Da D la Repubblica delle donne, nr. 608
Otto milioni di europei
di Jean-Pierre Liégeois (*)
I Rom sono la minoranza più importante d'Europa: circa otto milioni di persone, molto più dei cittadini di parecchi Stati. Ma non hanno consolati, ambasciate, governi di riferimento. Non è una questione teorica: se uno Stato sviluppa una politica, per esempio scolastica, a beneficio di una minoranza, è sufficiente che questa domandi il materiale per le classi, o la formazione degli insegnanti, al suo Paese di appartenenza. Per i Rom invece, minoranza transnazionale, tutto questo non è possibile: tocca al Consiglio d'Europa e all'Unione europea intervenire. E gli Stati devono collaborare tra loro. Io, ora, propongo un capovolgimento di prospettiva. Dato che nell'Europa di questi anni, segnata dalla mobilità e da un'emergenza legata alle minoranze, quelli che erano Paesi d'emigrazione sono diventati Stati d'immigrazione, e dato poi che i Rom sono un popolo mobile - non nomade: mobile, con un'organizzazione familiare e sociale che attraversa le frontiere - io propongo che siano visti non più come dei marginali, ma come un paradigma per l'Europa del XXI secolo. Loro sollevano questioni fondamentali, sul senso dell'Europa e delle sue componenti: individui e comunità, Stati, nazioni, nazionalità, libera circolazione, migrazioni. E lanciano la sfida per la gestione di nuovi spazi giuridici e sociali. Per esempio, il problema della scolarizzazione dei bambini Rom potrebbe diventare una fonte di rinnovamento per l'educazione globale, che è in difficoltà. Il diritto è dalla loro parte. Il problema è che le leggi non vengono applicate: le indagini e i rapporti delle istituzioni internazionali mostrano che i Rom sono i più condannati, respinti e discriminati fra i popoli d'Europa. L'accesso ai diritti, per loro, passa attraverso l'applicazione dei testi normativi esistenti (anche se alcuni devono essere ancora migliorati) e la formazione degli operatori: insegnanti, personale sanitario e di polizia, assistenti sociali. Ma, soprattutto, passa attraverso l'informazione: ogni tentativo di pensare politiche nuove nei loro confronti si scontra infatti con un serbatoio secolare di stereotipi, immagini negative, dal quale è sempre possibile attingere per giustificare il proprio rigetto, o addirittura i propri comportamenti discriminatori a livello politico. Domandate agli abitanti di un paese cosa pensano degli zingari. Vi risponderanno che rubano. Se però chiedete esempi concreti, vi diranno che nel loro paese non si sono verificati furti, però nei paesi B e C di certo vi potranno dare le prove. Ma se andate nel paese B, vi diranno di andare nel paese A, o in quello C. E lo stesso faranno nel paese C. Fra mille Rom non c'è più delinquenza di quanta ce ne sia fra mille cittadini qualsiasi. I loro reati però sono i più segnalati, perché sono la popolazione più sorvegliata. Il problema principale resta capire dove possono andare a vivere. La gente si rifiuta di vendere loro terre o case. In Francia, per esempio, l'obbligo di predisporre aree di accoglienza risale al '90, ma i Comuni non rispettano la legge. Esiste solo il 10% delle aree necessarie e il 90% delle carovane non ha modo di sistemarsi legalmente. E se i Rom si fermano in un terreno che non appartiene loro, per le autorità locali espellerli è facile. Ma, alla fine, renderli responsabili di una situazione di cui sono invece soprattutto le vittime, questo non è giusto.
(Testimonianza raccolta da Francesca Frediani)
(*) Docente alla Sorbona, nel 2007 ha pubblicato Roms en Europe (Editions du Conseil de l'Europe). Delle sue opere, in italiano si trovano: Rom, Sinti, Kalè... Zingari e viaggianti in Europa (Centro Studi Zingari) e Minoranza e scuola: il percorso zingaro (Anicia).
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