No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20070205

pagine nere (della storia)


Black Book – di Paul Verhoeven 2007

Giudizio sintetico: si può vedere


Rachel è una sopravvissuta. Alla Seconda Guerra Mondiale, all’Olocausto (in quanto ebrea), e non solo. Alcuni anni dopo la fine della guerra, un incontro fortuito riaccende in lei i ricordi mai sopiti. I nascondigli, il tentativo di fuga insieme alla sua famiglia, gli orrori, i tentativi di resistenza, le umiliazioni, perfino gli amori. Un percorso lungo, doloroso e difficile, sempre e costantemente tra la vita e la morte, tra l’odio profondo e la ricerca di una parvenza di amore. Una storia terribile e, insieme, meravigliosa.


Forse uno dei pochi film degni di una visione, in queste settimane misere di uscite, come sempre accade nell’attesa degli Oscar, questa interessante specie di thriller di guerra, se mi passate l’accostamento non proprio ortodosso, ci fa decisamente rivalutare Verhoeven, regista olandese prestato a Hollywood con alterni risultati, anche al botteghino. Come dimenticare infatti Robocop, Atto di forza e Basic Instinct, filmoni classicamente americani dal grandissimo successo di pubblico, quanto l’orrendo e mai dimenticato (in quanto, appunto, inguardabile) Showgirls. In tempi più recenti, poi, l’olandese ha continuato il suo percorso a zig zag con Starship Troopers (ingiustamente sottovalutato) e L’uomo senza ombra; più di un critico ha avanzato l’idea che in realtà Verhoeven sia sempre stato un buon regista, ma che gli abbiano sempre dato da dirigere dei copioni così così. Questa volta, assieme a Gerard Soeteman, mette mano lui stesso alla sceneggiatura, e dirige forse il suo film migliore, in quanto a spessore intellettuale. Sicuramente meno spettacolare (ma assolutamente non piatto, anzi), Verhoeven ci racconta una storia sicuramente interessante, senza cadere nel revisionismo, ma cercando di raccontarci quello che tutti quelli che non hanno vissuto quella guerra possiamo solo immaginare, e cioè che da qualsiasi parte, dev’essere stato molto difficile conservare correttezza e dignità. Non dimenticandosi forse la sua più grande ossessione, il sesso, e costellando la storia di continui colpi di scena sotto forma di ribaltamenti di “campo”, leggasi doppi giochi e tradimenti da parte dei protagonisti principali, conferma di saper maneggiare con grandissima abilità la macchina da presa e di riuscire a dirigere discretamente gli attori, ma soprattutto di saper disegnare grandiosamente le scene. Se vorrete, ne troverete molte da ricordare. Sicuramente una, quella della più grande umiliazione subita dalla protagonista femminile, Rachel, immediatamente dopo la fine della guerra, vi farà letteralmente rabbrividire e vergognarvi di appartenere al genere umano.


Leggermente prolisso (oltre due ore), classica ma sempre gradita la struttura circolare (o ellittica, come dicono i più colti), che parte dalla fine per poi tornarci, usando il flashback per raccontare la storia, non ci fa mancare, fra una nefandezza e l’altra, neppure diverse battute piuttosto ciniche e quasi esilaranti. Cast non conosciutissimo, ma tutto all’altezza.


Un buon film.

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