No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20081215

dogville parte 2


Manderlay – di Lars Von Trier 2005

Giudizio sintetico: da non perdere

Secondo atto della “trilogia americana” di Von Trier, “Manderlay” comincia esattamente dove finì “Dogville”. Nel 1933, Grace, il padre, e la loro banda di gangster, viaggiano verso nuovi “affari”, attraversando il sud degli Stati Uniti d’America. In Alabama, Grace, attratta da una tenuta delimitata da una recinzione in ferro alla quale però manca un tratto, viene impietosita da una giovane donna di colore che la implora di aiutare un uomo che sta per essere punito a frustate per una mancanza. Grace insiste per andare a vedere cosa accade, facendo così immischiare nel fatto tutta la banda di suo padre.
Si trova di fronte ad una situazione ferma ad 80 anni prima, quando ancora la schiavitù era legale, con una famiglia di bianchi che governano, e una comunità di neri che lavora. Decisa a ripristinare la legalità e la libertà, idealista com’è, aiutata dalla morte della vecchia “padrona”, raggiunge un accordo col padre, che se ne va, lasciandole alcuni dei suoi scagnozzi.
Inizia così un difficilissimo percorso, che si rivelerà impervio e pieno di imprevisti, dettati soprattutto dalla menzogna e dalla corruttibilità dell’animo umano (anche quello di Grace, cosa del resto già appurata in “Dogville”).

Leggendo delle riflessioni su “Dear Wendy”, del quale Von Trier è solo sceneggiatore, un critico accreditato e importante ricordava che “chi lo ama lo amerà, chi lo odia lo odierà”. Chissà se davvero il danese terribile riesce a spaccare in maniera così netta la platea cinematografica. Questo personaggio che vuole raccontare gli Stati Uniti ricostruendoli in Europa o addirittura nei teatri di posa, disegnando, come in questo caso (o, come ricorderete, in “Dogville”), le pareti delle case per terra, insieme alle strade o agli alberi, lasciando che siano solo la storia e gli attori, a fare il film. Un po’ come a teatro, forse ancora, seppur con minor difficoltà, con maggiore impatto.
Devo dichiarare di stare dalla parte di Von Trier, vedendo in lui qualcuno che, come altri, per carità, prova almeno a tentare nuove strade cinematograficamente parlando, osando. Questo per onor del vero. Ma ero anche pronto a dichiarare l’eventuale fiacchezza di questo sequel, cosa, converrete con me, alquanto inusuale per un certo tipo di cinema. Invece questo “Manderlay” è forte, vibrante, nutre la mente facendola lavorare a fondo, innescando ampissime riflessioni filosofiche, sociologiche e, non ultime, politiche.
Certo, si arriva preparati, molto più che con “Dogville”, alla messa in scena descritta sopra, ma anche pronti ad annoiarsi se la sceneggiatura non proponesse un plot altrettanto interessante; inoltre, con tutto il bene che si può volere alla dolce e pur brava Bryce Dallas Howard, Grace non è più impersonata dalla divina Nicole Kidman, bensì dalla giovane cieca di “The Village”. Questo confronto si, è perso, ma forse è l’unico.
Per il resto, il racconto diviso in otto parti, di questo “Manderlay”, regge e convince, insinuandosi nello spettatore più preparato e voglioso di assistere a qualcosa che non sia un semplice divertissement, a poco a poco, acquistando man mano che passano i minuti, la forza devastante di un atto d’accusa all’umanità intera fatto sottovoce, quasi come una favola densa di allegorie.
Se siete pronti a mettervi alla prova, avviatevi alla cassa.

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