La prima parte è stata pubblicata venerdì 21 novembre 2008
Niente di speciale
Gli abitanti di Samsø che ho incontrato sono chiaramente fieri di quello che hanno fatto. Ma insistono nel dire che sono persone normali: né ricchi né particolarmente istruiti o idealisti e neanche esageratamente avventurosi. “La nostra è una comunità agricola piuttosto conservatrice”, mi ha detto uno di loro. “Siamo persone normali”, ha ribadito Tranberg. “Non abbiamo niente di speciale”. Quest’anno si prevede che il mondo brucerà 31 miliardi di barili di petrolio, sei miliardi di tonnellate di carbone e 30mila miliardi di metri cubi di gas naturale. La combustione di tutti questi carburanti fossili produrrà 400 milioni di miliardi di Btu di energia (pari a circa 420mila milioni di miliardi di joule). Ma produrrà anche 30 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. L’anno prossimo, si prevede che il consumo globale di combustibili fossili aumenterà del 2 per cento, il che significa che le emissioni saranno mezzo miliardo di tonnellate in più. L’anno successivo l’aumento sarà di un ulteriore 2 per cento.
Oggi, con un livello di CO2 che ha raggiunto le 385 parti per milione, l’impatto devastante del riscaldamento globale è già evidente. La calotta polare artica, che è ormai ridotta della metà rispetto agli anni cinquanta, si sta sciogliendo al ritmo di 40mila chilometri quadrati all’anno: in altre parole, ogni dodici mesi scompare una distesa di ghiaccio delle dimensioni del West Virginia.
Il riscaldamento globale ha favorito la proliferazione di insetti che, negli ultimi dieci anni, hanno causato la scomparsa di 600 milioni di ettari di foreste negli Stati Uniti e in Canada. L’aumento delle temperature inoltre fa crescere il numero dei rifugiati e dei conflitti armati. “Oggi il cambiamento climatico è una delle cause principali del trasferimento forzato”, ha dichiarato recentemente l’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, António Guterres. Alcuni esperti vedono un collegamento tra la guerra del Darfur, che ha provocato 300mila morti, e il cambiamento dei livelli di piovosità in Africa equatoriale. In questo contesto generale, l’impresa degli abitanti di Samsø può sembrare irrilevante. Senza dubbio, in termini numerici, non significa molto: tutte le emissioni risparmiate dall’isola negli ultimi dieci anni sono annullate dall’anidride carbonica che un’unica centrale elettrica a carbone emetterà nelle prossime tre settimane. E la Cina sta costruendo nuove centrali a carbone al ritmo di circa quattro al mese. Ma è proprio perché il contesto è così drammatico che gli sforzi dell’isola sono significativi. Samsø ha rivoluzionato le sue fonti energetiche in soli dieci anni. La sua esperienza fa pensare che, per quanto enorme, il problema delle emissioni di carbonio potrebbe essere risolto. A dare il via alla rivoluzione di Samsø sono state alcune decisioni con cui l’isola, in realtà, aveva poco a che fare. La prima era stata presa dal ministero per l’ambiente e l’energia danese nel 1997. Per cercare di favorire l’innovazione, il ministero aveva deciso di lanciare una specie di gara sulle energie rinnovabili. Per partecipare, le comunità dovevano presentare un piano in cui spiegavano in che modo avrebbero ridotto l’uso dei combustibili fossili. Un ingegnere, che neanche viveva a Samsø, pensò che l’isola fosse un’ottima candidata. Dopo essersi consultato con il sindaco, preparò un piano e lo presentò. Quando fu annunciata la vittoria di Samsø, la maggior parte degli abitanti rimase interdetta. “Ho dovuto riascoltare la notizia due volte prima di crederci”, mi ha detto un agricoltore. La breve ondata di interesse che seguì all’annuncio svanì quasi subito. Oltre al titolo di “isola dell’energia rinnovabile”, Samsø non ricevette quasi nulla dal governo danese: nessun premio in denaro né sgravio fiscale particolare, e neanche l’aiuto dello stato.
Oggi, con un livello di CO2 che ha raggiunto le 385 parti per milione, l’impatto devastante del riscaldamento globale è già evidente. La calotta polare artica, che è ormai ridotta della metà rispetto agli anni cinquanta, si sta sciogliendo al ritmo di 40mila chilometri quadrati all’anno: in altre parole, ogni dodici mesi scompare una distesa di ghiaccio delle dimensioni del West Virginia.
Il riscaldamento globale ha favorito la proliferazione di insetti che, negli ultimi dieci anni, hanno causato la scomparsa di 600 milioni di ettari di foreste negli Stati Uniti e in Canada. L’aumento delle temperature inoltre fa crescere il numero dei rifugiati e dei conflitti armati. “Oggi il cambiamento climatico è una delle cause principali del trasferimento forzato”, ha dichiarato recentemente l’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, António Guterres. Alcuni esperti vedono un collegamento tra la guerra del Darfur, che ha provocato 300mila morti, e il cambiamento dei livelli di piovosità in Africa equatoriale. In questo contesto generale, l’impresa degli abitanti di Samsø può sembrare irrilevante. Senza dubbio, in termini numerici, non significa molto: tutte le emissioni risparmiate dall’isola negli ultimi dieci anni sono annullate dall’anidride carbonica che un’unica centrale elettrica a carbone emetterà nelle prossime tre settimane. E la Cina sta costruendo nuove centrali a carbone al ritmo di circa quattro al mese. Ma è proprio perché il contesto è così drammatico che gli sforzi dell’isola sono significativi. Samsø ha rivoluzionato le sue fonti energetiche in soli dieci anni. La sua esperienza fa pensare che, per quanto enorme, il problema delle emissioni di carbonio potrebbe essere risolto. A dare il via alla rivoluzione di Samsø sono state alcune decisioni con cui l’isola, in realtà, aveva poco a che fare. La prima era stata presa dal ministero per l’ambiente e l’energia danese nel 1997. Per cercare di favorire l’innovazione, il ministero aveva deciso di lanciare una specie di gara sulle energie rinnovabili. Per partecipare, le comunità dovevano presentare un piano in cui spiegavano in che modo avrebbero ridotto l’uso dei combustibili fossili. Un ingegnere, che neanche viveva a Samsø, pensò che l’isola fosse un’ottima candidata. Dopo essersi consultato con il sindaco, preparò un piano e lo presentò. Quando fu annunciata la vittoria di Samsø, la maggior parte degli abitanti rimase interdetta. “Ho dovuto riascoltare la notizia due volte prima di crederci”, mi ha detto un agricoltore. La breve ondata di interesse che seguì all’annuncio svanì quasi subito. Oltre al titolo di “isola dell’energia rinnovabile”, Samsø non ricevette quasi nulla dal governo danese: nessun premio in denaro né sgravio fiscale particolare, e neanche l’aiuto dello stato.
continua domani
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