No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20081225

l'intercettazione


L'intercettazione, come sappiamo bene qui in Italia, va di moda. Sarà per questo, forse, che per Natale mi sono regalato il completamento di The Wire, questo serial conosciuto sulle pagine di Internazionale (nessuno ne parlava qui in Italia), tramite un articolo di un giornale (non ricordo se inglese o statunitense) che ne cantava le lodi soprattutto dal punto di vista del realismo della messa in scena. In effetti è così. La visione è partita quasi in sordina, se vi ricordate i miei primi commenti a proposito della prima serie (a parziale discolpa c'è da dire che le prime due serie le ho recuperate doppiate in italiano, anche perchè solo quelle due sono andate in onda nel nostro paese, su Fox crime), dopo di che mi ha conquistato alla grande.

13 episodi la prima stagione, nella quale si mettono a fuoco i personaggi principali tra i poliziotti e si forma il "reparto speciale" che lavora su una banda che domina il narco-traffico della zona, 12 episodi la seconda, dove l'azione si sposta sul porto e su una serie di crimini lì perpetrati, 12 episodi anche per la terza serie, dove la nostra conoscenza dei personaggi criminali si approfondisce, ma al tempo stesso si entra nelle dinamiche "politiche" della polizia e della politica vera e propria, 13 episodi per la quarta serie, dove oltre alle altre tematiche entriamo in quelle scolastiche, per capire proprio come si "formano" i criminali, 10 soli episodi per la quinta e ultima serie, che tira dentro anche il mondo dell'informazione giornalistica.

Sullo sfondo, anzi, anche lei protagonista, Baltimora, Maryland, costa est poco distante da Washington D.C., uno dei porti più importanti degli USA, più di 600mila abitanti (senza contare l'area metropolitana, praticamente attaccata a Washington), roccaforte democratica, patria di Frank Zappa e Michael Phelps, sulle rive del fiume Patapsco, è famosa tra l'altro per l'altissimo tasso di criminalità. Il tessuto sociale è interessante, a prevalenza afro-americano, ma con molte "comunità", che si evincono anche nel serial (polacca, greca, italiana, irlandese; a proposito di quest'ultima, tanto per rigirare il coltello nella piaga dell'amico Monty al quale faccio spesso "gola" parlando di The Wire, in alcune puntate conclusive, si usa una drinking song eseguita in un bar "per poliziotti" da poliziotti, in occasione di funerali ufficiosi, con la salma deposta sul tavolo da biliardo e tutti intorno a cantare e bere, già visibilmente ubriachi, donne comprese - il protagonista indiscusso si chiama McNulty -; la canzone non è una canzone a caso, bensì Body Of An American dei The Pogues).

5 stagioni, 60 puntate per un'ora di media (spesso le conclusive superano abbondantemente i 60 minuti), danno un'idea, credo, piuttosto chiara della realtà metropolitana statunitense, ma non solo. Il sistema scolastico, il tema razziale, le dinamiche della politica, descritte mirabilmente, la droga e tutto quello che gli gira intorno, la dipendenza, i tentativi di recupero, la difficile strada della redenzione (il personaggio di Bubbles, interpretato da uno straordinario Andre Royo, sostenuto dal suo sponsor, interpretato da Steve Earle, attraversa l'intera serie conoscendo tutti i punti più bassi dell'esistenza umana, ed è, alla fine, forse l'unica luce di speranza), i bambini che crescono circondati da questa realtà e che pensano che sia l'unica strada, la disoccupazione, vista da almeno un paio di punti di vista interessanti, la delinquenza e le sue regole, il mondo dei giornali, i fallimenti familiari, i gay, le lesbiche, la giustizia statunitense e, per ultimo ma non ultimo, il lavoro di polizia.

Il lavoro di sceneggiatura è stupefacente, probabilmente un po' di più nelle ultime 3 stagioni, e le recitazioni sono tutte altamente convincenti, nonostante lo sterminato cast, impressionanti le prove dei giovanissimi; la regia, che si avvale di ben 16 registi diversi nel corso dei vari episodi, efficace e funzionale, fotografia non sgargiante, forse volutamente, oserei dire dimessa rispetto ai serial di maggior successo, ma non per questo peggiore.
La musica, come sempre accade nei prodotti statunitensi, attenta e con un ampia "visione". La sigla iniziale è (ve ne avevo già parlato) Way Down In The Hole di Tom Waits, e cambia interprete da stagione a stagione: nella prima è fatta dai Blind Boys Of Alabama, nella seconda è l'originale di Waits, nella terza nientemeno che dai Neville Brothers, nella quarta da DoMaJe (5 teenager di Baltimora), nella quinta dallo stesso Steve Earle. Ma non c'è solo la sigla, c'è anche la pre-chiusura degli episodi conclusivi, dove troviamo Jesse Winchester, ancora Earle, Solomon Burke, Paul Weller. Poi molto hip hop, e addirittura riferimenti molto "giovani", come i figli di McNulty che ascoltano i Dead Meadow (quando glieli citano lui capisce death metal e lui risponde what's wrong with The Ramones?).

Cercate The Wire.

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