La prima parte il 28 dicembre
Nel Medioevo morire era un'arte, come racconta Philippe Ariès nella Storia della morte in Occidente. La si comunicava con un nuncius apposito ed era pubblica, come la nascita. Oggi, a meno che non sia sensazionalizzata attraverso i mass media e quindi presentata come aberrazione dalla norma, è un fenomeno clandestino. Sembra non toccarci. "Si parla poco di malattie inguaribili. Se si muore, c'è qualcuno che ha "sbagliato"", dice Mauro Marinari, palliatore e direttore sanitario de il Nespolo. "Ma una parte nobile del fare il medico è proprio la capacità di dare cattive notizie in modo corretto. Fare accettare al malato che bisogna passare dal to cure al to care, dal curare al prendersi cura: dare speranze e goal anche se diversi da quelli che vorremmo sentire", chiude Marinari.
Questo tabù, assieme probabilmente all'accanimento terapeutico, aleggia su tutta la rete di assistenza. "Se la rete fosse agile si riuscirebbe a modulare il come, dove e quando sul singolo caso", dice Lino Casiraghi, responsabile infermieristico a Santa Maria delle Grazie. "Un malato potrebbe andare dal day care all'hospice, al domicilio, a seconda delle sue esigenze e a seconda dei momenti, ma oggi questo passaggio non è agevole: c'è scarsa collaborazione. Gli hospice non governano la domanda e gli ospedali tendono a trattenere gli ammalati". Il risultato? "Il 10 per cento muore lo stesso giorno in cui entra", dice Didonè. Praticamente in ascensore. Magari senza aver conosciuto sollievo dal dolore."In Italia esiste una divisione tra le cure mediche e quelle palliative. Quelle palliative intervengono quando il malato è allo stremo. In realtà dovrebbero essere anticipate già in ospedale - dove questo spesso non avviene - per controllare il dolore", riprende Casiraghi. Ma la resistenza culturale è forte. "Siamo un Paese oppiofobico. L'Oms considera l'uso della morfina pro capite un indicatore di qualità rispetto al controllo del dolore. Noi ne usiamo un centesimo rispetto alla Germania". Non è un caso che manchi ancora una specializzazione universitaria in cure palliative così come scarseggiano i palliatori negli ospedali. "Parenti e pazienti hanno paura della morfina e la considerano l'ultimissima spiaggia", dice Casiraghi. In quei momenti è davvero difficile parlare con persone contrarie. "Decidiamo una linea tutti insieme e ognuno fa un pezzettino", dice Cattaneo. "Ma io non nego al paziente il suo contenuto di vita anche se non lo condivido". Vale a dire? "Mi è capitata un'ammalata la cui mamma si è opposta alla sedazione e io ho rispettato quella decisione perché il loro era un rapporto simbiotico. E una paziente di 80 anni che continuava a mangiare anche se ormai rischiava di soffocare. Se quello per lei è vita io glielo lascio fare. L'importante è essere preparati".
continua domani
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