No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20070124

dear mr.president


La ricerca della felicità – di Gabriele Muccino 2007

Giudizio sintetico: si può perdere


Siamo a San Francisco nell’epoca delle Reaganomics: Chris è nero, è sposato con Linda, padre di Christopher. In casa ci sono davvero pochi soldi, Linda lavora di notte, Chris ha investito in un affare di certo non indovinato, ed è costretto a girare come una trottola per vendere degli scanner ossei che nessuno sembra volere. Chris ha conosciuto suo padre quando era già grande, non è potuto andare all’università, ma non è affatto stupido, però la situazione precipita ugualmente. Linda se ne va di casa, e dopo una piccola disputa su chi dovrà tenere il bambino, lei cambia città e lascia Chris senza lavoro, senza macchina, senza soldi, senza una casa e col bambino da mantenere, dicendogli: “so che non gli farai mancare niente”.
Ma Chris è caparbio, ed è convinto di farcela, è convinto che anche lui ha diritto, come da Costituzione, alla felicità. Che, in inglese, si scrive happiness, con la I, e non con la Y, come continua a dire al cinese che fa le pulizie fuori dalla scuola (cinese) dove è costretto a mandare Christopher.

Muccino, dopo che gli americani hanno apprezzato e rifatto L’ultimo bacio, sbarca in USA e dirige un film ad altissimo budget, con un cast piuttosto costoso. Ognuno farà le proprie considerazioni, e noi facciamo le nostre.
Il film non è brutto: è anonimo. La sceneggiatura, tratta da una storia realmente accaduta, è superficiale, pur accarezzando temi importanti: Will Smith vestito da broker in fila per un letto al ricovero e Reagan in tv non bastano per farne un film di denuncia retrospettiva sociale. Così come ci si domanda com’è andata tra Chris e suo padre, perché Linda abbia sempre le mestruazioni, perché se Chris è così intelligente non ha fatto l’università con tutte le borse di studio che esistono negli USA, chi cazzo gliel’ha fatto fare, se è così intelligente, di comprare tutti quegli scanner che non vuole nessuno, come mai improvvisamente tutti vogliono gli scanner dopo che Chris rimane sul lastrico, e tantissime altre barzellette che rendono il tutto completamente simile a un miliardo di altri film americani tesi solo a raccontare una storiella edificante, commovente, per famiglie, popcorn e cocacola. La direzione di Muccino soffre di appiattimento: in Italia, almeno, si distingueva per nervosismo, e, anche se lo si poteva amare od odiare, aveva un suo stile ed una sua personalità. Adesso, basta guardare la scena dei titoli di testa per capire che non c’è alcuna differenza tra lui e un qualsiasi regista di telefilm (di quelli peggiori però).
Il film lavora ai fianchi per un paio d’ore lo spettatore, e, alla fine, ma proprio alla fine, riesce a commuovere: sia chiaro, potrebbe essere perché proprio non ce la si fa più. Will Smith fornisce una buonissima prova, e dimostra di saper fare l’attore, oltre che il buffone, certo non al livello di suo figlio, Jaden Christopher Syre Smith (e se l’avesse chiamato Ugo? Magari facevamo prima…), vero mattatore della pellicola. Thandie Newton quasi ingiudicabile, costretta in un clichè mucciniano, la donna-costantemente-sull’orlo-di-una-crisi-di-nervi, ma soprattutto penalizzata dal doppiaggio orripilante di Sabrina Impacciatore, che tanto ci piace, ma in questo ruolo risulta insopportabile.

Se lo perdete non vi mancherà, ve lo assicuro.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

concordo totalmente:film senza infamia e senza lode. Occasione persa per Muccino che non ha saputo imprimere un suo stile a una sceneggiatura già di suo poco incisiva(ma qui non gli è imputabile nè il soggetto nè la sceneggiatura),piegandosi, come ha fatto, a canoni e stili "molto americani". Tuttavia forse di questo non credo gli possano essere attribuite tutte le colpe, poiché immagino che la produzione non gli offrisse molta libertà di movimento.Film ruffiano e lentissimo a tratti....

Anonimo ha detto...

Guarda la mì sorella che critica cinematografica ^_^