrarmi. Ancora oggi non so perché. Dopo quella notte, smisi di andare in chiesa. Ho taciuto, cominciando però a stare male. E a reprimere ogni ricordo. Per dodici anni. Ho tentato il suicidio due volte. Oggi sono considerato un malato schizoide con disordini affettivi e stress post-traumatico. Non riesco a lavorare. La mia fede nella Chiesa cattolica romana è distrutta. Dopo le rivelazioni di Boston, prego Dio che la giustizia faccia il suo corso.

Bill Gately. Ho 44 anni e vivo a Plymouth, Massachusetts. I miei genitori sono cattolici osservanti. A mio padre, trent'anni fa, non sembrava vero di poter ospitare un prete: veniva a sostenere la parrocchia e aveva bisogno di una stanza ché in canonica non c'era posto. La prima volta rimase due mesi. La sera prima di partire entrò nella mia stanza. Senza dire una parola. Nel buio, capii che era lui, per il forte odore di acqua di colonia. Avevo 14 anni. Si sedette sul letto, iniziò ad accarezzarmi prima il braccio e poi la gamba. Allungò le mani sul mio pene, mi mise la lingua in bocca. Mentre mi violentò, tenevo le mani stese sul materasso. Avrei voluto sprofondarci dentro. La mattina successiva chiese a mio padre il permesso di accompagnarmi a scuola. Domandò: "Non sarai rimasto turbato da quello che abbiamo fatto?". Non gli risposi, non dissi nulla. Ma pensai che "noi" non avevamo fatto niente: era lui che si era preso quello che voleva. Tornò a stare dai miei ogni sei mesi, per due anni e mezzo. E succedeva sempre. Capivo che entrava nella mia stanza dall'odore di quel maledetto profumo. Negli anni seguenti non riuscivo a ricordare i dettagli di quei momenti. Il mio terapista mi suggerì di trovare quell'acqua di colonia: mi avrebbe aiutato a ricostruire il passato. Così fu. Ma non mi aiutò a provare meno vergogna. Ho speso migliaia di dollari per rintracciare quell'uomo. Lo trovai in Arizona, nel 1993. Si era sposato, aveva dei figli. Mi riconobbe subito. Chiese se avevo intenzione di denunciarlo. Risposi che non l'avrei fatto se mi avesse detto a quanti altri aveva fatto la stessa cosa. Scoprii che eravamo in molti. Gli feci tutte le domande possibili, poi lo lasciai perdere. Solo dopo ho iniziato a perdonare. Ma sono consapevole che le cicatrici della mia anima sono inguaribili.

Landa Mauriello-Vernon. Ho 31 anni. Quando ne avevo 17 frequentavo una scuola privata femminile nel Connecticut. Fui aggredita sessualmente da una suora, che era mia maestra di religione e morale. Mi aveva convinta che la cosa più adatta per me fosse il convento. Avevo appena chiuso con il mio fidanzato. Quando hai 17 anni e il cuore in pezzi, è facile farti credere che una vita di nubilato possa rappresentare la soluzione. Sembrava una prospettiva sicura e protetta. Mi chiese di non dirlo ai miei, ma io li chiamai ugualmente. Mia madre rispose: "Devi passare sul mio cadavere". Ai miei occhi aveva torto. E così la suora diventò la mia migliore amica. Mi dava tanti libri da leggere per migliorare me stessa, perché, diceva, io ero debole. Non so quando iniziò la parte sessuale degli abusi. Per parlare di libri, andavamo in un'aula dove non c'era mai nessuno. Un giorno, mi si buttò addosso. Mi ritrovai sul pavimento, con lei sopra. Rimase su di me finché non riuscì ad avere un orgasmo. Non avevo idea di cosa stesse accadendo. Ero solo certa che non doveva saperlo nessuno. E non ne ho mai parlato con nessuno. Ogni volta che succedeva, quando finiva si rialzava e riprendeva la conversazione. Cominciai a bucarmi la pelle con le unghie. I miei genitori chiesero di allontanarmi da lei, erano convinti che mi facesse male. Non firmarono le carte necessarie e così non entrai in convento. Mi mandarono all'università. Ma avevo continui attacchi di panico. Lasciai la scuola e andai a fare la cameriera. Poi ho ripreso a vedere dei ragazzi. E sono andata in terapia. Ma non ho mai affrontato quel che era accaduto. Mi sono sposata e ho avuto una figlia, nel 2000. Due anni dopo, è esploso lo scandalo di Boston. E ho capito finalmente cosa mi era successo.

Rita Milla. Ho 43 anni, vengo da Carson, California. Alle elementari l'idea dell'inferno mi ossessionava. Volevo andare in paradiso. La messa non mi sembrava sufficiente. Ogni giorno chiedevo a mia madre di recarmi in parrocchia. Sono stata abusata da un vicino di casa quando avevo tre anni. Da lì venivano le mie ossessioni, ma ancora non lo sapevo. Ero già un'adolescente quando iniziai a fare piccoli lavori in chiesa. Un giorno padre T. mi spinse contro il muro e cominciò a toccarmi. Lo fece anche durante la confessione. Ne parlai con una catechista. Lei lo chiamò. Lui negò tutto. Per un po', padre T. mi ignorò. Ma un giorno mi portò in sacrestia. Padre C. stava nella stanza accanto, mentre padre T. mi violentava. Io non fiatai. Lui uscì dalla stanza e pochi minuti dopo entrò l'altro. Mi chiese come mai non ero rimasta nuda. Tutti e sette i preti della chiesa approfittarono di me. Lo fecero tutti con il preservativo, soltanto uno senza. Fu quello che mi mise incinta. Allora padre T. mi fece andare via. Nel quartiere si sapeva che non avevo un fidanzato, avrebbero capito tutti che era stato un prete. Lui mi mandò nelle Filippine, da un suo fratello dottore. Ma ero ormai in gravidanza avanzata. Mi ammalai quasi subito. Scrissi a mia madre. Lei arrivò e mi portò in ospedale. Salvarono per un soffio me e mia figlia, Jackie. Tornata a casa, decisi di parlare. Andai dal vescovo della diocesi, che mi intimò di tacere. Andai dal vescovo di Los Angeles. Raccontai tutto di nuovo, davanti a decine di membri del clero. Mi dissero che avrebbero indagato. Ero felice. Dopo molti mesi e altrettante insistenze, il vescovo mi disse che avevo ragione, ma che non avrebbe fatto nulla. È stato più devastante delle violenze. Così ho perso la fede e l'identità. Ma mia figlia e io stiamo cercando la forza di continuare a vivere.

David Carney. Ho 38 anni e sono cresciuto a Dedham, Massachusetts. Frequentavo il liceo cattolico. Mia madre, a volte, non veniva a prendermi all'uscita da scuola. Un giorno, padre R. mi offrì un passaggio. Capitò una seconda volta e padre R. mi propose di andare a cena con lui a Boston. A tavola ordinò vino anche per me. Avevo 14 anni. Pensai: "Perché no? In fondo è lui a permettermi di bere". Dopo, mi propose di andare a vedere la sua "memorabilia". Ricordo bene la porta del garage aperta e dentro foto di ragazzi ovunque. A centinaia. Mi offrì una birra. Chiese se poteva farmi una foto. Mi mise in posa. Intanto, infilò una mano nei miei pantaloni. Io saltai via, lui si scusò e finì lì. Un'altra volta, propose di offrirmi un tatuaggio. Per me era il massimo. Portò me e un mio amico a Rhode Island. Dopo che ci eravamo tatuati, comprò birre, vino, patatine e ci portò nella stanza di un albergo, lì vicino. Bevemmo molto. Con la scusa di vedere il tatuaggio, provò a fare sesso orale con me. In bagno. Lo respinsi. Più tardi, avevo bevuto così tanto che andai a fare una doccia. Il mio amico dormiva. Lui arrivò in bagno e mi masturbò. Poi andò a dormire. Io restai in bagno a piangere. Tornai in camera. Lo volevo uccidere. Iniziai a maledirlo. Finché il mio amico si svegliò. Non fece domande. Discutemmo dell'idea di uccidere padre R., ma non avremmo saputo come liberarci del suo corpo. Così decidemmo che non si poteva fare. Ma da quel giorno sono diventato la persona più furiosa al mondo. Ho continuato a chiudermi in bagno a piangere. Per anni. Ho iniziato a lavorare come operaio. Potevo fare tante altre cose nella vita. Ma non credo fosse previsto che io facessi l'ubriacone per 23 anni. Sono finito anche in prigione per abusi di alcol e risse. Quell'uomo mi ha messo dentro il diavolo. Secondo i medici, io ho ancora quattordici, sedici anni. Sto crescendo soltanto adesso. Ma in fondo so di essere una buona persona.

Johnny Vega. Ho 41 anni. Sono nato e cresciuto a Paterson, New Jersey. A otto anni facevo il chierichetto e incontrai quel prete. Iniziò a molestarmi quando ne avevo dieci. Non sapevo niente di sesso, ma immaginavo che si facesse con una ragazza, con una donna. Insomma, con una femmina. Lui iniziò mettendomi le mani addosso nelle aule in cui si faceva lezione di religione. Andò avanti per mesi. Poi la Chiesa istituì il "raduno di preghiera del weekend". Si andava fuori città e si restava lì a dormire. Lui era il nostro accompagnatore. Noi piccoli stavamo tutti in una stanza. Accanto c'era la sua. Ogni fine settimana lui sceglieva uno di noi e se lo portava in camera. Capii di che cosa si trattava soltanto quando venne il mio turno. Pensavo ci fosse un sacco a pelo per me, invece dovevo mettermi a letto con lui. Era enorme, grasso, altissimo. Mi usò violenza, in senso letterale. Iniziai a sanguinare, ma non sembrò curarsene. Mi mise una mano sulla bocca. Disse: "Stai zitto". Continuò a farlo per sei anni. Io stavo diventando adulto, ma cedevo ugualmente alle sue minacce. Se avessi parlato, ripeteva, avrebbe ucciso i miei genitori. Con il passare degli anni mi staccai dalla Chiesa. Rimossi tutto, ma cominciai ad avere tendenze di autodistruzione. Aggressività esagerata. Attacchi di panico. Mi sposai, ma non raccontai mai a mia moglie ciò che avevo passato. Nacque mio figlio. Ogni volta che lo abbracciavo, piangevo. Mia moglie non capiva, finimmo sull'orlo del divorzio. Lo scandalo di Boston mi ha infine costretto a confrontarmi con il passato. Ascoltando i testimoni al processo, ho realizzato che "abuso sessuale" non è la stessa cosa di "sesso". Prima non ci avevo mai pensato.

Il libro degli abusi
Le immagini (e le testimonianze) pubblicate in questo servizio (le immagini le trovate sul giornale o sul link che vi ho postato) rappresentano un'anticipazione di Crosses - Victims of Clergy Abuse (Trolley Books), in uscita (in Italia) a fine giugno. Il volume raccoglie i ritratti delle vittime di abusi da parte del clero cattolico negli Stati Uniti. Uomini e donne che, dopo lo scandalo dei casi di pedofilia e di violenza sessuale verificatisi nella diocesi di Boston, hanno accettato di essere fotografati da Carmine Galasso. A lui hanno affidato i ricordi delle violenze subite durante l'infanzia e l'adolescenza da preti e suore.Al libro hanno collaborato anche il giornalista Michael Kelly e lo psicoterapeuta A.W. Richard Sipe, ex monaco benedettino.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

trovo la morbosità attorno a questo caso decisamente deprimente.
scoprire l'acqua calda va anche bene (il vernacoliere dice ste cose da millenni.... i bambini che vanno a dire il rosario e poi gli frizza fisso il culo). sono uomini e donne e come tali, come la maggior parte dei loro simili, sotto certi stimoli perdono la trevisonda. molto brutto come certa sinistra goda di questi casi... non vedono l'ora. santoro sveglia..... poteva dirlo dieci anni fa... l'ha fatto? non lo ricordo io?
è bene ricordare che la chiesa non è solo questo.
avvoltoi nonchè perdenti nati.
mau

Anonimo ha detto...

detto questo vi amo forte e duro
mau

Anonimo ha detto...

la chiesa non è solo questo,
ma è anche questo.
perchè non parlarne e diffondere tali notizie?
aggiungo, meglio tardi che mai.

ernesto

Anonimo ha detto...

sì ernesto, parlarne assolutamente. senza dubbio. mi irrita il tempismo da avvoltoio (il quale almeno aspetta la morte del suo pasto), le vignette di vauro paurosamente fuori luogo, l'aria da educande che si sconvolgono per qualcosa che dalla notte dei tempi esiste. dai... i bimbi se li sono inchiappettati sempre....

quindi posso concordare col tuo meglio tardi che mai ma almeno senza scherzarci su e con un contraddittorio degno.
possibile che di tante tonache illuminate mai uno che si veda nei salotti televisivi?
e poi.. il documentario... è da pornografi (oh ma sempre secondo me eh... mica ho la scienza infusa con la camomilla nè) come quello da sciacalli delle Jene (và che frase figa che ho scitto) sul pedofilo! ma scherziamo? sfruttare il voyeurismo mascherandosi col giornalismo verità.
mi ha fatto schifo proprio...
poveraccio... un uomo malato messo alla berlina, come fosse l'unico.

quindi sì parliamone ma qua si fa presto a fare di tutta l'erba un fascio (ovviamente non su questo blogghe eh... in questa italietta che di spirituale ha ormai solo il limoncello).
poi spero sempre di sbagliarmi.

jumbolo ha detto...

non sono d'accordo mau (sai che novità!!). penso sia giusto conoscere le "modalità" di queste persone malate di una malattia terribile, una condanna tremenda, che a loro volta segnano la vita di altre persone; in questo caso sono spalleggiate e protette da una specie di società massonica che in pratica agisce in maniera completamente opposta a quella verso la quale dovrebbe tendere e che gli ha segnato il suo fondatore (Gesù Cristo intendo, che già Pietro era un quaqquaraqquà).

Anonimo ha detto...

sì ma senza confonderla con una vittoria per la sinistra agonizzante e con preti decenti che Tonini sempre uno spot per le pastiglie delle scuregge... sul fatto che si debba dire siamo daccordo, io insistevo più sulla modalità....
vado a rispondere sui vanadium và, c'ho l'ultimo live di Neil che m'ha rimesso in sesto.
Mau

jumbolo ha detto...

magari sarà dura da credere, ma non ne faccio un fatto di parte politica. anzi, lo sbaglio lo fa la chiesa che andando in piazza si mette dalla parte del centro destra, o meglio, porge il fianco a silvio che all'improvviso appare e dice che è lì per colpa della vignetta di vauro e strumentalizza la manifestazione.

sogno una religione che non si sovrapponga alla politica, sogno una religione che sia sollievo per l'anima, che tenda al vero messaggio di gesù, e cioè siamo tutti uguali + diamo una mano a chi sta peggio; in quel caso sicuramente mi riavvicinerei