Interessantissimo, da D la Repubblica delle donne nr. 604
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PERÚ
La storia dell'indigeno Eduardo con la sua strabiliante evoluzione a tappe forzate dal cannibalismo al web, riproduce su piccola scala quella che ha dovuto subire, in un periodo di tempo appena più lungo, la più grande foresta pluviale del mondo
di Sergio Ramazzotti
L'uomo-Amazzonia è un indio chimaco, porta il nome di Eduardo, ha più o meno 45 anni (la stima è sua, non sa di preciso quando è nato), la carta d'identità peruviana e una storia segnata da tre momenti fondamentali: intorno ai vent'anni ha smesso di mangiare carne umana, a ventuno ha scoperto l'uso del sale sul cibo, a quaranta quello di Internet. È andata così (il racconto avviene nella foresta ai margini del rio Yanayacu, nel cuore dell'Amazzonia peruviana, dove Eduardo è nato e cresciuto. Adesso l'uomo indossa una camicia kaki e gli stivali di gomma, in mano ha il machete con cui ci siamo aperti la strada nel folto della selva, parla a voce bassa, quasi un sussurro): "Da ragazzo andavo in giro nudo, cacciavo con la cerbottana e mangiavo la carne senza sale, spesso cruda. Nella foresta il mezzo di comunicazione era la ceiba: davamo colpi di bastone sul tronco, che è cavo e rimbomba. Un colpo, due, tre. Quattro colpi erano il segnale di massima gravità: voleva dire morte, o l'attacco di una tribù nemica. Quando scoppiava la guerra con un'altra tribù si combatteva all'ultimo sangue, e i nemici uccisi li mangiavamo: in quel caso li cuocevamo, e la parte più prelibata era il palmo della mano, che è morbido e ha un sacco di grasso. Tutto finì all'improvviso: un giorno nel villaggio piombò uno squadrone di soldati armati fino ai denti, avevano l'ordine di arruolarci a forza per il servizio militare. Noi, che eravamo una cinquantina, resistemmo con gli archi e le cerbottane, ma loro avevano i fucili: ammazzarono qualcuno di noi, noi qualcuno di loro, ed eravamo disposti a crepare tutti, ma poi colpirono a morte il curaca (è il capo villaggio), sicché ci arrendemmo. È così che andava, in battaglia. Noi superstiti fummo portati in caserma: lì ci vestirono con l'uniforme e cominciarono a picchiarci a sangue, ad alcuni ruppero braccia e gambe, finché il comandante ordinò che ci lasciassero in pace. E vide giusto, perché quando fummo spediti a combattere la guerra con l'Ecuador nella selva dimostrammo di essere le truppe migliori, tendevamo agguati dalla cima degli alberi, gli ecuadoriani morivano senza capire cosa li stava uccidendo. E quando loro stavano acquattati sulle fronde, noi eravamo mimetizzati a terra, coperti di foglie, e li uccidevamo in silenzio dal basso. Loro, però, non li mangiavamo. I tre anni nell'esercito sono stati duri, ma mi hanno civilizzato: è stato sotto le armi che ho scoperto quanto è buona la carne col sale, e quanto era sbagliato mangiare uomini". Dopo il congedo Eduardo si ritrova sospeso fra due mondi, quello col sale e quello senza, a dividerli pochi chilometri (il suo villaggio ne dista a malapena cento da Iquitos, il capoluogo del dipartimento di Loreto) e migliaia di anni: ed è lì, in quella specie di limbo temporale, che prosegue la seconda parte della sua vita, per la quale si ricicla come guida alle dipendenze di un lodge sulle sponde del suo fiume natale. Accompagna gli ospiti nella foresta (è così che l'ho conosciuto), a tutti gli effetti un mediatore o ambasciatore tra il mondo del sale e quello del non-sale, finché decide - è il 2006 - che ne sa abbastanza per mettersi in proprio e costruire un lodge tutto suo. Comincia una discreta indagine di mercato, stila quello che chiameremmo un "business plan", calcola che ha bisogno di ottocento tavole di legno per i bungalow, prevede un investimento di quattromila dollari. Ogni mese va in barca fino a Iquitos, compra in una segheria tante assi quante gliene permettono i risparmi, le ammonticchia (segretamente, viceversa lo caccerebbero dall'attuale lavoro) nel sito del futuro lodge, e con l'aiuto della figlia che frequenta un liceo in città studia il nome, il logo e la pagina web. L'ultima volta che ho avuto sue notizie è stato qualche mese fa, via posta elettronica: era arrivato a seicento tavole e di lì a poco avrebbe dato il via alla costruzione. Ho definito Eduardo l'uomo-Amazzonia perché la sua strabiliante evoluzione a tappe forzate dall'antropofagia al web riproduce su piccola scala quella che ha dovuto subire, in un periodo di tempo appena più lungo, l'intera sua regione natale: in principio era vergine, arrivò la civiltà a sfruttarla spremendone le immense ricchezze come da un agrume (dal legname all'oro, al caucciù, al petrolio, fino all'esaurimento e al progressivo abbandono), oggi anch'essa, snaturata oltre il punto di non ritorno, vuole giocare alle stesse regole del mondo cosiddetto progredito.
continua
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La storia dell'indigeno Eduardo con la sua strabiliante evoluzione a tappe forzate dal cannibalismo al web, riproduce su piccola scala quella che ha dovuto subire, in un periodo di tempo appena più lungo, la più grande foresta pluviale del mondo
di Sergio Ramazzotti
L'uomo-Amazzonia è un indio chimaco, porta il nome di Eduardo, ha più o meno 45 anni (la stima è sua, non sa di preciso quando è nato), la carta d'identità peruviana e una storia segnata da tre momenti fondamentali: intorno ai vent'anni ha smesso di mangiare carne umana, a ventuno ha scoperto l'uso del sale sul cibo, a quaranta quello di Internet. È andata così (il racconto avviene nella foresta ai margini del rio Yanayacu, nel cuore dell'Amazzonia peruviana, dove Eduardo è nato e cresciuto. Adesso l'uomo indossa una camicia kaki e gli stivali di gomma, in mano ha il machete con cui ci siamo aperti la strada nel folto della selva, parla a voce bassa, quasi un sussurro): "Da ragazzo andavo in giro nudo, cacciavo con la cerbottana e mangiavo la carne senza sale, spesso cruda. Nella foresta il mezzo di comunicazione era la ceiba: davamo colpi di bastone sul tronco, che è cavo e rimbomba. Un colpo, due, tre. Quattro colpi erano il segnale di massima gravità: voleva dire morte, o l'attacco di una tribù nemica. Quando scoppiava la guerra con un'altra tribù si combatteva all'ultimo sangue, e i nemici uccisi li mangiavamo: in quel caso li cuocevamo, e la parte più prelibata era il palmo della mano, che è morbido e ha un sacco di grasso. Tutto finì all'improvviso: un giorno nel villaggio piombò uno squadrone di soldati armati fino ai denti, avevano l'ordine di arruolarci a forza per il servizio militare. Noi, che eravamo una cinquantina, resistemmo con gli archi e le cerbottane, ma loro avevano i fucili: ammazzarono qualcuno di noi, noi qualcuno di loro, ed eravamo disposti a crepare tutti, ma poi colpirono a morte il curaca (è il capo villaggio), sicché ci arrendemmo. È così che andava, in battaglia. Noi superstiti fummo portati in caserma: lì ci vestirono con l'uniforme e cominciarono a picchiarci a sangue, ad alcuni ruppero braccia e gambe, finché il comandante ordinò che ci lasciassero in pace. E vide giusto, perché quando fummo spediti a combattere la guerra con l'Ecuador nella selva dimostrammo di essere le truppe migliori, tendevamo agguati dalla cima degli alberi, gli ecuadoriani morivano senza capire cosa li stava uccidendo. E quando loro stavano acquattati sulle fronde, noi eravamo mimetizzati a terra, coperti di foglie, e li uccidevamo in silenzio dal basso. Loro, però, non li mangiavamo. I tre anni nell'esercito sono stati duri, ma mi hanno civilizzato: è stato sotto le armi che ho scoperto quanto è buona la carne col sale, e quanto era sbagliato mangiare uomini". Dopo il congedo Eduardo si ritrova sospeso fra due mondi, quello col sale e quello senza, a dividerli pochi chilometri (il suo villaggio ne dista a malapena cento da Iquitos, il capoluogo del dipartimento di Loreto) e migliaia di anni: ed è lì, in quella specie di limbo temporale, che prosegue la seconda parte della sua vita, per la quale si ricicla come guida alle dipendenze di un lodge sulle sponde del suo fiume natale. Accompagna gli ospiti nella foresta (è così che l'ho conosciuto), a tutti gli effetti un mediatore o ambasciatore tra il mondo del sale e quello del non-sale, finché decide - è il 2006 - che ne sa abbastanza per mettersi in proprio e costruire un lodge tutto suo. Comincia una discreta indagine di mercato, stila quello che chiameremmo un "business plan", calcola che ha bisogno di ottocento tavole di legno per i bungalow, prevede un investimento di quattromila dollari. Ogni mese va in barca fino a Iquitos, compra in una segheria tante assi quante gliene permettono i risparmi, le ammonticchia (segretamente, viceversa lo caccerebbero dall'attuale lavoro) nel sito del futuro lodge, e con l'aiuto della figlia che frequenta un liceo in città studia il nome, il logo e la pagina web. L'ultima volta che ho avuto sue notizie è stato qualche mese fa, via posta elettronica: era arrivato a seicento tavole e di lì a poco avrebbe dato il via alla costruzione. Ho definito Eduardo l'uomo-Amazzonia perché la sua strabiliante evoluzione a tappe forzate dall'antropofagia al web riproduce su piccola scala quella che ha dovuto subire, in un periodo di tempo appena più lungo, l'intera sua regione natale: in principio era vergine, arrivò la civiltà a sfruttarla spremendone le immense ricchezze come da un agrume (dal legname all'oro, al caucciù, al petrolio, fino all'esaurimento e al progressivo abbandono), oggi anch'essa, snaturata oltre il punto di non ritorno, vuole giocare alle stesse regole del mondo cosiddetto progredito.
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