No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080703

divo


Ancora da D la Repubblica delle donne nr. 604, un'intervista curiosa e illuminante a un personaggio che sta dietro le quinte ma che è fondamentale.


Anch'io sono un po' "divo"


Ama il cinema, il rugby, e il talento vero, Nicola Giuliano, il produttore e l'uomo che sta dietro i successi di Paolo Sorrentino. E qui ricorda il loro primo incontro, 14 anni fa, i 4 film che hanno fatto insieme, e come un po' di sana concorrenza ha rilanciato il cinema italiano


di Irene Alison

Sulla soglia dell'ufficio di Nicola Giuliano a Roma c'è un enorme alano pezzato.

"Si chiama Gigi". Ma se lo chiami non corre a farti le feste. Con la fissità dei suoi occhietti di ceramica, l'alano è un souvenir del set di L'amico di famiglia, terzo film di Paolo Sorrentino che Giuliano ha realizzato insieme a Francesca Cima, socia e co-fondatrice della casa di produzione Indigo Film. Prima di trionfare col Divo. Napoletano, 42 anni e tre figli, una passione per il rugby maturata sui campi di mezza Italia, l'altra per il cinema coltivata collezionando amori di celluloide sulle sedie di una platea - da Totò turco napoletano, visto con la nonna in una sala del suo quartiere, a Billy Wilder, avidamente divorato a 8 anni, fino alla folgorazione per Il Padrino - Giuliano è uno dei produttori più curiosi, appassionati e audaci della sua generazione: il primo a vedere, nello sguardo e nella scrittura di un ventenne impacciato piombatogli sul set, in un giorno del 1995, la scintilla del talento.

"Paolo arrivò chiedendo di dare una mano durante le riprese del Verificatore di Stefano Incerti. Lo misi a lavorare nell'organizzazione", racconta Giuliano. "Era un disastro, come ogni artista che cerchi di fare il ragazzo di fatica".

Da allora, dalla prima sceneggiatura che Sorrentino gli propose (quella di un corto intitolato L'amore non ha confini), sono passati una promessa ("Io e te lavoreremo insieme"), 4 film e molti premi: dai 5 David di Donatello vinti con Le conseguenze dell'amore al Premio della Giuria conquistato con Il Divo all'ultimo festival di Cannes. E 14 anni dopo il primo incontro, l'uomo bello come un attore, stretto al regista felice nell'abbraccio concitato seguito all'annuncio dei premi alla Croisette, altri non era che il suo produttore.

Giuliano, ma come si diventa produttori?

"Prima di diventarlo non sapevo nemmeno cosa significasse: ero solo un appassionato di cinema. Volevo studiare regia al Centro Sperimentale, ma c'erano pochi posti e troppe domande. Così entrai nella produzione, ma senza particolare entusiasmo. Lì però ho incontrato due insegnanti straordinari, Domenico Procacci e Gianluca Arcopinto, e mi sono innamorato di questo mestiere. La produzione è un esercizio di logica applicato all'arte: trovare soluzioni che rendano le risorse più produttive e più funzionali alla storia è un atto creativo".

Un lavoro complicato, come lo spiega ai suoi figli?

"Dico loro: "Papà lavora per i film. Trova i soldi che servono per farli e contribuisce alla loro realizzazione". Il produttore è un imprenditore, uno che corre il rischio d'impresa. Fino a vent'anni fa, in un sistema di mercato "puro", investiva soldi propri e li rischiava portando il film in sala. Oggi, invece, hai un progetto, stimi i costi, cerchi dei finanziatori e lo realizzi. Il rischio c'è sempre, perché non sai mai se riuscirai a portare a termine il film. Il mio lavoro, quindi, non è solo trovare i soldi: è sviluppare un progetto insieme al regista".

Che rapporto ha con i registi con cui lavora?

"C'è un confronto che parte dalla sceneggiatura e arriva fino al montaggio. Il produttore è una sponda dialettica, non qualcuno che dice solo "no". Se pensa che una cosa non funzioni, ti spiega perché. Non esiste più il bieco produttore col sigaro, il macchinone e l'amante. Chi produce, prima di tutto, vuol fare con te il più bel film possibile".

Com'è la dialettica con Sorrentino?

"È un rapporto che viene da molto lontano: siamo cresciuti nello stesso quartiere, abbiamo lavorato insieme fin dai suoi primi corti. Attraversiamo fasi diverse: il "proficuo scambio di opinioni" e il "va a quel paese". Ma tutto è affrontato con complicità e fiducia. In generale, comunque, se c'è uno scontro frontale tra la mia volontà e quella del regista, deve prevalere la sua: è lui che ci mette la faccia".

Il successo di Gomorra e Il Divo ha fatto subito parlare di rinascita del cinema italiano. Bastano due film per resuscitare un'industria culturale in crisi?

"No, perché in Italia restano pochissime le centrali di finanziamento dei film - il ministero dello Spettacolo e i due network cine-televisivi di Medusa e RaiCinema - ed è difficilissimo accedervi. Però ci sono segnali incoraggianti. Negli ultimi anni i produttori italiani hanno intercettato il pubblico giovane: i ragazzi hanno cominciato a vedere meno American Pie e più Notte prima degli esami. Ma questo non basta, i film sono anche sperimentazione, espressione dell'identità di un Paese. Non si può appiattirsi sul risultato della sala, bisogna stare sempre un passo avanti al pubblico: se dai agli spettatori qualcosa di buono, nella maggior parte dei casi vieni premiato, come dimostrano Il divo, Gomorra, o anche La ragazza del lago di Andrea Molaioli e Giorni e nuvole di Soldini. Tutti film che sulla carta non avrebbero dovuto funzionare".

Oltre alla qualità, cos'hanno in comune Gomorra e Il divo? Alcuni critici hanno parlato di neo-neorealismo...

"Garrone e Sorrentino hanno due idee di cinema completamente diverse. Uno penetra la realtà, l'altro la reinventa completamente. Sorrentino ricrea dei mondi che non esistono, inventa archetipi nuovi: l'uomo che vive da otto anni in una camera d'albergo, l'usuraio che parla con le frasi del Readers Digest. Li accomuna, questa volta, solo la scelta di confrontarsi con la realtà contemporanea".

Lei è uno sportivo e un imprenditore al lavoro in un mercato competitivo. Sente molto la rivalità con gli altri produttori?

"Sono un rugbista, e il rugby è, prima di tutto, uno sport di squadra. Tra me e gli altri produttori, specialmente quelli della mia generazione, c'è un dialogo continuo e un sostegno sincero. Un bel film italiano fa venire voglia di vederne altri. Con Procacci facciamo a gara a chi vince più premi, e in realtà, mentre Sorrentino e Garrone si abbracciavano davanti ai flash, noi due lo facevamo dietro le quinte".

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