Da D la Repubblica delle donne nr. 603
Io sono un green collar
Specialisti in ambiente, dall'esperto in riciclo all'ottimizzatore di sprechi, all'ecoauditor
di Laura Piccinini
Ora che ha vinto le primarie del Partito democratico, pare che il problema di Obama saranno i colletti blu, gli operai: senza la Clinton potrebbero votare McCain. Rimasti in minoranza, senza istruzione superiore, scettici nei confronti del senatore nero innovatore e così d'élite, oggi si sentono superati, anche per le migliaia di posti di lavoro persi per le delocalizzazioni. Proprio i blue collar erano stati i pionieri di quella catalogazione "colori & mestieri" che via via ha aggiunto i colletti bianchi impiegatizi o manageriali, i colletti grigi che in pensione non vogliono andare, i colletti rosa che per stereotipo sessista sarebbero baby-sitter e manicure, oggi anche i colletti dorati, 18-25enni che guadagnano poco e spendono tutto in vestiti o cellulari, vivendo a carico dei genitori. L'Italia ha ampliato la gamma coi suoi primi silurati della Net economy, le tute o colletti arancioni dal logo della ditta che li ha fatti fuori (Virgilio). Finché sono arrivati quelli che potrebbero riconvertire tutto, reimpiegare tutti in un'unica, smagliante tonalità: i green collar, colletti verdi, ma è meglio mantenere l'inglese per non confonderli con le camicie della Lega nord. I green collar presidiano le professioni ambientaliste, sono impiegati nei settori dell'industria sostenibile o della New green economy, che dovrebbe rinverdire i fasti tecnologici di Silicon Valley con il business delle energie rinnovabili, dell'agricoltura e architettura a impatto zero: dall'ingegnere all'operaio eolico, dall'esperto di riciclo con sportello nei supermarket (o all'Ikea) all'idraulico ambientalista obiettore, che o metti i pannelli solari o ti lascia con lo scaldabagno rotto, all'ottimizzatore di sprechi negli edifici. E consulenti vari e verdi.
È la categoria preferita di Obama, si diceva, che ha già promesso 150mila miliardi di dollari per creare cinque milioni di green collar entro dieci anni. Quando erano ancora in gara, Hillary Clinton gli è saltata addosso lamentando che colletti verdi l'aveva detto prima lei e lui le aveva tolto le parole di bocca. Lei, con quel fare da "signora so-tutto" che poi l'ha stroncata, disse: "Tutti conoscono i colletti blu e quelli bianchi, così io vi dico che d'ora in poi bisognerà parlare dei colletti verdi". A quel punto il dibattito tra gli elettori blogger si è scatenato, ma tutti hanno riconosciuto che l'etichetta l'aveva già usata John Edwards prima di ritirarsi, e che nel '99 c'era stato il volume Green collars dell'ambientalista di Seattle Alan Durning. Perfino un "colletto sporco" come Bush, che non ha sottoscritto il protocollo di Kyoto per limitare le emissioni di gas serra, un anno fa firmò il green Jobs Act che stanziava 125 milioni di dollari per la riconversione dei colletti blu in adetti alle professioni sostenibili. Tutti verdi."Sarà un'etichetta opportunista, ma green collar è catchy, acchiappa", commenta Jason Salfi, microimprenditore modello della green economy. E dimostra come il business ambientalista spazi dai pannelli solari agli skate, alle tavole da surf che produce nella fabbrica di Ithaca, New York. "Sei dipendenti e materie prime locali reperite entro 300 miglia. Per una lega a base di resina di soia, bambù del Nordamerica e canapa, brevettata dalla società "e2e" del professore di scienza delle fibre alla Cornell University, Anil Netravali.
continua
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