Magari non esiste nemmeno la parola. Magari non riuscirò a spiegarmi. Magari sarò tacciato di pochezza. Ma mi va di scrivere questo post. E quindi.
Sabato a cena mi sono preparato una specie di insalata greca, con la classica feta, e un cous cous di fortuna con ceci, pinoli e uvetta. A parte la reazione notturna del cous cous e dei ceci, la serata è proseguita con una compagnia piacevolissima. Si parlavano tre lingue, abbiamo visto uno spettacolo di profughi Saharawi (non era così male dai, scherzavo), ho imparato che l'usanza (poco rispettata anche in Italia) di fare silenzio e di non rispondere al cellulare a teatro non rientra nella cultura Saharawi (non so se coincida con quella araba in generale, mi pare di aver capito di si). Il giorno dopo, sul mare, nelle pagine centrali di Repubblica, ho letto della linea sette della metropolitana di New York, che ad ogni fermata ti catapulta in un mondo diverso, e un bell'articolo sulla cucina greca.
Forse non bisognerebbe mai stancarsi di ripetere che il confronto ci arricchisce, sempre. E anche se, come teorizzo sempre, ripetendo una mia gag diventata relativamente famosa, in inglese, a differenza che in spagnolo, perdo almeno il 50% del mio potenziale comico, non bisogna mai aver paura di conoscere "l'altro", di lanciarsi nelle conversazioni anche un po' azzardate a livello grammaticale. Ho una regola, stupida e minimale: in qualsiasi paese mi trovo, le prime due parole che voglio imparare nella lingua usata lì sono ciao e grazie. Mi sbaglierò, ma un sacco di gente apprezza gli sforzi.
Se ci sono cose che vorrei che mio nipote imparasse bene, quelle sono le lingue straniere più usate in giro per il mondo. E poi vorrei ereditasse la sfrontatezza di mio padre. La spigliatezza nella comunicazione, anche spicciola, credo sarebbe la sua ricchezza più grande.
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