Ms. Lauryn Hill, Lucca, Piazza Napoleone (Summer Festival), 24/7/2007
Sto ascoltando l'unico inedito (che poi inedito precisamente non è, essendo parte integrante della colonna sonora del film Surf's Up) eseguito dalla signora Hill l'altra sera, Lose Myself. Una canzone semplice semplice, anche pop se volete, con un retrogusto quasi Motown, ma che goduria ascoltare la sua voce, diamine. Stavo ripassando la scaletta del suo concerto nella stessa piazza, all'interno dello stesso festival, praticamente due anni precisi fa: pochissimi cambiamenti. C'è qualcosa che non mi convince, non mi soddisfa, e a distanza di due giorni mi lascia ancora l'amaro in bocca. E comincio a convincermi che dipenda da me. Ma sono io che scrivo.
Dunque: torna Lauryn Hill, e stavolta ha il prefisso Miss, un vezzo nuovo, lei che è campionessa di vezzi. In questi due anni, cos'è successo? Praticamente niente, nessun disco nuovo, nessun nuovo figlio, niente all'orizzonte. Non vorrei diventare ripetitivo, ma siccome ho un profondo rispetto per l'artista, con tutte le sue controversie, oltre ad esserle grato per avere, nel 2003, fatto alzare e andarsene Ruini dal concerto in Vaticano, essersi meritata la definizione di patologicamente miserabile dalla Catholic League, ed aver fatto incazzare di brutto anche Monsignor Fisichella (sempre nella stessa occasione), vorrei continuare ad esserle grato per la sua musica.
Veniamo alla stretta cronaca: una band di supporto italiana della quale non voglio sapere il nome, da tanto era fastidiosa, introduce la Miss; verso le 22,15 entra la band, questa volta conto 14 elementi, 2 batterie, 1 percussione, tromba, sax, chitarra, basso, 2 tastiere, 1 dj, 4 coriste, e passano circa 5 minuti di virtuosismi prima di vedere Lauryn. Ha i capelli vagamente color nocciola, si è pettinata con la 220 volt (la foto che vedete rispecchia pettinatura e trucco), è truccata un po' alla Cleopatra (l'eyeliner si allunga per diversi centimetri sul viso), ha stivaletti marroni con tacco vertiginoso, pantaloni neri ampissimi, una sahariana militare e sopra uno spolverino bianco che la contiene tre volte: neppure Cavalli avrebbe saputo fare di peggio. Sicuramente con un sacco di iuta addosso sarebbe risultata più sexy. Take it or leave it.
Un paio di pezzi che non riesco a riconoscere, e passano tipo 20 minuti quasi. Sono basito e leggermente infastidito. E le canzoni? Riesco a riconoscere, più che altro dal testo (sarà la fatica maggiore della serata, o almeno una delle più grandi), When It Hurts So Bad, ma è tutto confuso in un'orgia di strumenti, di arrangiamenti che virano in continuazione, e come al solito la voce spesso ci annega dentro. Ed è un peccato. Ecco Final Hour miscelata con Marley (il suocero) e, dopo quasi 35 minuti di concerto, un gran pezzo: Ex-Factor, meno ridondante del resto, leggermente più lineare, riarrangiata si, ma con gusto (sobrietà no, non è la serata). Risulterà la miglior cosa della serata. Arriva To Zion, che come sempre finisce dentro Iron, Lion, Zion di Bob, comincia free jazz, passa dallo standard rock, finisce in un delirio brasilian-cubano di percussioni. Troppe. Ancora qualche pezzo irriconoscibile per il povero cronista sprovvisto di scaletta perchè fuori dai grandi circuiti, nel mezzo si fatica a scorgere Doo Wop (That Thing) e a rimpiangere l'originale arrangiamento, e francamente ci si comincia a stancare di tutto questo pentolone che cola musica da tutte le parti. Arriva Hammer, sempre di Marley, poi cominciano i pezzi dei Fugees: in sequenza How Many Mics e una discreta Fu-Gee-La. Il problema è che la band in alcuni momenti ha anche un gran tiro, e sciorina musica tosta, ma sembra quasi senz'anima. E noi che siamo qui anche e soprattutto per la voce di Lauryn, ci indispettiamo quando, come in una enorme jam session, sentiamo ripetuta per 25 volte la stessa frase con pochissime variazioni. Ad un certo punto, la session falla in sala prove, for God's sake! Dopo la doppietta Fugees arriva So Much Things To Say, un'altra che mi sfugge, e ancora Fugees con l'immancabile e intramontabile Ready Or Not. E ci si ricorda com'era quando la musica era semplice e diretta. Quel pezzo lì fa sempre un certo effetto. E' passata oltre un'ora, e spariscono tutti dal palco. Conoscendola, potrebbe finire qui. Non ci crederete, ma dei circa tremila che c'erano all'inizio, una parte se n'è andata. Non è stata solo una mia impressione, che la serata sia stata ridondante.
Ma Miss Hill è fatta per stupirci, e torna carica. Per intenderci, la voce ha le consuete lievissime flessioni, ma regge alla grande, e lei sul palco pare avere una gran voglia di starci.
Si ricomincia con Killing Me Softly With His Song, che mi fa una buona impressione, poi Lose Myself e Everything Is Everything. Gli arrangiamenti lasciano un po' spazio alle canzoni, e se lo avessero fatto fin dall'inizio ne avrebbe giovato l'insieme. Questa parte è decisamente la migliore, la più godibile. Lauryn è abbastanza coinvolta, e va avanti con Freedom Time che più che a cappella è recitata come una poesia rap. Bella prova.
Sembra non aver voglia di smettere, e quindi ci sono ancora I Used To Love Him e Sweetest Thing per chiudere. Mezzanotte e mezza abbondante. Stupefacente.
La conclusione è pressappoco la stessa di due anni fa. La classe c'è, la voce c'è, il personaggio c'è, il carisma anche. Mancano le canzoni. Le canzoni nuove, sue, da inserire in una set list di tutto rispetto insieme ai pezzi forti che sono e devono essere immancabili. Perchè in questo panorama dove tutto si brucia in fretta, c'è bisogno di qualcosa che resti. E, se mi permettete, The Score e The Miseducation Of Lauryn Hill sono due dischi che restano. Attendiamo ancora, Lauryn, ma non pretendere troppo dalla nostra pazienza.
foto tratta da http://www.nymag.com/
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